fbpx Mascherine utili negli ambienti chiusi o vicino a persone | Scienza in rete

Mascherine utili negli ambienti chiusi o vicino a persone

Primary tabs

Tempo di lettura: 9 mins

L’obbligo di utilizzo delle mascherine per tutti gli spostamenti all’aria aperta, deciso dall’ordinanza della Regione Lombardia del 4/4/2020, ha suscitato un notevole dibattito, basato per lo più su opinioni generiche e buone intenzioni, ma poco ancorato alle conoscenze scientifiche disponibili. Proviamo a riassumere alcuni principi e dati su cui dovrebbe basarsi una scelta razionale sull’utilizzo delle mascherine durante l’epidemia da COVID-19. Le considerazioni che seguono valgono per la popolazione generale, non per le persone che per motivi professionali sono esposte, es. operatori sanitari, per i quali l’uso di dispositivi di protezione individuale è obbligatorio e molto articolato. Per chi non intende leggere tutto il testo anticipiamo la conclusione: le mascherine sono utili negli ambienti chiusi o in vicinanza di altre persone.

Ogni decisione della pubblica amministrazione, in particolare quando riguarda la vita di milioni di persone, dovrebbe basarsi su una valutazione sia della sua efficacia (la scelta permette di raggiungere l’obiettivo), che della sua efficienza (è la soluzione migliore). Quest’ultimo aspetto richiede di analizzare i benefici e i costi (non solo economici) della decisione stessa, per diverse fasce sociali o di età, tenendo conto delle incertezze sulle conoscenze disponibili. La gestione delle incertezze è un tema particolarmente importante nei periodi di emergenza, quando la gravità della situazione e l’allarme sociale portano a necessità di valutazioni in tempi rapidi, sulla base di conoscenze incomplete. Nonché di adottare un principio di precauzione per affrontare situazioni in cui l’evidenza scientifica sia limitata o non concordante. Anche in questi periodi è comunque necessario che le decisioni siano ancorate alle informazioni scientifiche disponibili, nei settori interessati. Nel caso dell’obbligo dell’uso delle mascherine, oltre alla scienza medica (epidemiologia, virologia, infettivologia) sono importanti le competenze sulla fisica dell’atmosfera (es. su come si muovono nell’atmosfera gli aerosol che potrebbero trasportare i virus); se sono misure che riguardano gli esseri umani, è importante poi valutare anche gli impatti sulla psiche e sulla socialità; fattori che pure determinano costi e conseguenze sanitarie.

Benefici

I benefici dell’uso della mascherina sono legati alla possibilità di ridurre il numero di infezioni derivanti dalla presenza di virus nell’aria respirata, nonché alla riduzione dell’emissione di virus nell’aria.

È indiscutibile che per il sorgere di un’infezione sia necessario una carica virale, e che questa carica e quindi la possibilità infettante   è diversa a seconda della suscettibilità della persona. Tuttavia, è altresì noto che l’entità di virus (generalmente definita “esposizione”) dipende:

  1. dalla potenza della sorgente virale (“emissione” degli infetti);
  2. dal rateo di decadimento della carica virale "attiva"; 
  3. dal grado di diluizione /dispersione nell’ambiente (legata a fattori micro climatici e alla meteorologia);
  4. dalla distanza dalla fonte; 
  5. dalla presenza di dispositivi di protezione (es. mascherine).
  6. dalla durata dell’esposizione

Potenza della sorgente virale (emissione degli infetti): dipende dal numero di contagiati, nonché dal loro comportamento (es. starnuti o tosse effettuati senza protezioni) e dall’uso di dispositivi di protezione che trattengono il virus. L’emissione del virus avviene generalmente nelle goccioline d’acqua, in particolare con starnuti o colpi di tosse. Un locale con tanti infetti, o un condominio con una grande presenza di persone infette, sono ad esempio luoghi da cui può derivare un’emissioni virale più elevata. Un elemento rilevante è la vitalità del virus che, in analogia con altri virus, è molto breve con una sopravvivenza di poche ore e un po' più lunga su superfici. Alcuni studi, indicano una possibilità di emissione di virus di COVID-19 anche su aerosol, con il respiro e parlando, anche se secondo l’OMS non c’è ancora evidenza scientifica a supporto che il virus SARS-CoV-2 sia trasmissibile con aerosol [1]. L’uso di una mascherina permette di ridurre l’emissione di virus attraverso le goccioline.

