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Risposta alle osservazioni di Bolloré e Bonnassies

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Visto che a Bolloré e Bonnassies piacciono gli aneddoti, apprezzeranno sicuramente questo. Durante una lezione di logica matematica Bertrand Russell venne sfidato da uno studente: Ci dimostri che se 0=1 allora lei è il Papa. Una sfida congeniale per Russell, che si racconta rispose così. Aggiungiamo 1 a entrambi i lati dell’equazione ottenendo 1=2. L’insieme che contiene il Papa e me ha due elementi. Ma poiché 2=1 l’insieme contiene un elemento. Dunque il Papa sono io. 

Oltre alla proverbiale arguzia, l’elemento centrale della “prova" di Russell è lo slittamento semantico del verbo essere, reso possibile, attraverso passaggi logicamente corretti, da un’ipotesi falsa. Si tratta di uno slittamento analogo a quello che gli autori sembrano sottoscrivere nella loro replica dove usano il termine “prova” in modo diverso rispetto all’uso che ne fanno nel titolo del loro libro. Chi non intende “Dio, le prove, la scienza” come l’asserzione del fatto che la scienza fornisce prove per l’esistenza di Dio, fa un uso non standard della lingua (italiana). Eppure nella loro risposta affermano di non occuparsi di religione e neanche di teologia. Questo a dispetto dei capitoli che il libro dedica a Gesù e ai miracoli. La distinzione che elaborano tra “credere” e “avere fede” ci appare una distinzione lessicale che non sottende alcuna differenza sostanziale 

Comunque non è nostra intenzione dimostrare che Dio non esiste o che la religione sia qualcosa di negativo, siamo interessati solo agli aspetti propriamente tecnici nell’ambito delle nostre competenze, cioè matematica e fisica. Li abbiamo già illustrati nel nostro articolo, ma evidentemente in modo non chiaro. Riproviamo. 

Si parla di prova (in matematica si usa anche il termine dimostrazione, e più colloquialmente di teorema) quando l’ipotesi che A sia vera porta alla dimostrazione della verità di B. Dimostrare significa qualcosa di molto preciso e codificato dalla comunità matematica, ma che varia da contesto a contesto e che include, ad esempio, regole logiche e calcoli aritmetici che concorrono a definire la correttezza della prova. Qualsiasi sia il contesto però, se si parte da una premessa non vera si può arrivare più o meno dappertutto, come ci ricorda sagacemente Russell. 

Se invece la premessa A è soggetta a incertezza, si argomenta in modo diverso rispetto alla prova matematica. Si ragiona secondo argomenti, magari sensati, ma non completamente sotto controllo, ottenendo una conclusione B che non è mai certa, ma che nelle situazioni migliori è altamente probabile. Per questo si usa spesso il termine congettura. Si tratta del metodo di prova proprio dell’inferenza induttiva, che gioca un ruolo insostituibile nella scienza pur essendo metodologicamente ineffabile. Per questo, a partire da David Hume, ha dato grossi grattacapi a chiunque abbia tentato di venirne (rigorosamente) a capo. 

Le leggi fisiche, anche quelle famose e importanti non si dimostrano: non esiste una dimostrazione delle equazioni di Newton per la meccanica, o dell’equazione di Schrödinger per la meccanica quantistica. Ovviamente in ambito scientifico le prove (corrette) sono possibili solo in un ambito formalizzato e non necessariamente sono conclusive. Un esempio: esistono teoremi di meccanica analitica. In questo caso A è l’ipotesi che asserisce la validità delle equazioni di Newton, ma i risultati sono fisicamente rilevanti solo se le velocità in gioco sono basse rispetto alla velocità della luce e gli effetti quantistici sono trascurabili, quindi questi teoremi sono adeguati per la progettazione di navi e ponti, ma non per i semiconduttori. 

Bolloré e Bonnassies nella loro risposta non resistono al luogo comune popperiano. E visto che lo mettono di mezzo, commentiamo. Condividiamo l’osservazione centrale dell’epistemologia di Popper e cioè che un’affermazione scientifica debba essere in linea di principio falsificabile. Ricordiamo questa banalità solo per porre una domanda agli autori: quali sono a loro avviso i fatti empirici non ambigui (nel senso chiarito dall’aneddoto di Russell) che, se osservati, dimostrerebbero la non esistenza di Dio? Perché quelli che loro articolano: l’universo non può aver avuto un inizio assoluto; la vita deve apparire naturalmente dalla materia; e via discorrendo, non sono né accettati né respinti in modo unanime dalla comunità scientifica. 

Rielaboriamo, semplificandolo, il nostro argomento probabilistico. Immaginiamo una lotteria cui partecipano 10 milioni di persone. Per chi compra un biglietto la probabilità di vincita è decisamente piccola, una parte su 10 milioni. Ma un vincitore ci sarà sicuramente, diciamo il signor X. Dobbiamo forse pensare che il signor X sia un imbroglione con loschi contatti con i gestori della lotteria? Visto che la probabilità di vittoria è così bassa, il fatto che proprio lui abbia vinto dovrebbe forse far sorgere qualche sospetto sulla sua onestà? L’argomento riportato da Bolloré e Bonnassies secondo cui le costanti fisiche sono proprio quelle che ci permettono di esistere è esattamente dello stesso tipo: si osserva un evento improbabile e si conclude che non può essere successo per caso, preferendo l’ipotesi che sia piuttosto conseguenza di un “disegno intelligente”. Chissà cosa penseranno di Christine Wilson che nel maggio scorso ha vinto il Jackpot della lotteria dello stato del Massachussets due volte in dieci giorni. 

Infine, la guerra ai passeri nella Cina di Mao. A nostro avviso illustra molto bene come la compatibilità tra responsabilità politica e profonda ignoranza non sia affatto prerogativa dei nostri tempi. Tuttavia, nel lavoro sulla dinamica delle popolazioni che ha gettato le basi per la moderna biomatematica, il grande matematico Vito Volterra ha mostrato che nei sistemi ecologici i feedback possono essere non banali e addirittura controintuitivi. Un incremento della pesca, ad esempio, può portare all’aumento di certe specie di pesci, e questo spiega quello che è successo con in passeri.  

Gli aneddoti e le citazioni possono essere divertenti e sono spesso utili, ma mai conclusivi. Come abbiamo già ricordato, a fare la scienza sono le persone e le singole persone, anche competenti, non sempre sono in accordo tra loro. Ma è più raro che siano intere comunità a esprimere opinioni infondate, e anche di questo abbiamo già parlato. Il consenso scientifico non è facilmente misurabile. Certamente non dal numero di copie vendute. Ci rallegriamo con Bolloré e Bonnassies per aver superato in questo i Principia di Newton, e comprendiamo, non senza bonaria invidia, il loro orgoglio. Ma questo non prova le loro tesi. 

 

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