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Un modello per la struttura e la replicazione dei prioni

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Fibrille di proteina prionica. Crediti: NIAID/Flickr. Licenza: CC BY 2.0

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Non sono organismi viventi e nemmeno virus, ma causano malattie gravissime e dalla prognosi infausta; non contengono acidi nucleici, ma sono in grado di replicarsi nell'organismo: i prioni sono un paradosso biologico. Si tratta infatti di proteine ripiegate in modo anomalo, in grado di reclutare altre proteine sane forzandole ad assumere la conformazione tossica, cui si deve l'insorgenza di malattie quali l'encefalopatia spongiforme bovina (il "morbo della mucca pazza"), la Creutzfeldt-Jacob o l'insonnia fatale familiare.

La loro struttura e il meccanismo di replicazione sono da anni una sfida per gli scienziati che cercano di studiarle, perché tendono ad aggregare e rendono così impossibile l'applicazione dei tradizionali metodi di analisi biochimica. Ma un importante passo avanti è stato fatto con uno studio, recentemente pubblicato sulla rivista PLOS Pathogens che ha permesso di realizzare un modello computazionale in grado di descrivere la struttura del prione a livello atomico e ricostruire, per la prima volta, la propagazione della proteina tossica. I risultati sono frutto della collaborazione tra due discipline che di rado lavorano direttamente insieme: la biologia e la fisica quantistica.

Struttura e replicazione, i misteri del prione

«La forma fisiologica della proteina prionica, la cui funzione è ancora sconosciuta, è espressa sulla membrana cellulare di tutti i mammiferi. A seguito di eventi di natura genetica o di trasmissione diretta, la struttura della proteina sana può cambiare, assumendo la conformazione anomala che la trasforma nel prione tossico: si tratta di uno stato completamente differente che crea strutture amiloidi, ossia ammassi aggregati di proteina che reclutano al loro interno altre proteine sane, costringendole a cambiare forma», spiega Emiliano Biasini, professore di biochimica presso il dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata (CIBIO) dell’Università di Trento e scienziato dell'Istituto Telethon Dulbecco, nonché uno degli autori dello studio.

«I prioni sono stati isolati per la prima volta nei primi anni Ottanta dal biochimico Stanley Prusiner, che scoprì così la loro esistenza come agenti infettivi e per questo vinse il premio Nobel nel 1998; da almeno trent'anni è nota l'esistenza di un loro meccanismo di replicazione. Tuttavia, vi sono ancora due domande fondamentali cui la scienza non era riuscita a rispondere: qual è la forma della proteina infettiva, intesa come organizzazione spaziale degli atomi che la compongono? E come avviene, dal punto di vista molecolare, il cambiamento conformazionale delle proteine sane?».

Le informazioni sulla struttura dei prioni provengono infatti solo da osservazioni indirette: l'analisi diretta è ostacolata dalla loro tendenza a formare gli ammassi di amiloide, che ha reso impossibile studiarli con i metodi comunemente usati per analizzare la struttura delle proteina, come la cristallografia a raggi X e la risonanza magnetica nucleare. E, senza la struttura dettagliata, non è neanche possibile stabilire il loro preciso meccanismo di propagazione.

Biologia molecolare e fisica quantistica per studiare i prioni

La risposta per sopperire a questo limite arriva dal mondo della fisica teorica. «Abbiamo sfruttato metodi di calcolo originariamente sviluppati per studiare i fenomeni tipici del mondo subatomico per sviluppare un algoritmo che evolve nel tempo e permette di simulare i processi molecolari biologici», spiega Pietro Faccioli, professore associato del dipartimento di Fisica dell'Università di Trento e affiliato all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. «Applicato a tutte le informazioni a oggi disponibili sulla struttura del prione, l'algoritmo ci ha consentito di generare un modello statistico a risoluzione atomica del prione murino che ci consente di mimarne la replicazione. Il modello inizia a fornirci alcune risposte su una domanda fondamentale: perché i prioni, a differenza di altre proteine ripiegate in modo anomalo, riescono a costringere anche altre proteine a cambiare conformazione? I prioni sembrano agire da da modello di stampa (template) per le altre proteine. Dal punto di vista dei cicli fondamentali della fisica, proprio le caratteristiche specifiche del modello di stampa sembrano di consentire di sbilanciare il rapporto tra energia ed entropia durante la transizione da una conformazione all'altra. Pur non essendo una teoria definitiva, è un'ipotesi interessante su cui lavorare in futuro».

Il modello di replicazione del prione, disponibile in un video, suggerisce inoltre che il prione si propaghi agendo sulle proteine sane un pezzetto alla volta. «Secondo alcune ipotesi, l'ammasso amiloide formato dai prioni agisce da stabilizzatore della conformazione anomala delle proteine; il nostro modello suggerisce invece che "risucchi" tratto per tratto le proteine sane, e il meccanismo di replicazione abbia una sua sequenzialità », spiega Faccioli.

La ricerca continua

«Non ci fermiamo qui: dovremo rifinire sia il modello della struttura sia il modello della propagazione del prione», spiega Biasini. «Ma quanto abbiamo elaborato è un importantissimo primo passo per lo studio di queste proteine, perché rappresenta una base fondamentale per migliorare sempre di più la previsione del comportamento del prione, unendo gli aspetti sperimentali a quelli teorici. Queste informazioni sono cruciali per poter un giorno avere terapie mirate in grado di arrestare la replicazione dei prioni e il processo neurodegenerativo che inducono».

Intanto, lo studio pubblicato dai ricercatori trentini è un buon esempio di quando l'unione delle competenze possa aiutare il progresso delle conoscenze scientifiche, e che può richiedere un cambio di prospettive da parte dei ricercatori stessi. «I metodi matematici più avanzati della fisica teorica vengono utilizzati relativamente poco nello studio dei processi molecolari», commenta Faccioli. «Quando gli studi di fisica teorica rimangono vincolati all'ambito culturale della fisica stessa, la ricerca si articola secondo il metodo scientifico galileiano standard, che prevede l'analisi delle osservazioni, la formulazione di un modello teorico e infine verifica sperimentale dello stesso. Ma quando il lavoro si allarga e s'inserisce la difficoltà di considerare tutte le variabili presenti in biologia, il ruolo dei fisici diventa quello di formulare ipotesi che devono poi essere sviluppate. È una prospettiva affascinante da un punto di vista epistemologico».


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