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Quanto è difficile innovare in Italia!

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Seguendo le discussioni e i convegni di questi giorni, ho ripreso in mano un libro, poco conosciuto in Italia, come peraltro il suo eccellente autore. Una documentata storia della vita di Adriano Buzzati Traverso e del suo tentativo di costruire un Laboratorio di genetica e biofisica (1962-1969), L'Italia intelligente,  di Francesco Cassata (Donzelli, 2013). Mi sembrava infatti un dejà vu rileggere la spinta alla internazionalizzazione della ricerca che avveniva in quegli anni, la necessità di uscire da pratiche formali e accademiche, dalle procedure amministrative paralizzanti (sempre a difesa dello status quo) , dai bassi stipendi non meritocratici. Luca Cavalli Sforza, la cui storia si intreccia nel libro con quella di Buzzati Traverso, fu un esempio di quelli che oggi chiameremmo cervelli in fuga, e, come accade anche oggi,  non solo perché vi sono bassi stipendi e incertezza del posto (tutto, entro certi limiti,  viene fatto da chi ha passione) ma proprio per la presa d’atto dell’assenza di spazio per la originalità, per la creatività e il nuovo.

Il clima oggi è certo diverso e cosi la politica, ma la sostanza è che il perdurante connubio tra accademia e  politica in Italia lavora per sopire l’impulso al cambiamento, lentamente strangolando ogni iniziativa. Persone quotate, come un genetista di valore come Montalenti, contribuirono a far tornare tutto nel pacifico e stagnante ambito della prassi accademica. Fino alla fine del tentativo, con il ‘68 italiano, che invece di aprire al nuovo, innalzava barriere, promuoveva una apparente rivoluzione, in realtà assecondando la progressiva dominanza di una mentalità burocratica e sindacale nella organizzazione della ricerca. 

In altri campi, a me più vicini, per decenni un Istituto privato prestigioso come Il Mario Negri è stato isolato e di fatto non poté far crescere una ricerca clinica indipendente, sostenuta dallo Stato, che pure per molti anni, grazie soprattutto ad Alessandro Liberati, ha promosso e guidato. D’altra parte anche la storia degli IRCCS è piuttosto desolante: da novità (vale per pochi di essi!) della ricerca a strumenti di distribuzione di spesa pubblica e oggetto di controllo politico, con poche stelle cadenti e molti fallimenti (si pensi a Milano e Genova nel campo dei tumori).

 Oggi l’Accademia universitaria è certo assai più variegata, ci sono settori di Università che sono competitivi a livello internazionale grazie alla buona volontà e alla capacità imprenditoriale; ma il sistema è nel suo insieme, come allora, paralizzato, e i pochi fondi sono spesi senza valutazione e programmazione. Rifinanziare i PRIN? Ma come evitare le assegnazioni a pioggia, le consorterie e lo spreco? Una Agenzia della Ricerca, con l’esempio dell’ANVUR a portata di mano? Quello che ha salvato i gruppi italiani di ricerca, quelli competitivi a livello internazionale, sono stati i bandi europei. In Europa i ricercatori Italiani sono andati  da soli, perché per iniziativa individuale sono riusciti a entrare in gruppi collaborativi internazionali, non perché sorretti dal sistema Italia (che funziona per altri paesi, vedi Olanda). 

Il bisogno di una decisione della politica c’è sempre per avviare iniziative di rinnovamento di questo tipo, il problema è che la politica ci metta i finanziamenti e li affidi in autonomia  in base a una idea e a una prospettiva. L’idea dell’Human Technopole, a me sembra, non è particolarmente originale, come non lo era, nel panorama occidentale, la proposta di Buzzati Traverso. E’ comparabile a quanto stanno facendo altri paesi e in particolare gli Stati Uniti. Quello che è difficile è farlo innovando fortemente la gestione, e affidarsi a fiducia, merito e valutazione. Può dispiacere, ma questo si trova necessariamente, oggi, fuori dai sistemi esistenti, che potranno trarne le conseguenze per cambiare profondamente e partecipare, per cambiare se stessi. Quello che, forse, sarebbe accaduto allora se Buzzati Traverso avesse avuto successo. Forse…


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La Valle dei dinosauri ritrovata nel Parco dello Stelvio

parete di roccia

Nel cuore delle Alpi, a 2500 metri di quota, si conserva la memoria di un mondo perduto. Pareti quasi verticali di Dolomia Principale, un tipo di roccia sedimentaria, custodiscono migliaia di impronte lasciate 210 milioni di anni fa da dinosauri erbivori che camminavano lungo le rive di un mare tropicale ormai scomparso. Una scoperta eccezionale, avvenuta nel Parco Nazionale dello Stelvio, che apre una finestra senza precedenti sul Triassico europeo e sulla vita sociale dei primi grandi dinosauri.

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