Alla fine dell’ultima
glaciazione, intorno a 10.000 anni fa, in diversi luoghi del pianeta,
indipendentemente gli uni dagli altri, alcuni cacciatori-raccoglitori hanno
iniziato a coltivare le piante, dando inizio di fatto all’agricoltura.
Non è
chiaro cosa li abbia spinti a diventare agricoltori, molto probabilmente la
necessità di affrancarsi dalla caccia (alcune volte va bene, ma tante altre si resta
a mani vuote) oltre alla curiosità e allo spirito inventivo.
Ben presto però si rendono conto
che le piante selvatiche hanno caratteristiche che poco si addicono alla
coltivazione. A maturità le piante selvatiche disperdono i semi nell’ambiente,
i semi non germinano tutti allo stesso tempo, inoltre sono ricchi di sostanze
tossiche e ricoperti da involucri legnosi che li proteggono.
Tutti questi caratteri sono essenziali
per la sopravvivenza delle piante selvatiche in natura e dipendono dall’azione
di specifici geni contenuti nel loro DNA, ma sono molto svantaggiosi per la
coltivazione. I geni però di tanto in tanto vanno incontro a mutazioni spontanee,
del tutto naturali, che modificano i caratteri delle piante.
l’uomo-raccoglitore diventa agricoltore
L’uomo, da sempre attento
osservatore del suo territorio, nota le caratteristiche delle piante mutate e seleziona
quelle con caratteri favorevoli alla coltivazione. Cosa c’è di meglio che
coltivare piante che mantengono i semi attaccati alla spiga o al baccello,
piuttosto che disperderli nel terreno; che producono semi privi di tossine e che
germinano tutti contemporaneamente; semi non ricoperti da glume che possono
essere subito macinati, piuttosto che sbucciati uno a uno.
Grazie a queste piante mutate e
ai loro caratteri, l’uomo-raccoglitore diventa agricoltore, smette di girovagare
alla continua ricerca di cibo, costruisce case, le tribù diventano più
numerose, inizia a dipendere dalle piante mutate per la propria sopravvivenza e
le piante mutate, prive dei caratteri selvatici, dipendono dall’uomo.
La nostra civiltà, cosi come oggi
la conosciamo, dipende dall’agricoltura e da 10.000 anni di selezione di piante
mutate e di caratteri vantaggiosi per la coltivazione. Basta guardare al cibo
che troviamo sulle nostre tavole ogni giorno, per capire che questi prodotti
dell’agricoltura sono molto diversi dai loro antenati selvatici. Per citarne
soltanto alcuni, i pomodori più o meno grandi e rossi che coltiviamo derivano
da un pomodoro selvatico piccolo e giallo (d’oro per l’appunto), le banane
senza semi sono state ottenute da banane selvatiche molto piccole e ricche di
semi, le mandorle che coltiviamo sono prive di tossine, il mais deriva
dall’antenato selvatico teosinte (da “teocintli”, parola azteca che significa
“seme degli dei”) così diverso dal mais di oggi che per lungo tempo fu considerato
un'altra specie.
Dai piselli di Mendel all'avvento della biologia molecolare
Tra la fine del 1800 e gli inizi
del secolo scorso, grazie agli esperimenti sui piselli dell’abate Gregor Mendel
e agli incroci dei frumenti di Nazareno Strampelli, inizia il miglioramento
genetico delle piante fondato su basi scientifiche e basato sulla selezione dei
caratteri e incroci selettivi. Da subito si avverte la necessità di mettere
appunto dei metodi per introdurre in modo artificiale mutazioni nel DNA delle
piante con frequenze molte più alte delle rare mutazioni spontanee che avvengono
in natura. Si iniziano così a trattare i semi con sostanze chimiche e agenti
fisici, quali radiazioni UV e raggi X, con l’intento di ottenere piante con
un’alta frequenza di mutazioni da selezionare sulla base di caratteri
interessanti per nuove varietà. Il Frumento Creso, frumento duro per la pasta ottenuto
per irraggiamento di semi con radiazioni nucleari presso l’ENEA negli anni ’70,
è un esempio dell’efficacia di questa strategia. Negli anni ’80 e ’90, il
frumento Creso costituiva il 50% del frumento duro coltivato in Italia e ancora
oggi rappresenta il 10% del frumento duro per la produzione di pasta.
