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Infezione da HIV: progressi scientifici e battute d’arresto

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Si è da poco conclusa a Melbourne la XX Conferenza Internazionale sull’HIV/AIDS, che ha raccolto quasi 14.000 partecipanti tra clinici, ricercatori, attivisti e giornalisti. Un incontro funestato prima del suo inizio dall’assurda tragedia del volo MH17 abbattuto da “folli ribelli” al confine russo-ucraino in cui hanno perduto la vita anche diversi ricercatori e attivisti diretti alla Conferenza. Tra questi, Joep Lange, ex-Presidente dell’International AIDS Society (IAS), che organizza il meeting. Potete leggere sempre su Scienzainrete l’appassionato articolo di Robert C. Gallo sulla sciagura e sulla figura di Lange, che anch’io piango come amico e ricercatore di alto spessore scientifico e umano.

La conferenza ha confermato che le Colonne d’Ercole della ricerca su HIV/AIDS, oltre all’identificazione di un vaccino preventivo, sono rappresentate dall’ottenere una “cura funzionale” dell’infezione. Con questa definizione s’intende l’abbattimento del numero di cellule infettate da virus infettivo e replicante (quindi in grado di reiniziare a propagarsi nelle cellule CD4+, quali linfociti T, macrofagi e cellule dendritiche mieloidi) presente nei diversi distretti anatomici quando una persona sieropositiva interrompe l’assunzione dei farmaci antiretrovirali. E’ noto al riguardo che la maggior parte dei provirus integrati sono difettivi per mutazioni introdotte dall’enzima retrotrascrittasi (mancante della funzione di “proof reding” tipica delle polimerasi eucariotiche).

A premessa di questo rinnovato interesse sulla “Cura” uno studio del 2013 di Robert Siliciano (Johns Hopkins University) ha dimostrato come vi sia un serbatoio potenzialmente molto più numeroso di virus infettivi e replicanti di quanto stimato in precedenza col classico “viral outgrowth assay" (VOA), virus peraltro non svelabili con le normali tecniche di stimolazione cellulare [1].
Alla Conferenza, Nicholas Chomont (Vaccine & Gene Therapy Institute of Florida) ha presentato un nuovo test rapido (2 gg) e poco costoso battezzato “TILDA" (Tat/Rev Induced Limiting Dilution Assay) basato sull’utilizzo di poche (circa 10 milioni) cellule CD4+ isolate da sangue periferico, stimolate in vitro con PMA e ionomicina. Il test permette di calcolare quante di esse esprimano mRNA virali di 2 Kb (“fully spliced”) mediante una PCR “nested” effettuata su sequenze indice di regioni necessarie alla replicazione virale ottenendo una stima molto più sensibile e accurata del VOA convenzionale.
L’interesse per questo (e altri) test innovativi è molto alto in quanto, ad oggi, non esiste alcun saggio validato per la quantificazione del serbatoio provirale infettivo e replicante, ha commentato Steve Deeks (University of California). Inoltre, recenti studi di Dan Barouch (Harvard University) nel macaco infettato sperimentalmente da SIV (Simian Immunodeficiency Virus) hanno confermato l’estrema rapidità con cui il serbatoio virale costituito da cellule latentemente infette si stabilisce, ancor prima che compaiano chiare evidenze di replicazione virale in circolo [2].

Non vi è dubbio che la “doccia fredda” alla Conferenza sia stato l’annuncio che la “bambina del Mississippi”, dopo 27 mesi di controllo spontaneo della replicazione virale, ha dimostrato evidenze inequivocabili di ripresa della stessa ed è stata (con successo) rimessa sotto controllo farmacologico.
La speranza era che la piccola (che ha oggi poco più di 4 anni) rappresentasse il secondo caso di “cura funzionale” [3] dopo quello del “Paziente di Berlino”. La ripresa della replicazione virale senza una causa evidente (quali malattie intercorrenti o vaccinazioni) ha fatto rientrare la bambina nella quasi-normalità, anche se 27 mesi di controllo spontaneo sono comunque un intervallo di tempo molto significativo, come ha sottolineato Anthony S. Fauci (Direttore del NIAID) in cui poter identificare correlati di protezione di grande interesse per l’avanzamento della ricerca in questo ambito. E’ stata quindi suggerita l’adozione di terminologia e concetti già validati in ambito oncologico, in cui non si parla di remissione completa prima dei 5 anni dalla sospensione del trattamento terapeutico.
Una conseguenza immediata del parziale fallimento della “bambina del Mississippi” è stata il ridisegno di uno studio clinico pediatrico sponsorizzato dall’NIH basato sull’inizio precoce della terapia antiretrovirale di combinazione (cART). L’interesse per lo studio dell’infezione pediatrica è stato anche recentemente stimolato dall’osservazione che alcuni bambini dimostrano una maggior propensità a sviluppare anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro (“broadly NAb”), addirittura entro un anno di vita in risposta ad alti livelli di replicazione virale all’equilibrio (“set point”), a differenza degli adulti in cui il fenomeno avviene con frequenza inferiore e richiede diversi anni [4]. Queste scoperte suggeriscono che i bambini potrebbero essere la categoria più adatta in cui perseguire lo sviluppo di un vaccino preventivo.