Rateo di decadimento della carica virale: dipende dalla forma di trasporto e dalle condizioni ambientali. Le micro-goccioline d’acqua, il vettore di trasporto più importante del COVID-19, sono soggette ad evaporazione, in relazione principalmente alla temperatura e umidità dell’aria. La stragrande maggioranza degli studi disponibili indica una permanenza di COVID-19 nelle goccioline d’aria limitata a pochi minuti, mentre sull’aerosol sono ipotizzati tempi di permanenza di alcune ore. Alcuni autori hanno avanzato ipotesi di permanenza maggiore, arrivando a ipotizzare la permanenza dell’aerosol con carica virale per diversi giorni.È stata avanzata l’ipotesi sulla capacità del particolato atmosferico di trasportare a grande distanza il COVID-19; ma si tratta solo un’ipotesi, assolutamente senza alcuna prova a supporto. 

Grado di diluizione /dispersione della carica virale in ambienti chiusi e nell’atmosfera. Occorre ricordare, come nel caso degli inquinanti atmosferici, che la  dispersione dipende principalmente dalla meteorologia, legata alla presenza di condizione che favoriscono un grande rimescolamento nell’atmosfera (movimenti orizzontali legati alla ventosità e movimenti verticali legati alle condizioni di stabilità dell’atmosfera). In bacini aperti e con movimento continuo delle masse d’aria, il trasporto dell’aerosol può avvenire a grande distanza, senza determinare quindi fenomeni di accumulo. In bacini chiusi e in condizioni di stabilità atmosferica (es. ricorrenti nel bacino padano nei mesi invernali) il volume di diluizione degli aerosol è comunque enorme, di diverse migliaia di miliardi di metri cubi, ed occorrono quindi emissioni rilevanti e lunghi tempi di permanenza degli inquinanti per determinare concentrazioni elevate. In condizioni di scasa ventilazione e rimescolamento, con bassa altezza dello strato di mescolamento, la diluzione è ancora sfavorita, ma riguarda comunque centinaia di milioni o miliardi di metri cubi di aria. È chiaro dunque che per un molto improbabile accumulo della carica virale eventualmente trasportata dagli aerosol sono necessarie emissioni rilevanti e un tempo di permanenza di diversi giorni, come ad esempio avviene per diversi tipi di allergeni in alcuni periodi dell’anno. Negli spazi chiusi, invece, i volumi di diluizione sono molto più limitati, quindi in presenza di una sorgente le possibilità di accumulo sono molto più rilevanti.

Distanza dalla fonte: la distanza fra l’emissione di virus e il recettore è un fattore che, a parità di condizioni microambientali e di circolazione dell’aria, determina l’aumento del grado di diluzione della carica emessa. Chiaramente, se si è “sottovento” ad una sorgente l’esposizione sarà maggiore che “sopravento”; ma a parità di posizione rispetto alla direzione del vento, l’esposizione diminuirà con la distanza. 

Efficacia dei dispositivi di protezione (es. mascherine): i dispositivi di protezione come le mascherine, grazie all’azione filtrante del tessuto, possono ridurre l’esposizione al virus, in relazione al grado di capacità filtrante della mascherina e al suo corretto utilizzo. L’efficienza di filtrazione varia col tipo di mascherina (FFP1: >80%; FFP2: >94%; FFP3: > 99%). Va ricordato che le percentuali di efficienza sono relative al potere filtrante del tessuto, ma non alla riduzione della probabilità di infezione a parità di esposizione, che secondo alcuni studi - relativi ad altri tipi di infezioni respiratorie - è notevolmente inferiore [2]. L’efficacia nell’impedire un’infezione respiratoria varia notevolmente a seconda del tipo di mascherina;[3] l’evidenza scientifica sull’efficacia per il COVID-19 è limitata, per mancanza di test specifici su questo tipo di epidemia. In ogni caso, uno dei motivi di riduzione dell’efficacia è che la mascherina è spesso non indossata correttamente. Va infine ricordato che l’efficacia filtrante per gli aerosol di sciarpe e foulard è irrisoria; può servire al limite a impedire la diffusione di micro-goccioline, che come detto avrebbero comunque una permanenza limitata in atmosfera. 

Durata dell’esposizione: se una esposizione limitata nel tempo ad un determinata quantità di virus  potrebbe non essere sufficiente per raggiungere la dose infettante, un’esposizione prolungata può aumentare la probabilità di infezione. 

Dalla combinazione di questi fattori emerge la possibilità che una determinata carica virale possa determinare o non determinare un’infezione. Per esempio, una riduzione complessiva della carica virale potenzialmente nociva può derivare dalla riduzione della emissione (es. per la diminuzione del numero persone infette), o dalla presenza di un’atmosfera più dispersiva, o da una maggiore distanza dalla sorgente; o infine dal corretto utilizzo di una mascherina.

Si può ritenere che le concentrazioni di virus all’aria aperta, a molte decine di metri dalla fonte di emissione, in condizione di media ventilazione sono molto difficilmente tali da poter determinare lo sviluppo di un’infezione. In queste condizioni, il beneficio dell’uso della mascherina appare irrilevante. Diverso il caso degli spazi chiusi, o dei contatti ravvicinati, caratterizzati da minori volumi di diluzione e distanze. 

