fbpx Planck: una nuova finestra sull’universo primordiale | Scienza in rete

Planck: una nuova finestra sull’universo primordiale

Primary tabs

Tempo di lettura: 6 mins

È stata scelta una città italiana, Ferrara, per presentare in anteprima mondiale gli ultimi risultati della missione europea Planck. Dal 2009 al 2013, il satellite dell'ESA ha osservato il cielo a 9 frequenze tra i 30 e gli 857 MHz, analizzando con straordinaria precisione la radiazione cosmica di fondo (CMB), quel “bagno elettromagnetico” nella banda delle microonde che permea l’intero cosmo e risale ad appena 380.000 anni dopo il Big Bang.
Il convegno, intitolato “The Microwave Sky in Temperature and Polarization”, è in corso a Palazzo Costabili, nel cuore del capoluogo estense, dal 1° al 5 dicembre. Sono oltre duecento gli scienziati provenienti da tutto il mondo che partecipano all’evento, in cui per la prima volta vengono annunciati alcuni risultati molto attesi.
Risultati che ancora la comunità scientifica non conosceva, in quanto verranno pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics soltanto il 22 dicembre.

Questione di piani

I dati di Planck si riferiscono alla mappa di temperatura della CMB, e rappresentano un miglioramento di quelli già presentati lo scorso anno. Ma la grande attesa era per i dati sulla polarizzazione della radiazione cosmica di fondo, una miniera di informazioni utili per i cosmologi che soltanto ora viene per la prima volta esplorata con grande precisione.
Come ogni altro tipo di radiazione elettromagnetica, la CMB è un fenomeno ondulatorio. Proprio come un’onda che si propaga sulla superficie di un lago, la radiazione cosmica di fondo è un’oscillazione del campo elettromagnetico di cui è “imbevuto” il cosmo. Misurare la polarizzazione del fondo cosmico significa sostanzialmente individuare i piani su cui avvengono le “oscillazioni” che compongono la CMB.
Per quanto possa non sembrarlo a prima vista, la polarizzazione del fondo cosmico è un parametro cruciale per sbirciare nei segreti dell’universo primordiale.

Didascalia: La mappa della polarizzazione della CMB, ottenuta osservando tutto il cielo alla frequenza di 70 Hz, che è stata presentata dal team di Planck in occasione del convegno di Ferrara. La scala dei colori indica il grado di polarizzazione, crescente dal bianco al nero; i segmenti indicano i piani di polarizzazione

Modello standard: tutto come previsto

Che cosa rivelano dunque i nuovi dati di Planck? A prima vista, una sbalorditiva conferma del modello cosmologico standard. I 6 parametri che i cosmologi usano per descrivere l’universo su larga scala (può sembrare strano, ma sono solo 6) sono in ottimo accordo con quelli ottenuti tramite le misure di temperatura, e ora sono noti con un 20-30% di precisione in più. Questo notevole “salto di qualità” toglie quasi ogni dubbio su un’eventuale discrepanza tra i dati di Planck e quelli di WMAP, il suo satellite predecessore nei primi anni Duemila. Insomma, quello che sappiamo sull’universo si rivela sempre più solido.
Questa la “ricetta” aggiornata fornita da Planck sulla composizione del cosmo: per il 4,9% è composto di materia ordinaria (sostanzialmente nuclei atomici), per il 26,6% di materia oscura e per il 68,5% di energia oscura. Della materia oscura – e, ancora di più, dell’energia oscura – sappiamo ancora molto poco, ma con i nuovi risultati di Planck possiamo se non altro escludere alcune possibilità. C’è chi ipotizzava che, qualunque cosa fosse, la materia oscura potesse decadere in particelle che si possono rilevare nei raggi cosmici. Missioni spaziali dedicate allo studio di queste particelle altamente energetiche, come Fermi o PAMELA, mostravano un eccesso di raggi cosmici che qualcuno ha proposto derivasse dall’annichilazione della materia oscura. I nuovi dati di Planck rendono questa ipotesi molto improbabile: se così non fosse, si sarebbero osservati degli effetti nella polarizzazione della CMB.
Per quanto riguarda la materia oscura, letteralmente, brancoliamo ancora nel buio.

Una reionizzazione tardiva

Uno dei più interessanti temi sollevati finora nel convegno riguarda un enigma che assilla i cosmologi da diversi anni, e che prende il nome di reionizzazione. Cerchiamo di capire di che si tratta.
L’universo, espandendosi, si raffredda. C’è stata un’epoca in cui la temperatura è scesa abbastanza da permettere agli elettroni di legarsi ai nuclei atomici: la materia è diventata neutra. Ma diverse osservazioni dell’universo lontano ci mostrano che da un certo momento in poi il gas contenuto nel cosmo è tornato a essere ionizzato: gli elettroni si sono nuovamente separati dai nuclei.
Da dove è venuta l’energia necessaria perché accadesse questo? L’ipotesi principe invoca la prima generazione di stelle, molto massicce e straordinariamente brillanti. Ma le osservazioni facevano pensare che l’epoca della reionizzazione fosse precedente alla nascita delle prime stelle. I dati cozzavano con il buon senso.
Planck ci aiuta a fare luce – letteralmente! – su questo mistero. I risultati presentati in questi giorni spostano in avanti l’epoca della seconda ionizzazione dell’universo: quanto basta per avere la prima generazione di stelle, e dunque una causa plausibile alla reionizzazione.

Neutrini: tre famiglie, molto leggere

Proseguendo nella panoramica dei dati presentati in questi giorni a Ferrara, degne di nota sono anche alcune novità sul fronte neutrini: grazie a Planck ora sappiamo qualcosa di più su queste particelle così sfuggenti e numerose. Le analisi sono straordinariamente compatibili con le conoscenze attuali, secondo cui ci sarebbero soltanto tre “famiglie” di queste particelle (chiamate neutrino elettronico, neutrino muonico e neutrino tau).
Abbiamo anche una stima molto precisa su quale possa essere la massa complessiva delle tre famiglie. Un neutrino elettronico, uno muonico e uno tau peserebbero, insieme, non più 0,7 elettronvolt: un valore minuscolo considerando che un solo elettrone “pesa” quasi un milione di volte tanto.

E l’inflazione?

Nel marzo di quest’anno il team di BICEP2, un esperimento posto in Antartide dedicato allo studio della radiazione cosmica di fondo, annunciò di aver scoperto nella polarizzazione della CMB la traccia di onde gravitazionali primordiali: una prova inconfutabile di una delle teorie più complesse e importanti in cosmologia, quella dell’inflazione cosmica. Alla notizia è seguito un forte dibattito, e lo scetticismo è cresciuto nei mesi finché in settembre il team di Planck ha pubblicato un articolo che metteva in forte discussione il claim iniziale di BICEP2.
Il convegno ferrarese ha presentato qualche novità da questo punto di vista? Non ancora. La collaborazione di Planck sta attualmente collaborando con quella di BICEP2 a un’analisi congiunta dei dati dei due esperimenti: i risultati verranno resi pubblici entro la fine del 2014 e finora c’è una comprensibile ritrosia nel dare troppe anticipazioni.
L’appuntamento per saperne di più è dal 15 al 19 dicembre, quando a Parigi si terrà il convegno “The Primordial Universe After Planck” che vedrà ancora una volta come protagonista, naturalmente, la radiazione cosmica di fondo.

Una finestra spalancata

Se c’è una “lezione” che possiamo imparare dai nuovi risultati di Planck è questa: non c’è niente che vada diversamente da come ce lo aspettassimo. Non è una conclusione strepitosa, come dice senza troppi giri di parole Nazzareno Mandolesi, responsabile di uno degli strumenti a bordo di Planck: «Speravo di trovare qualche anomalia». Sono molti i quesiti ancora irrisolti in cosmologia, e le “anomalie” rappresentano sempre un’ottima chiave per raggiungere una comprensione più profonda: in questo caso, del nostro universo. Per ora, non ci sono indizi che ci suggeriscano dove si possano nascondere le risposte che ancora non conosciamo.

Il grande impatto degli ultimi dati di Planck non sta quindi tanto nel loro contenuto, quanto nella loro precisione, irraggiungibile fino ad anche solo un decennio fa. Commenta Marco Bersanelli, astrofisico dell’Università di Milano e tra i responsabili della missione: «Effettivamente è come si se fosse aperta una nuova finestra sull’universo, che ci fa vedere la luce cosmica in modo nuovo. Non che finora non si fosse mai osservata in questo modo; il fatto è che se finora erano spiragli, adesso si è spalancata una finestra e la stanza è stata investita da una quantità enorme di informazioni e quindi di ricadute, sia di natura cosmologica che astrofisica».

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Una correlazione tra l’accumulo di plastica e il rischio cardiovascolare

Uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine evidenzia per la prima volta la presenza di micro- e nanoplastiche nelle placche aterosclerotiche di pazienti sottoposti a intervento chirurgico. Seguendo i pazienti per i 34 mesi successivi, il gruppo di ricerca ha potuto rilevare anche un maggior rischio di malattia cardiovascolare nei pazienti in cui erano state rilevate le microplastiche rispetto a coloro che invece non le avevano accumulate, e l’aumento di alcune molecole associate all’infiammazione

Che la plastica costituisca un enorme problema ambientale è ormai del tutto riconosciuto; così come sono riconosciuti i danni che causa a molte specie, soprattutto marine, che finiscono intrappolate da frammenti di reti, o i cui stomaci sono così pieni di rifiuti da impedire loro di alimentarsi.