Oltre alla “bambina del Mississippi”, ha destato attenzione caso di un australiano infettato nel 1981 mediante una trasfusione di sangue e che sembrerebbe aver eliminato la presenza del virus senza aver assunto farmaci antiretrovirali. Gli studi di validazione sono in corso.

Dal punto di vista degli avanzamenti sui meccanismi d’instaurazione e mantenimento di un serbatoio di cellule latentemente infette inattaccabili dalla cART, una delle novità più importanti, pubblicate su Science poco prima della Conferenza, è stata l’evidenza che alcune di queste cellule potrebbero godere di un vantaggio selettivo di proliferazione rispetto ad altre espandendosi clonalmente (senza tuttavia andare incontro ad una trasformazione neoplastica) in quanto arricchite per frequenza di siti d’integrazione provirale in prossimità di protooncogeni quali BACH2 [5, 6].
Questa caratteristica, assieme alla già dimostrata risposta proliferativa omeostatica a citochine quali IL-7 e IL-15, potrebbe conferire a questa frazione di cellule infettate latentemente una condizione di “quasi immortalità”. Ciò rappresenterebbe da un lato un ulteriore ostacolo alla loro eradicazione, ma anche un’opportunità per lo sviluppo di nuovi approcci d’identificazione ed eliminazione del serbatoio di latenza provirale.

Al riguardo, tra i nuovi approcci sperimentali finalizzati a stanare il pool di cellule infettate da virus latente vanno segnalati gli studi di Leor Weinberger su agenti farmacologici in grado di aumentare il “rumore di fondo” (“noise”) di espressione genica che influenza positivamente la riattivazione di provirus latenti in sinergia con classici induttori trascrizionali [7].
In fase di studio clinico sperimentale, il farmaco Romidepsin, già approvato per la terapia dei linfomi cutanei, si è dimostrato in grado d’inibire ad ampio spettro le deacetilasi istoniche e di aumentare l’espressione di RNA virale in vivo quale premessa necessaria all’eliminazione delle cellule infettate, secondo la filosofia dello “shock (o “kick”) and kill” .
Tale strategia è da condursi in presenza di farmaci antiretrovirali per evitare la propagazione del virus neoformato a suoi bersagli cellulari. I ricercatori Danesi della Aarhus University Hospital, guidati da Ole Schmeltz Søgaard, hanno testato il farmaco in 6 pazienti in cART ed osservato un’aumentata espressione dei livelli di RNA virale (anche se ciò non è coinciso con una riduzione dei livelli di DNA provirale). “Un significativo passo avanti” ha commentato Sharon Lewin (Monash University of Melbourne), Presidente della Conferenza assieme al Premio Nobel Francoise Barré-Sinoussi, Presidente uscente della IAS.

In conclusione, siamo davanti a una serie di “piccoli passi”, ma significativi e nella direzione giusta, per rendere l’infezione da HIV non solo controllabile ma anche meno patogenica nello stesso individuo infettato riducendo i livelli di DNA provirale in grado di rigenerare il virus infettivo nell'ospite in assenza di controllo farmacologico.

Nel frattempo, in Italia, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), per la prima volta nella sua storia, è stato commissariato mentre, in assenza di un programma nazionale di finanziamento della ricerca su HIV/AIDS (l’ultimo risale al 2009), si è riacceso il dibattito sul “vaccino Italiano” dell’ISS basato sulla proteina Tat.

Referenze
[1] Ho YC, Shan L, Hosmane NN, Wang J, Laskey SB, Rosenbloom DI, et al. Replication-competent noninduced proviruses in the latent reservoir increase barrier to HIV-1 cure. Cell 2013,155:540-551.
[2] Whitney JB, Hill AL, Sanisetty S, Penaloza-MacMaster P, Liu J, Shetty M, et al. Rapid seeding of the viral reservoir prior to SIV viraemia in rhesus monkeys. Nature 2014,512:74-77.
[3] Persaud D, Gay H, Ziemniak C, Chen YH, Piatak M, Jr., Chun TW, et al. Absence of detectable HIV-1 viremia after treatment cessation in an infant. N Engl J Med 2013,369:1828-1835.
[4] Goo L, Chohan V, Nduati R, Overbaugh J. Early development of broadly neutralizing antibodies in HIV-1-infected infants. Nat Med 2014,20:655-658.
[5] Maldarelli F, Wu X, Su L, Simonetti FR, Shao W, Hill S, et al. HIV latency. Specific HIV integration sites are linked to clonal expansion and persistence of infected cells. Science 2014,345:179-183.
[6] Wagner TA, McLaughlin S, Garg K, Cheung CY, Larsen BB, Styrchak S, et al. HIV latency. Proliferation of cells with HIV integrated into cancer genes contributes to persistent infection. Science 2014,345:570-573.
[7] Dar RD, Hosmane NN, Arkin MR, Siliciano RF, Weinberger LS. Screening for noise in gene expression identifies drug synergies. Science 2014,344:1392-1396.

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