fbpx La distanza dell'Occhio di Sauron | Scienza in rete

La distanza dell'Occhio di Sauron

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

Quello delle distanze è un problema cruciale in astronomia. La loro accuratezza non è tanto un problema di determinazione corretta di un parametro astronomico, quanto piuttosto il fondamento di molti aspetti della conoscenza stessa del cosmo. Nel corso dei secoli gli astronomi hanno costruito un sistema progressivo di indicatori (le cosiddette candele standard) che permettesse loro di valutare la corretta distanza alla quale collocare un oggetto celeste. E' sulla affidabilità di tali valutazioni che si è potuto costruire quanto sappiamo dell'Universo. Purtroppo, non sempre si riesce ad applicare uno di questi metodi e tale lacuna non permette di definire al meglio le caratteristiche fisiche dell'oggetto celeste che si sta studiando.

Fino a qualche tempo fa, era la situazione che caratterizzava anche la galassia NGC 4151, un modesto sistema stellare noto anche come “L'occhio di Sauron”. Nome azzeccato, se abbiamo ben presente come nei film ispirati alla splendida saga “Il Signore degli anelli” di John R. R. Tolkien sia stata realizzata l'inquietante presenza malefica che domina sulla torre più alta di Barad-dûr.

Le valutazioni della distanza di questa galassia erano alquanto differenti tra loro e, a seconda dei metodi impiegati, oscillavano tra i 13 e i 95 milioni di anni luce. Un divario notevole e decisamente problematico. Nella sua ironia, però, il destino ha voluto che l'irrisolvibile problema delle distanze dell'Occhio di Sauron venisse risolto... grazie a un anello. Assolutamente nulla di magico, l'anello in questione è il gigantesco disco di materiale che circonda il buco nero supermassiccio che occupa la regione centrale di NGC 4151, una sorta di turbolenta ciambella di materiale in attesa di essere risucchiato dal buco nero. Tale materiale viene riscaldato dall'intensa radiazione ultravioletta proveniente dalle regioni più a ridosso del buco nero e la sua emissione può essere osservata nel dominio dell'infrarosso.

Coordinati da Sebastian Hoenig (Università di Southampton e Niels Bohr Institute di Copenhagen), un gruppetto di astronomi ha preso di mira quel caldo disco di materiale e, grazie ad accurate misure effettuate con i due telescopi da 10 metri dell'Osservatorio W. M. Keck, ha determinato le dimensioni angolari della struttura. Un lavoro di tutto rispetto, la cui realizzazione è stata resa possibile dall'impiego delle tecniche interferometriche, che hanno trasformato i due telescopi Keck in un potentissimo strumento di 85 metri di diametro. Per risolvere il problema della distanza di NGC 4151, però, era indispensabile poter disporre anche delle dimensioni reali di quell'anello. Solo allora, infatti, sarebbe stato  possibile applicare semplici considerazioni geometriche e collocare l'Occhio di Sauron alla corretta distanza.

Per determinare le dimensioni del disco di accrescimento, i ricercatori si sono affidati alla misura del ritardo tra l'emissione ultravioletta della regione più a ridosso del buco nero e l'emissione infrarossa del disco. Due radiazioni strettamente correlate, dato che quella ultravioletta è la diretta responsabile del riscaldamento del materiale del disco e dunque della sua emissione termica. Poiché il ritardo temporale misurato ammontava a circa 30 giorni, è stato sufficiente moltiplicare tale ritardo per la velocità della luce per ottenere una stima delle dimensioni del disco.

Entrambe le rilevazioni, però, erano tutt'altro che precise. Sia per le valutazioni interferometriche che per la valutazione basata sul ritardo temporale, infatti, l'errore era dell'ordine del 30% e il timore di Hoenig e collaboratori era che questo avrebbe condotto a un'incertezza finale di circa il 40%. Così però non è stato: i calcoli nei quali tali incertezze erano coinvolti hanno finito con l'abbattere drasticamente gli errori, tanto che la valutazione conclusiva dei ricercatori attesta l'errore della distanza di NGC 4151 intorno al 10%. Quel che più conta, però, è che la distanza dell'Occhio di Sauron non è più così incerta come lo era finora. Secondo i risultati del team, pubblicati su Nature a fine novembre, la distanza che ci separa da quella turbolenta galassia ammonterebbe infatti a 19 Megaparsec (cioè 62 milioni di anni luce).

L'accurata determinazione della distanza ha inevitabilmente portato con sé la correzione del valore di un'altra importante grandezza astronomica: la massa del buco nero di NGC 4151. Ricalibrando i calcoli, i ricercatori hanno scoperto che finora quella massa era stata sottostimata di circa il 40%. Un aggiornamento al rialzo che si dovrà necessariamente applicare a moltissimi altri buchi neri supermassicci: NGC 4151, infatti, è un oggetto chiave per calibrare le varie tecniche di stima delle masse dei buchi neri.

Il successo ottenuto con NGC 4151 ha indotto Hoenig e collaboratori a mettere in cantiere un nuovo programma di ricerca per estendere questa promettente tecnica ad altre galassie attive. L'obiettivo è ambizioso: disporre di un sufficiente numero di accurate misure di distanza e impiegarle per ridurre le incertezze dei parametri cosmologici. L'Occhio di Sauron, insomma, potrebbe aiutarci a osservare meglio il dipanarsi della misteriosa storia del nostro Universo.

Premio giovani ricercatrici e ricercatori


Il Gruppo 2003 per la ricerca scientifica indice la quarta edizione del "Premio giovani ricercatrici e ricercatori edizione 2025" per promuovere l'attività di ricerca e richiamare l'attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica sulle nuove generazioni di scienziate e scienziati.



prossimo articolo

Conferenza ONU sull'oceano: molte promesse, il mare vuole i fatti

tartaruga marina con banco di pesci

Dal 7 al 13 giugno scorsi si è tenuta a Nizza UNOC3, la terza Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani. Un evento in grande stile, con oltre 15.000 partecipanti da tutto il mondo. Il summit ha ribadito l'urgenza di proteggere gli ecosistemi marini e prodotto un piano di azione, che resta però vago sugli strumenti concreti. Il rischio è che resti solo una dichiarazione di intenti, quando l'urgenza di azione è massima.

Crediti immagine: foto di Oleksandr Sushko su Unsplash

Una biglia blu, a blu marble. Così appariva il nostro pianeta in una delle prime iconiche foto che lo ritraeva dallo spazio, scattata nel 1972 dall’Apollo 17. Un'immagine illuminata della Terra, divenuta simbolo della sua bellezza e fragilità. Una biglia blu, un pianeta blu, perché al 70% formato dagli oceani. Vasti luoghi sommersi di cui per secoli la nostra specie ha solo intuito la superficie e ignorato la complessità fisica e biologica.