E’ interessante osservare,
tuttavia, come nessuno si sia mai opposto all’uso del frumento Creso per la
produzione di pasta, nonostante sia stato ottenuto attraverso esperimenti di
mutagenesi del tutto artificiali. Da un punto di vista scientifico non c’è
nulla di cui essere sorpresi o spaventati, visto che tutti gli organismi
viventi sono costantemente esposti a radiazioni in grado di modificare il
proprio DNA, a cominciare dalle radiazioni UV, e la natura stessa seleziona i
caratteri più vantaggiosi attraverso l’evoluzione, mentre l’uomo lo fa
attraverso la domesticazione.
Negli anni ’70 grazie allo
sviluppo della biologia molecolare, si è iniziato a studiare a livello
molecolare le osservazioni genetiche fatte anni prima da Mendel e dai premi Nobel
Thomas Hunt Morgan e Barbara McClintock. Lo sviluppo di tecniche in grado di
clonare e amplificare in maniera selettiva frammenti di DNA provenienti da
qualunque organismo hanno permesso di studiare la sequenza del DNA e
comprendere la funzione dei geni. Da allora la genetica molecolare è diventata una
disciplina molto importante per studiare le malattie dell’uomo, ma ha fornito anche
strumenti importanti per comprendere le basi molecolari dei caratteri
selezionati nelle piante coltivate.
Grazie alla genetica molecolare,
oggi conosciamo i geni e le mutazioni che sono state selezionate dall’uomo
migliaia di anni fa e che sono responsabili di caratteri molto importanti per
le piante coltivate, come la capacità di trattenere i semi maturi invece di
disperderli nel terreno. Conosciamo anche i dettagli molecolari di caratteri
selezionati molto più di recente, come i frumenti a taglia bassa di Nazareno
Strampelli e i frumenti a taglia bassa e resistenti alle ruggini, ottenuti da
Norman Borlaug, il padre della rivoluzione verde che ha ricevuto il premio
Nobel per la pace nel 1970.
Oggi, lo sviluppo di sistemi di sequenziamento di nuova generazione che consentono di ottenere la sequenza completa di interi genomi in tempi brevi e a costi contenuti ci permette di fare un ulteriore passo in avanti. Questa tecnologia è passata attraverso un’enorme rivoluzione e lo sviluppo tecnologico ancora in corso permetterà ad ognuno di noi di conoscere la sequenza del proprio DNA, da utilizzare in futuro per lo sviluppo della medicina “ad personam”. La facilità con cui oggi si sequenzia il DNA ha avuto ovviamente un impatto importante anche sulla ricerca vegetale, come testimoniano i genomi sequenziati di specie di notevole interesse agronomico, quali riso, mais, pomodoro, melo e vite. L’Italia ha avuto un ruolo molto importante in questa fase e al moneto partecipa al sequenziamento del complesso genoma di frumento, circa 6 volte più grande del genoma dell’uomo.
Perché stiamo sequenziando tutti questi genomi e quali benefici ne possiamo trarre?
Qualcuno, probabilmente poco
esperto, sostiene che le informazioni ottenute dal sequenziamento dei genomi
sono sufficienti a migliorare le piante coltivate, ma ciò assomiglia più ad una
favola che alla realtà.
La sequenza di un genoma ci da
informazioni circa l’evoluzione del genoma stesso, la sua struttura, i geni che
contiene, ma ci dice poco o nulla della funzione dei geni. Ad esempio il genoma
della pianta modello Arabidopsis thaliana
(l’equivalente del topo per la ricerca animale), la cui sequenza è nota dal
2000, ha circa 30.000 geni, ma soltanto del 10-20% di questi geni abbiamo una
parziale conoscenza della funzione. L’analisi della funzione dei geni è
complicata dal fatto che molti sono ridondanti, sono cioè presenti in diverse
copie tutte con la stessa funzione. Pertanto, se uno di questo geni ha una
mutazione che lo inattiva, le altre copie saranno in grado di svolgere la
stessa funzione e l’effetto della mutazione non potrà essere osservato. E’
inoltre importante considerare che i geni che hanno una certa funzione nella
pianta modello Arabidopsis thaliana spesso
hanno lo stesso ruolo in pomodoro, riso e altre specie di interesse agronomico.
Quale è allora la sfida che siamo chiamati ad affrontare?
Dobbiamo mettere a punto nuovi
approcci che ci permettano di conoscere la funzione dei geni presenti in un
genoma in tempi molto più rapidi, in maniera tale da avere in mano gli
strumenti per accelerare il miglioramento delle nostre piante. Grazie a queste
conoscenze potremo identificare i geni importanti che controllano la crescita,
la fotosintesi, la fertilità, la tolleranza alle alte temperature e alla
siccità, agli attacchi degli insetti e dei virus ecc.
