fbpx Ecco perché ci sono stati più morti nel 2015 | Scienza in rete

Ecco perché ci sono stati più morti nel 2015

Primary tabs

Tempo di lettura: 8 mins

2015: mai visti tanti decessi dalla II guerra mondiale. Questa la bomba partita l’11 dicembre scorso dalle pagine del quotidiano Avvenire, dove il demografo Gian Carlo Blangiardo commentava i dati di mortalità appena rilasciati dall’Istat. Una bomba che ha acceso il dibattito destinato a occupare i media nell’ultimo scorcio dell’anno passato. Perché nel 2015 tanti morti? Quali le ragioni? Colpa della crisi economica? Dei tagli alla sanità? Dell’influenza? Dell’inquinamento atmosferico? Del clima? Le ipotesi, talvolta fantasiose e poco poggiate su dati solidi, si sono rincorse per settimane sulla carta, alla radio, sul web. L’invito alla cautela da parte dell’Istat è arrivato un po’ tardi, con un comunicato stampa datato 28 dicembre. Ora, a quasi due mesi di distanza, si può cercare di capire qualcosa di più, grazie anche ad alcuni studi e riflessioni condotti nelle ultime settimane (due dei quali sono pubblicati in avdance da Epidemiologia & Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia).

L’ipotesi Blangiardo

Ma partiamo dall’origine, l’analisi di Gian Carlo Blangiardo. Dai dati Istat relativi ai primi sette mesi del 2015 il demografo desume un surplus di 39.000 morti in confronto al medesimo periodo del 2014, «un aumento dell’11% che, se confermato su base annua, porterebbe a 664.000 i morti nel 2015, contro i 598.000 dello scorso anno». Un’impennata di 66.000 decessi che Blangiardo assimila a quelli registrati solo durante le due guerre mondiali (in un intervento successivo, pubblicato su Neodemos, le stime vengono riallineate al bilancio demografico Istat che a fine dicembre offre le statistiche relative ai primi otto mesi del 2015, ma cambia poco: il surplus arriva a +68.000 decessi).

Nella ricerca delle possibili cause (resa peraltro ardua dalla tipologia dei dati Istat, che nella prima fase di elaborazione sono aggregati, ossia mancano dei dettagli relativi al genere e alle singole età dei deceduti) Blangiardo esclude un ruolo preminente dell’invecchiamento della popolazione, che darebbe conto solo di una piccola quota, circa 16.000 morti. E gli altri 52.000? Secondo il docente di demografia della Bicocca di Milano queste morti in più sarebbero «un evento straordinario  che richiama alla memoria l’aumento della mortalità nei Paesi dell’Est Europa nel passaggio dal comunismo all’economia di mercato». E ammonisce: «Il controllo della spesa sanitaria sempre e  a qualunque costo può avere effetti molto pesanti». 

Due notazioni a questo punto: * i 68.000 morti sono stimati basandosi sull’assunto che il tasso di aumento registrato nei primi otto mesi resti costante fino a fine anno (se ne avrà certezza solo quando Istat fornirà il bilancio demografico per tutto il 2015); ** sia per la determinazione dell’eccesso di morti, sia per quanto concerne il peso dell’invecchiamento della popolazione, i confronti sono fatti rispetto al solo anno 2014.

Le prime risposte

Ora, in attesa che il gruppo di lavoro incaricato dal Ministero della salute (di cui fanno parte, oltre allo stesso Ministero della salute, Agenas, ISS e alcuni servizi epidemiologici regionali) produca le proprie analisi, qualche risposta in più alla “epidemia di morti” del 2015 c’è.

Il primo approfondimento viene da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale Lazio e del Ministero della salute che si è occupato di studiare la mortalità nelle 32 città facenti parte del Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera (SiSMG), pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione.

