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La salute è un diritto

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La salute è un diritto. Giovanni Berlinguer e le riforme del 1978, a cura di Fabrizio Rufo (Ediesse Futura) ripercorre la storia di tre importanti riforme del passato, tutte approvate nel 1978 e dietro la realizzazione delle quali c'era, in qualche modo, Giovanni Berlinguer. Si tratta della Legge Basaglia che ha sancito la fine dei manicomi, della legge n. 194/78 che ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza e della legge n. 833/78 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Insieme, queste riforme hanno portato l'Italia all'avanguardia nell'assistenza socio-sanitaria.
La recensione di Cristiana Pulcinelli.

Tre delle leggi che hanno maggiormente cambiato il nostro paese sono state approvate nello stesso anno: il 1978. Un anno davvero particolare. Basta ricordare alcuni avvenimenti accaduti in quei dodici mesi per rendersene conto: il 16 marzo in via Fani a Roma le brigate Rosse rapiscono il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e uccidono cinque uomini della scorta, il 9 maggio il corpo senza vita di Moro viene ritrovato a Roma, mentre a Cinisi in Sicilia, Peppino Impastato viene ucciso dalla mafia, a giugno Giovanni Leone rassegna le dimissioni da Presidente della Repubblica (l’8 luglio sarà eletto Sandro Pertini), il 6 agosto muore papa Paolo VI e il 28 settembre il suo successore, Giovanni Paolo I.

In mezzo a questi eventi, fortemente destabilizzanti, il Parlamento approva a larga maggioranza (e quasi miracolosamente) le tre leggi cui facciamo riferimento e che hanno portato l’Italia all’avanguardia nel campo dell’assistenza socio-sanitaria: la n. 180/78, conosciuta come “Legge Basaglia” che ha sancito la fine dei manicomi, la legge n. 194/78 che ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza e la legge n. 833/78 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Da quel momento in poi il nostro paese non è stato più lo stesso. Dietro la realizzazione di quelle tre leggi c’è sempre e in qualche modo la figura di Giovanni Berlinguer, “medico e igienista di formazione, politico per convinzione, umanista per natura”, come è stato definito nell’introduzione a un volume collettaneo che ripercorre quella storia (La salute è un diritto. Giovanni Berlinguer e le riforme del 1978, a cura di Fabrizio Rufo, Ediesse Futura, 223 pagine, 15 euro).

È interessante ripercorrere con gli autori la storia di quelle tre riforme partendo dal passato, quello che ormai pochi ricordano. Come era l’Italia prima? Fermiamoci a queste tre realtà: i manicomi, l’aborto, l’assistenza sanitaria.

Su come si presentavo i manicomi a metà del Novecento è sufficiente ricordare quello che disse Franco Basaglia quando nel 1961 entrò nell’ospedale psichiatrico di Gorizia per prendere servizio: “È un autentico lager”. Al momento dell’internamento le persone perdevano qualsiasi diritto, venivano spogliate della propria identità, di tutti gli effetti personali, perfino dei vestiti, sostituiti con una uniforme, e dei capelli che venivano rasati. Rinchiusi in spazi angusti, recintati da muri o reti, i pazienti subivano spesso violenze: picchiati, legati, torturati. Persino le posate per mangiare venivano loro negate, con la scusa che potevano essere utilizzate per ferire qualcuno. La categoria dei “matti” era molto ampia, vi rientravano infatti alcolisti, epilettici, persone con la sindrome di Down. Tutti considerati un pericolo da cui la società doveva difendersi.

Della questione dell’interruzione di gravidanza si occupava il codice Rocco, la legislazione varata dal ministro della giustizia Alfredo Rocco nel 1931 e rimasta inalterata dopo la fine della guerra. Il codice, che rispondeva alla volontà del fascismo di arrestare il calo demografico e alla concezione della maternità come servizio alla nazione, prevedeva una dura penalizzazione dell’interruzione di gravidanza e forti attenuanti invece per i reati originati dalla necessità di salvaguardare il decoro e l’onore familiare, compresi infanticidio, abbandono di neonato e aborto. Nel 1930 l’enciclica di Pio XI inoltre aveva elaborato una morale sessuale incentrata sulla difesa della vita fetale. La condanna dell’aborto tuttavia non voleva dire che l’aborto non ci fosse più. Al contrario, gli aborti clandestini si moltiplicavano con conseguenze drammatiche per la salute delle donne.