Questa conoscenza è
assolutamente necessaria in quanto le pratiche agricole attuali, sia biologiche
che tradizionali, necessitano di troppi pesticidi, fertilizzanti, acqua e
terra, e non potranno essere sostenibili per molto tempo ancora. Inoltre, se si
considera che la popolazione mondiale aumenta di circa 80 milioni di persone
ogni anno (più dell’intera popolazione del nostro Paese) nuove soluzioni
dovranno essere messe in atto molto presto se non vogliamo distruggere il
nostro pianeta. In linea di principio ciò di cui abbiamo bisogno subito è velocizzare
l'analisi dei geni contenuti nei genomi delle piante e utilizzare queste
conoscenze per accelerare la domesticazione delle piante stesse. Ciò significa
che dovremo essere in grado di introdurre mutazioni specifiche in geni
selezionati, senza mutarne degli altri, analizzarne gli effetti e se vantaggiose
introdurre queste mutazioni nelle varietà coltivate.
La grande notizia è che la
tecnologia di cui abbiamo bisogno per introdurre queste mutazioni in modo
specifico e rapido è stata messa appunto di recente. Ha un nome un po’
complicato “Clustered regularly interspaced short palindromic
repeats-associated protein Cas9”, gli addetti ai lavori la chiamano CRISPR-Cas9,
ed è in grado di introdurre delle piccole delezioni nel DNA di qualunque
organismo, in modo del tutto specifico, grazie all’azione di due geni, gRNA e
Cas9. Naturalmente i due geni devono essere introdotti nella pianta d’interesse
che quindi diventa transgenica. Tuttavia, diversamente dalle piante
transgeniche realizzate sino ad ora, dove il transgene serve ad aggiungere il
carattere desiderato, in questo caso il transgene è necessario solo temporaneamente
e serve ad introdurre una mutazione nel gene d’interesse distante nel genoma dai
transgeni gRNA e Cas9.
Quest’ultima caratteristica è
molto importante in quanto consente di rimuovere i transgeni mediante incrocio e
quindi di ottenere una pianta non-OGM (Organismo Geneticamente Modificato), con
la mutazione desiderata. La stessa mutazione potrebbe, in linea di principio,
essere ottenuta anche attraverso la mutagenesi spontanea, per esempio attraverso
l’azione naturale dei raggi UV, o mediante la mutagenesi indotta da sostanze
chimiche o radiazioni nucleari come è già stato fatto per molte delle colture
che mangiamo ogni giorno (si veda l’esempio del frumento Creso).
Nonostante
da un punto di vista scientifico tutto sia molto chiaro e lineare, in Europa
alcune organizzazioni anti-OGM ritengono che le piante mutate tramite CRISPR-Cas9
debbano essere considerate organismi geneticamente modificati. Va da se che se
prevarrà questa linea, qualunque alimento dovrà essere considerato OGM, in
quanto contiene diversi geni mutati, selezionati dall’uomo durante il processo di
domesticazione.
Da un punto di vista legislativo,
la situazione è ancora più paradossale: come si potrà stabilire che le piante mutate
ottenute tramite CRISPR-Cas9 sono OGM, se non si è in grado di dimostrare che le
stesse piante contengono il transgene?
Crediamo che sia molto
pericoloso, miope ed eticamente discutibile opporsi all'uso della tecnologia CRISPR-Cas9
in agricoltura, in quanto ci potrà consentire di ottenere in tempi rapidi
informazioni importanti sul ruolo dei geni contenuti nel genoma di molte specie
di interesse agronomico. Queste conoscenze ci
consentiranno di migliorare le piante che coltiviamo, di rendere l’agricoltura
più sostenibile e di trovare soluzioni ai molti problemi che l’agricoltura deve
affrontare quotidianamente in qualunque parte del mondo.
Si
tratta di una grande opportunità per noi e per il nostro Paese con enormi
ricadute benefiche sia per l’ambiente che per la nostra economia. Ci consentirà
di tradurre molto rapidamente le scoperte scientifiche, fatte nei laboratori di
tutto il mondo, in applicazioni per l’agricoltura, senza le lunghe ed
estremamente costose procedure legislative legate all’accettazione delle
colture OGM, che oggi possono essere affrontate soltanto dalle multinazionali
sementiere. Grazie all’applicazione della tecnologia CRISPR-Cas9 anche le
piccole aziende italiane potranno migliorare e salvaguardare le varietà tipiche
italiane e renderle competitive in un mercato globale, creando nuove
opportunità in un comparto che ne ha disperato bisogno.
di MARTIN KATER e PAOLO PESARESI