In questo lavoro si è scavato un po’ più a fondo rispetto a quanto reso possibile dai dati grezzi dell’Istat, arrivando ad analizzare l’andamento dei decessi, riferiti alla popolazione degli ultra65enni, su base stagionale. I risultati, ottenuti da un confronto con un periodo di riferimento rappresentato dalle medie degli anni 2009-2013 (il 2014 è stato escluso in quanto anomalo), confermano l’elevata mortalità del 2015 (+11% rispetto al riferimento) mettendo in luce un picco nei primi tre mesi dell’anno (+13%) correlabile al clou dell’epidemia influenzale, e uno nel periodo estivo (+10%) associabile alla forte ondata di calore dell’estate 2015. 

I ricercatori non si sono fermati qui. I dati del Sistema informativo della mortalità del Comune di Roma hanno permesso loro di approfondire ulteriormente l’analisi, abbinando ai dati di mortalità stagionali quelli riguardanti il sesso, le classi di età e le cause di morte. Si è così accertato che l’eccesso di mortalità invernale a Roma ha riguardato soprattutto i grandi anziani (ultra85enni), deceduti in gran parte per cause respiratorie e cardiovascolari, compatibili con le complicanze dell’influenza.

Che spiegazioni si possono avanzare a questo punto? «Innanzitutto, va notato che un aumento dei decessi nei mesi invernali era stato già segnalato a livello europeo (Progetto EuroMOMO: Mølbak K, Espenhain L, Nielsen J, et al. Excess mortality among the elderly in European countries, December 2014 to February 2015. Euro Surveill 2015; 20(11)) e attribuito alla particolare virulenza dell’epidemia influenzale della stagione 2014-2015 e, in parte, alla minore efficacia del vaccino» sottolinea Paola Michelozzi, prima firmataria del lavoro. «In Italia la situazione potrebbe essersi ulteriormente complicata in seguito all’allarme suscitato dal “caso Fluad”, che ha comportato un minor accesso alle vaccinazioni da parte dei soggetti più suscettibili, gli anziani. Per quanto concerne la mortalità estiva, è molto probabilmente associata alle ondate di calore di luglio, particolarmente intense e di lunga durata». 

In questa analisi non si può tralasciare un dato importante, e cioè che il 2014 è stato un anno anomalo, caratterizzato da una mortalità inferiore all’atteso (-5,9%). «Soprattutto nell’estate 2014 la mortalità è stata molto bassa: ciò potrebbe avere determinato all’inizio del 2015 la presenza di un bacino più ampio di soggetti suscettibili (per una ridotta capacità di difesa dell’organismo dovuta all’età avanzata e alla presenza di malattie croniche) e, quindi, un maggiore impatto dell’epidemia influenzale 2014-2015. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’aumento dei decessi dell’inverno 2015».

Un ulteriore tassello del puzzle di cause che hanno prodotto l’eccesso di morti del 2015 è fornito da un altro gruppo di studiosi. Cesare Cislaghi, Giuseppe Costa e Alberto Rosano - rispettivamente un economista sanitario, un epidemiologo e un demografo - nell’editoriale di accompagnamento all’articolo di Michelozzi et al. focalizzano l’attenzione su un altro fattore determinante: la composizione della popolazione.  Ecco la loro interpretazione del fenomeno.

L’effetto Prima guerra mondiale

I tre studiosi introducono un’ipotesi a prima vista spiazzante: l’eccesso di mortalità del 2015 sarebbe dovuto in gran parte all’aumento di popolazione anziana per effetto, non solo di una maggiore longevità, ma anche di qualcosa di molto remoto: gli effetti della Prima guerra mondiale (e non nel senso in cui se ne parlava nelle prime analisi apparse sui giornali!).
Ossia: tra il 1917 e i 1920 si è verificato, per motivi facilmente intuibili, un forte calo di natalità che si traduce nella “mancanza” di oltre 250.000 nati in quegli anni. «Il transito di questi soggetti nel periodo da noi considerato ha portato i sopravvissuti che nel 2009 avevano tra gli 89 e i 92 anni ad avere nel 2015 tra i 95 e i 98 anni di età, e ciò fa sì che numericamente gli ultranovantenni del 2015, per lo più facenti parti delle coorti successive al 1920, siano il 40% in più degli ultranovantenni del 2009. E’ allora evidente» spiegano gli epidemiologi «che se c’è un 40% in più di soggetti a rischio di manifestare un evento, cioè il decesso, ci si deve anche aspettare che ci sia un 40% in più di eventi, cioè di decessi».