Prima del Servizio Sanitario Nazionale, la salute dei cittadini italiani era affidata al sistema delle casse mutue. Ogni ente mutualistico era competente per una categoria di lavoratori e per i loro familiari a carico. Un sistema in cui il diritto alla tutela della salute era garantito non al cittadino, ma al lavoratore (maschio), con la conseguenza che chi non rientrava in questa categoria era fuori dal sistema e poteva accedere alle cure solo se iscritto alle liste comunali degli indigenti di cui si occupava lo stato. Inoltre, esistevano importanti differenze tra le prestazioni delle diverse casse mutue. Contemporaneamente la situazione ospedaliera era fortemente carente con un numero di posti letto molto inferiore allo standard richiesto dall’OMS. Eppure, l’articolo 32 della Costituzione parlava del diritto alla salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Belle parole cui non corrispondeva una realtà.

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, però, la società italiana si muove. Franco Basaglia nel 1961 comincia la sua esperienza a Gorizia, poi nel 1971 passa a Trieste e in questi anni elabora l’idea di chiudere i manicomi psichiatrici, sostenuto da un movimento di intellettuali e psichiatri.

Negli stessi anni cominciano le battaglie per la liberalizzazione dell’aborto sostenute da diversi attori con sfumature diverse: il movimento femminista, i radicali e, in ritardo, il PCI, anche se l’Unione Donne Italiane già discuteva di questi temi da tempo. Nel 1971, la sentenza della Corte Costituzionale cancella l’articolo 553 del codice Rocco che puniva “chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda contro di esse” e apre la strada al cambiamento.

Dei limiti dell’assistenza sanitaria si parlava già dalla fine degli anni Cinquanta e nel 1958 la CGIL approvò un documento in cui si chiedeva l’istituzione di un Sistema sanitario nazionale. Ma fu alla fine degli anni Settanta che l’incontro tra il pensiero laico e socialista (del PCI e del PSI) e quello della dottrina sociale della Chiesa, che trovava espressione politica in una parte della DC, permisero la nascita del Servizio Sanitario Nazionale. Una rivoluzione, verrebbe da dire, filosofica che vede “il superamento dello stato assistenziale per raggiungere uno stato di diritto”. La tutela della salute diventa un diritto di tutti i cittadini, di ogni età, sesso e censo. Le basi su cui poggiava la riforma erano la globalità delle prestazioni, l’universalità dei soggetti destinatari, l’eguaglianza di trattamento, il rispetto della dignità e della libertà della persona. Basi su cui vale la pena di riflettere oggi che il servizio viene attaccato da più fronti.

In tutti i luoghi in cui si dibatteva di questi temi e in prima persona a parlare con i protagonisti di queste battaglie troviamo Giovanni Berlinguer. Berlinguer ha speso buona parte della sua attività nell’impegno per rendere effettivo il diritto alla salute di ciascun individuo. “Una salute – come si legge nel libro - che è prodotto sociale, frutto della relazione fra gli individui, l’ambiente naturale e l’ambiente di vita e di lavoro”. L’interesse per la medicina nei luoghi di lavoro e quello per la prevenzione, i suoi lavori sulla bioetica quotidiana e sui determinanti sociali della salute si incontrano con i temi caldi di quegli anni. E si sostanziano nella sua attività come deputato, senatore e infine al Parlamento europeo dove si impegna a formulare proposte e a creare mediazioni. I suoi interventi, i suoi dubbi le sue battaglie sui temi delle tre riforme emergono dal libro e ci restituiscono una figura che non possiamo non rimpiangere. Ma soprattutto ci rafforzano l’idea che anche in momenti bui e difficili le cose possono cambiare. Se la politica fa il suo mestiere.

 


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