fbpx Stock ittici: la salute del mare | Scienza in rete

Il mare, la pesca e il clima

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Come stanno le riserve ittiche? Un terzo sono in sovrasfruttamento secondo i dati FAO e la maggior parte è sfruttata al massimo delle potenzialità. Serve rafforzare adattamento climatico, protezione e ripristino della biodiversità e continuare a ridurre le emissioni di gas serra.

Immagine Pixabay

Durante quest’estate è capitato spesso di leggere o ascoltare avvertimenti e allarmi sullo stato degli stock ittici, sia dal punto di vista dell’eccesso di pesca sia dal punto di vista dell'impatto delle temperature crescenti. Il WWF ricorda con il Fish Dependence Day che a luglio 2024 l’Europa ha esaurito le risorse interne per la produzione di pesce, compresi molluschi e crostacei, analogamente a quanto avviene con l’Overshoot Day. Il Post racconta della riduzione della proliferazione di molluschi in Veneto, Emilia-Romagna e Puglia, dove il Mare Adriatico ha registrato temperature decisamente alte. Si veda al riguardo questo video girato nelle coste del Conero, dove si documenta la moria di cozze.

Adattamento, protezione e natura

L’ultimo rapporto dell’IPCC, nel volume dedicato all’adattamento, indica quali sono le soluzioni da applicare per contenere gli impatti del riscaldamento globale sulla salute dei mari, pesca compresa. Ricordiamo infatti che i cambiamenti climatici peggiorano gli impatti sulla vita marina già dovuti ad altri fattori, come il degrado degli habitat, l'inquinamento marino, la pesca eccessiva e l'introduzione di specie non indigene. In più, le temperature maggiori incrementano l’eutrofizzazione costiera e l’ipossia associata che aumentano la mortalità anche negli stock ittici.

Sulle Aree Marine Protette, nella fattispecie, l’IPCC indica che serve aumentarne l’efficacia.

le AMP possono contribuire in modo sostanziale all'adattamento e alla mitigazione se sono progettate per affrontare i cambiamenti climatici, implementate in modo strategico e ben governate. Il ripristino degli habitat limita la perdita di servizi ecosistemici legata ai cambiamenti climatici, tutela la biodiversità, protegge le coste, promuove il turismo, fornisce benefici di mitigazione su scala locale e regionale (per esempio, attraverso ecosistemi “blue carbon” che immagazzinano carbonio) e può salvaguardare la produzione ittica in un clima più caldo.

Al riguardo, è recente la notizia dell’approvazione definitiva del regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) di almeno il 20% entro il 2030 delle zone terrestri e marine, che si inserisce nel contesto di protezione della biodiversità del Green Deal europeo – vedi target di protezione del 30% entro il 2030. Politiche che avranno bisogno del pieno sostegno della nuova Commissione europea in fase di composizione (e che però non sono ben viste dall’attuale Governo italiano).

Dal punto di vista dell’adattamento climatico, in generale, l’IPCC ricorda il ruolo e l’efficacia crescente delle nature-based solution, le soluzioni basate sulla natura. Cioè quelle azioni che usano il più possibile meccanismi adattativi che producano benefici contemporanei anche sulla riduzione delle emissioni di gas serra e sulla conservazione della biodiversità (oltre che benefici sociali, economici e culturali). Infatti, si legge nel rapporto IPCC, «l'efficacia delle nature-based solution diminuisce con il riscaldamento; la conservazione e il ripristino da soli non saranno sufficienti a proteggere le barriere coralline oltre il 2030 e a proteggere le mangrovie oltre il 2040». In altre parole, serve sempre e comunque continuare a ridurre le emissioni.

Come stanno le riserve ittiche

Nel rapporto della FAO The State of World Fisheries and Aquaculture 2024, viene descritto lo stato delle riserve ittiche nel mondo, distinguendo tre gruppi principali: le riserve sfruttate sotto le potenzialità massime, quelle sfruttate al massimo delle potenzialità (dove prelievo e rigenerazione sono in equilibrio) e quelle sovrasfruttate. Dal 1974 al 2021 si registra un andamento in continuo peggioramento: oggi un terzo circa degli stock è sovrasfruttato.

Interessante anche osservare come l’uso delle risorse ittiche vari geograficamente: il Mar Mediterraneo è tra le zone più sovrasfruttate.

La FAO mette in guardia anche sulla differente modifica della quantità degli organismi marini a seconda che si consideri uno scenario ad alte o basse emissioni.