Se si introduce questa correzione, se cioè insieme alle variazioni dei decessi si considera anche la variazione del numero dei soggetti a maggior rischio di morire (se cioè oltre al numeratore si tiene d’occhio anche il denominatore) il fenomeno viene molto ridimensionato. Cosa peraltro confermata da alcune analisi effettuate partendo da dati di mortalità regionale e decessi ospedalieri, che suggeriscono come la mortalità dell’inverno 2014/2015 sia in linea con la media degli anni precedenti ma superiore al 2014 (anno anomalo, come si è già visto); l’eccesso estivo, per il quale la correzione demografica è meno rilevante, sarebbe invece confermato e attribuibile alle ondate di calore.

Secondo Cislaghi, Costa e Rosano «l’eccesso di mortalità nel 2015 è un incremento in gran parte dovuto all’aumento di popolazione anziana, fenomeno non evitabile, e in parte più modesta a fenomeni in parte prevenibili come l’epidemia influenzale di inizio 2015 e l’ondata di calore del luglio 2015 (anche se nel merito occorono ultreriori approfondimenti)».

Che conclusioni si possono trarre da questa vicenda?

Per prima cosa, indipendentemente dalla diversa quantificazione dell’effetto “incremento di mortalità”, sia i ricercatori romani sia i firmatari dell’editoriale concordano su un punto: i sistemi di vigilanza e monitoraggio del Paese vanno resi più efficienti, se non riprogettati. Tanto per cominciare, bisogna disporre dei dati di mortalità in maniera più celere. Oggi l’Istat fornisce le statistiche nazionali della mortalità per causa con due anni di ritardo, mentre i dati più tempestivi, che sono comunque aggregati e senza informazioni sulle cause, vengono rilasciati con una latenza di molti mesi. Un ritardo che, siccome i dati sui decessi sono il più importante macroindicatore dello stato di salute di una popolazione, si traduce nell’impossibilità di usare queste statistiche per programmare interventi di prevenzione tempestivi. Per esempio per promuovere la vaccinazione antinfluenzale, qualora si confermi un eccesso di morti a causa del virus, o per gestire al meglio le conseguenze delle ondate di freddo o di caldo.

Inoltre, sarebbe una buona cosa mettere in relazione e rendere reciprocamente leggibili e interpretabili i sistemi di rilevazione locali (regionali, comunali) che in genere dispongono di dati più aggiornati, ma che sono inutilizzabili per un confronto tra diverse realtà locali a causa dei diversi metodi rilevazione e codifica utilizzati.

Occorre anche vigilare sulla qualità dei dati e utilizzare i metodi di analisi corretti. «Pensiamo che nei sistemi di vigilanza e di monitoraggio il calcolo degli eventi attesi dovrebbe essere sempre stimato a priori nella misura più accurata possibile in modo che quando poi si conta quanto è successo si possa subito dire se si è in presenza o meno di una situazione di allarme» auspicano Cislaghi, Costa e Rosano.

Infine, anche il richiamo ai possibili effetti della crisi e delle disuguaglianze sociali non dovrebbe essere lasciato cadere nel vuoto, anche questi, infatti, sono possibili  fattori da tenere sotto controllo. Insieme all’inquinamento atmosferico, anch’esso causa di eccessi di morti prevenibili, come dimostra un articolo di Renzi et al. che analizza decessi e ricoveri attribuibili alle polveri sottili a Roma nel dicembre scorso, in pubblicazione sullo stesso numero di Epidemiologia & Prevenzione

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

Un cerchio tutto formato di capocchie di spillo bianche con al centro un disco tutto formato da capocchie di spillo rosse

“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: