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Un nuovo studio per navigare nella nebbia di Long Covid

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Un nuovo studio del progetto ORCHESTRA identifica quattro diversi quadri clinici della sindrome da long COVID e il loro impatto sulla vita dei pazienti: confermato il ruolo protettivo di vaccinazione, anticorpi monoclonali e corticosteroidi. Immagine: elaborazione di Samuel Jessurun de Mesquita, Silhouette, 1931, Rijksmuseum (CC0 1.0).

“Sindrome post-Covid 19”, “sequele post-acute di Covid 19” o, ancora, “Covid 19 persistente” sono sinonimi che denominano la stessa nebulosa di cui si parla da molto tempo senza averne ben chiari i contorni: l’Organizzazione mondiale della sanità consente di collocare sotto questi nomi (o quello omnicomprensivo di long covid) tutti i sintomi che insorgono entro tre mesi dalla diagnosi accertata o presunta di infezione da coronavirus, che durano per almeno due mesi e che non trovano nessun’altra spiegazione causale convincente.

Dei circa 200 sintomi finora segnalati è ignota anche la reale incidenza/prevalenza, ma già sulla sola base della triade sintomatologica più comune (difficoltà cognitiva, fiato corto e facile affaticabilità), si calcolerebbero in 65 milioni le persone affette da sindrome post Covid 19: talvolta i disturbi esordiscono de novo dopo la negativizzazione del test, altre volte sono presenti nella fase acuta e si prolungano nel tempo.

La difficoltà cognitiva viene anche definita nebbia cerebrale (brain fog) e consiste nella fatica a concentrarsi, in un’ideazione più lenta del solito e in frequenti dimenticanze.

Recentemente, l’esperienza clinica e il moltiplicarsi degli studi in proposito hanno fatto considerare possibile una distribuzione dei sintomi per raggruppamenti (cluster), legati a particolari risposte immunitarie o infiammatorie del paziente al virus oppure all’azione diretta del virus o all’interazione del virus con il microbioma dell’ospite.

Diradare il mistero del cosiddetto long covid è uno degli scopi del progetto ORCHESTRA (finanziato dal programma europeo Horizon 2020), inteso a coordinare e far convergere i risultati degli studi condotti sulle varie coorti nazionali in Europa e altrove per migliorare la prevenzione e il trattamento dell’infezione da SARS-CoV-2. Nell’ambito di questo progetto, Evelina Tacconelli, delle Malattie infettive dell’Università di Verona, ha diretto uno studio osservazionale multicentrico forte di un lungo follow-up e ora pubblicato sulla rivista eClinical Medicine, che fa parte della galassia editoriale di Lancet.

Lo studio ha coinvolto, dal febbraio 2020 al giugno 2022, quasi 1.800 pazienti dei quali ha indagato anamnesi, comorbilità e terapie concomitanti, caratteristiche cliniche, stato vaccinale e anticorpale, nonché l’uso di farmaci specifici in corso di Covid 19. L’esame dei cluster di sintomi ha identificato quattro fenotipi clinici: quello caratterizzato da affaticamento cronico, mal di testa e perdita di memoria (47% dei pazienti con long covid), quello caratterizzato da sintomi respiratori e tosse (23%), quello caratterizzato dal dolore cronico (artralgia e mialgia, 22%) e quello con coinvolgimento neurosensoriale (perdita o modificazione dell’olfatto e del gusto, 11%).

È emerso che le femmine risultano colpite da long covid più spesso dei maschi; sono, inoltre, più a rischio della sindrome i soggetti che hanno avuto, dell’infezione, manifestazioni gastroenteriche o renali. Sono, invece, a minor rischio quelli che hanno fatto una terapia precoce con anticorpi monoclonali (che prevengono tutti i fenotipi clinici del long covid) o con cortisonici (preventivi, in particolare, dei sintomi neurologici); funzionano da possibili “antidoti” anche l’antivirale nirmatrelvir, che sembra diminuire la probabilità di sviluppare la sindrome del 25%, come sostiene uno studio su 280.000 infettati con SARS-Cov-2 pubblicato in marzo su Jama Internal Medicine e la metformina, il cui uso, in uno studio su The Lancet Infectious Diseases ha dimostrato di ridurre del 40% lo sviluppo delle sequele dell’infezione, forse limitando la risposta infiammatoria.

Infine, lo studio del progetto ORCHESTRA coordinato dall’Università di Verona ha dimostrato che essere stati vaccinati riduce la probabilità di sviluppare affaticamento e dolore cronici e, in generale, di un long covid grave. (Anche se non manca chi oppone a queste prove segnalazioni aneddotiche di sintomi somiglianti a quelli da long covid, ma imputabili proprio al vaccino, situazione per la quale è già stato coniato il termine long Vax, e che andrà vagliato con ulteriori studi).

Questo capitolo è particolarmente rilevante: la protezione dal long covid offerta dalla vaccinazione (persino in una sola dose) aveva già dato in precedenza prove forti nello studio RECOVER, pubblicato in maggio su Nature Communications, sui dati di 5 milioni di persone con diagnosi di Covid 19, in una revisione di studi clinici pubblicata su BMJ Medicine in febbraio e in altre due metanalisi su un buon numero totale di pazienti, pubblicate su Antimicrobal Stewardship and Healthcare Epidemiology e su Jama Internal Medicine. Secondo gli autori di queste analisi, la vaccinazione aggiunge protezione anche alle persone che hanno già contratto Covid 19.

 


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Crediti immagine: Wikimedia Commons. Licenza: CC attribution-sharealike 3.0 unported

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