Costi

L’uso generalizzato della mascherina, da parte di tutta la popolazione e in generale negli spazi aperti, comporta diversi tipi di costi e problemi.

Innanzitutto, l’uso della mascherina è associato a diversi tipi di fastidi, legati alla difficoltà di respirazione legate alla “perdita di carico” generata dal mezzo filtrante sull’aria respirata, al ristagno di CO2 espirata.

I costi economici dipendono dal prezzo di acquisto della mascherina, che possono aumentare molto durante i periodi di emergenza e in condizioni di scarsità, e dalla frequenza del ricambio, che dipende dall’entità dell’utilizzo. 

Un uso generalizzato comporta il rischio di una minore disponibilità di mascherine per le persone più esposte e che dovrebbero maggiormente utilizzarle, come il personale sanitario o le persone che svolgono servizi essenziali a contatto col pubblico.

Infine, l’uso costante delle mascherine induce secondo l’OMS un falso senso di protezione, che può portare a ridurre l’attenzione ad altri e più importanti modi per ridurre il rischio di infezione, come il mantenimento della distanza, il lavaggio delle mani. La riduzione della distanza è pericolosa in quanto la mascherina non proteggere dalla penetrazione del virus negli occhi [4]. Altre fonti invece sottolineano il possibile effetto prosociale di solidarietà collettiva con le mascherine [5].

Conclusione 

Il potenziale di contagio è molto superiore per gli ambienti indoor (ad esempio gli uffici, gli spazi commerciali o le infrastrutture del trasporto pubblico) o per i luoghi aperti particolarmente frequentati dalle persone nei quali la distanza viene ridotta. Al fine di limitare la probabilità di contagio, è più importante l’utilizzo di sistemi aggiuntivi di protezione dove le concentrazioni possono essere più elevate (negli spazi chiusi, nelle vicinanze altre persone), e non aumentare tout-court l’uso della protezione in zone (es. gli spazi aperti) dove le concentrazioni sono inferiori. In ambienti all’aperto poco frequentati, in cui le persone possono mantenere distanze di diversi metri, l’uso della mascherina ha benefici del tutto trascurabili, non tali da compensare gli inevitabili costi, anche solo economici. 

Paradossalmente, se si volesse suggerire comunque l’uso della mascherina, come ulteriore protezione anche ingiustificata dalla reale presenza di una carica virale, dovrebbe essere esteso durante tutto il periodo di permanenza a contatto con l’atmosfera in cui potenzialmente può essere presente una carica virale, ossia a tutte le 24 h, anche sui balconi, nei cortili, e anche nelle abitazioni. Avrebbe poco senso proteggersi dal virus eventualmente presente nell’aerosol atmosferico solo all’uscita dell’abitazione. 

In conclusione, l'obbligo di portare la mascherina solo per il fatto di uscire di casa (quindi anche se non c'è anima viva in giro o a 20 o 50 metri di distanza), appare del tutto ingiustificato dal punto di vista scientifico. Ha un senso solo se uscendo di casa si presume di frequentare ambienti chiusi, di incontrare persone, di non poter mantenere la distanza di sicurezza. In questi casi, la mascherina varrà per la protezione degli altri più che di noi stessi.

Non è un caso che l’uso delle mascherine negli spazi aperti non sia mai stato raccomandato dalle autorità sanitarie. Viceversa, nelle linee-guida pubblicate il 6 aprile, l’OMS ha affermato che le mascherine mediche dovrebbero essere riservate agli operatori sanitari. Ha specificatamente affermato che "attualmente non ci sono prove che indossare una mascherina (medica o di altro tipo) da parte di persone sane in un contesto di comunità più ampio, incluso l’uso da parte di grandi comunità, possa impedire loro di contrarre virus respiratori, incluso Covid-19"[6].  

 

Note
1. Una rassegna di queste informazioni è disponibile nell’articolo Lewis D. (2020) Is the coronavirus airborne? Experts can’t agree . Nature news, 2 aprile  http://tiny.cc/jn5qmz
2. Brainard JS, Jones N, et al. (2020) Facemasks and similar barriers to prevent respiratory illness such as COVID-19: a rapid systematic review. medRxiv 2020.04.01.20049528 
3. MacIntyre CR, Seale H, Dung TC, et al . (2015) A cluster randomised trial of cloth masks compared with medical masks in healthcare workers. BMJ Open, 5, e006577. 
4. Mahase E. (2020) Covid-19: What is the evidence for cloth masks? BMJ 2020, 369, 9 aprile.
5. You don't have to be Asian to wear a face mask in an epidemic, Japan Times. 
6. World Health Organization. Advice on the use of masks in the context of COVID-19. 6 Aprile 2020. 

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.