Entro la fine del secolo, nello scenario ad alte emissioni, che prevede un riscaldamento globale di 3-4 °C, le diminuzioni peggioreranno fino al 30% o più in 48 Paesi e territori.
Al contrario, nello scenario a basse emissioni, che prevede un riscaldamento globale di 1,5-2 °C, i cambiamenti si stabilizzano tra l'assenza di variazioni e una diminuzione del 10% o meno in 178 Paesi e territori entro la fine del secolo.

In particolare, nei piccoli stati insulari, dove l’economia locale dipende fortemente dalla pesca, tra il 68 e il 90% delle perdite a fine secolo nello scenario a emissioni elevate sarebbero evitate nello scenario a basse emissioni. Stiamo parlando degli Stati Federati di Micronesia, di Nauru e Palau, delle Isole Salomone e Tuvalu.

Ecco ulteriori dati sulla salute degli stock ittici per tipologia di pesce.

In questo caso si rappresenta il valore della biomassa di uno stock diviso la biomassa al suo massimo sostenibile rendimento.

Di seguito la quota di stock ittici che (al 2019) si trovano entro livelli sostenibili, cioè se la loro “abbondanza” è stimata pari o superiore al livello che può produrre il rendimento massimo sostenibile.

Un fattore che verrà modificato dalle temperature crescenti è anche la distribuzione geografica delle specie ittiche. Secondo quanto afferma la National Science Foundation statunitense, nei prossimi duecento anni di riscaldamento globale

le specie si rimescoleranno continuamente e potranno spostare i loro areali. […] Non solo le grandi specie e le attività di pesca importanti dal punto di vista commerciale si sposteranno dai loro areali storici […], ma probabilmente non saranno così abbondanti nemmeno nei loro nuovi areali geografici. Un pescatore di merluzzo nell'Atlantico, per esempio, potrebbe ancora trovare pesce tra 200 anni, ma in numero significativamente inferiore.

La situazione in Europa vede forti differenze regionali. Più del 60% degli stock ittici nell'Oceano Atlantico nord-orientale e nel Mar Baltico soddisfa almeno uno dei due criteri GES (“good environmental status”, indicatori che misurano il livello di sfruttamento, la capacità riproduttiva e la distribuzione dell’età e della taglia). Nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero la situazione è più critica: «solo il 26% degli stock valutati è in buono stato sulla base di almeno un criterio».

Non mancano le buone notizie dalla NOAA. Negli Stati Uniti, nel 2023, è stato ricostituito il 50° stock ittico tra quelli monitorati: «il salmone Coho di Snohomish era stato dichiarato sovrasfruttato nel 2018 e ora si è ricostituito fino a raggiungere il suo livello sostenibile». Questo grazie tanto a una gestione migliore della pesca, quanto al ripristino di specifici habitat marini. La NOAA ci ricorda come sia stato possibile grazie al quadro normativo che ha al centro la legge Magnuson (democratico) – Stevens (repubblicano) del 1976: il Fishery Conservation and Management Act, che è la legge principale che regola la gestione della pesca marina nelle acque federali.

Infine, è interessante conoscere anche quanti chilogrammi di gas serra per chilogrammo di prodotto marino vengono emessi, perché, come dicevamo, l’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra resta in ogni caso il faro delle politiche ambientali da oggi al 2050.

Per un confronto completo ricordiamo però che le emissioni per chilo di manzo sono di circa 100 kg, di agnello e montone circa 40 kg (vedi dati qui).

Basato su una meta-analisi di dati provenienti da 1690 allevamenti ittici e 1000 registri unici di pesca. Gli impatti sono espressi in chilogrammi di equivalenti di anidride carbonica per chilogrammo di peso edibile.
L'elenco tradotto in italiano è: platessa (selvaggia), aragosta (selvaggia), gamberi (selvaggi), bivalvi (selvaggi), tilapia (allevata), scorfano e branzino (selvaggi), carangidi (selvaggi), gamberi (allevati), pollo, calamari (selvaggi), pesce gatto (allevato), tonno (selvaggio), carpa (allevata), salmone e trota (selvaggi), pesce lattea (allevato), trota (allevata), merluzzo ed eglefino (selvaggi), salmone (allevato), aringhe e sardine (selvagge), carpa argentata/bighead (allevata), bivalvi (allevati) e alghe marine (allevate).

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