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Darwin, Hitler e l'impuro

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In un celebre saggio, il cui clamore mediatico è stato pari al travisamento intellettuale, Peter Sloterdijk definisce le lettere in modo molto efficace come dei “media umanizzanti”, specificando che in chiave umanistica “gli umanizzati non sono nient’altro che la setta degli alfabetizzati”. Il filosofo tedesco non fa che ribadire con forme nuove cose note, e cioè che per la tradizione umanistica l’uomo può diventar quel che vuole, bestia o angelo, purché agisca non sulla sua “natura” (che non ha) ma sua dimensione culturale e spirituale. Questo è vero per Cartesio come per Heidegger, per Pico della Mirandola come per Sartre: è nella ragione l’essenza dell’uomo, è la metafisica il suo elemento, il corpo è accessorio secondario, un “cadavere” portato a spasso dal Cogito. E siccome “l’umanismo, come parola e questione – ricorda Sloterdijk in Regole per il parco umano – ha sempre un punto di riferimento polemico, poiché esso è l’engagement per recuperare l’uomo dalla barbarie”, generazioni di filosofi, educatori, antropologi e politici hanno impegnato tutte le loro forze per migliorare l’uomo prendendo a piene mani dall’arsenale dell’addomesticamento letterario. Per elevarsi dal barbarico livello animale occorre studiare.  

DARWIN, O DELLA NATURA     

Anche se Sartre e Heidegger non se ne rendono conto, con Darwin le cose cambiano. L’anima si naturalizza e perde la sua millenaria funzione di spartiacque da ciò che appartiene all’umano e ciò che invece è dell’animale. “Colui che comprende il babbuino – osserva con geniale semplicità il giovane Charles nei suoi taccuini –  contribuirà alla metafisica più di Locke”. Anche la mente diventa fatto fisico ed è ovvio che una trasformazione così radicale dell’antropologia finisce con l’imporre una trasformazione altrettanto radicale dei mezzi di umanizzazione. In quegli anni se ne rese conto, manco a dirlo, solo Friedrich Nietzsche, che in uno dei fulminanti frammenti scrive: “Allevare al posto di moraleggiare. Lavorare influendo direttamente sull’organismo invece che indirettamente con l’educazione etica. Un’altra corporalità si creerà da sé un’altra anima e altri costumi. Rovesciamo quindi il rapporto”. È allora il caso di chiedersi cosa accade nel momento in cui lo spirito, al cospetto della genealogia darwiniana, da negazione della natura ne diventa un suo effetto. Ebbene, una delle possibili risposte (sebbene in forma parossistica) è il nazismo.

HITLER E L'EUGENETICA

La duttilità antropologica derivata dall’umanesimo viene infatti recepita dai nazisti e rielaborata in rapporto alla scoperta della continuità darwiniana tra uomo e animale. Sulla base di questa rinnovata consapevolezza la specie umana comincia a diventare il luogo entro cui poter tracciare delle fratture tra ciò che è veramente umano e ciò che non lo è, tra la purezza autarchica dell’uomo autentico e l’impurità mostruosa dell’uomo-animale. L’ariano è l’idealtipo incarnato della purezza dell’anima, tutti le altre “razze” forme malriuscite della trivialità di corpi abbandonati a se stessi. Nell’orizzonte culturale alimentato dai teorici nazisti il darwinismo diventa quindi una chiave per rintracciare nuovi media umanizzanti, a cominciare dalla selezione e dalla lotta. Il profeta del darwinismo in Germania, Ernst Haeckel, punto di riferimento per molti di quelli che da lì a poco sarebbero stati i depositari della biopolitica nazista, da Ernst Rudin ad Alfred Ploetz, esaltava per esempio la selezione come forma di progresso per la realizzazione di una nuova forma di umanità. “Il darwinismo – ricorda Georg Mosse ne Le origini culturali del Terzo Reich – agli occhi dei nazional-patriottici accentuava la componente della lotta e del conflitto; il darwinismo sociale richiamava inoltre l’attenzione sulla necessità dell’igiene razziale, su quegli esperimenti di purificazione razziale definibili come utopie dell’allevamento umano”. In The scientific origins of National Socialism Daniel Gasman ricorda inoltre come questo formidabile biologo convertito al darwinismo ritenesse come tra la ragione di un Goethe o di un Kant e quella di un selvaggio esistesse una differenza maggiore della differenza di grado esistente fra la ragione di quest’ultimo e quella dei mammiferi più razionali, le scimmie antropoidi, “deducendone la necessità di assegnare un valore del tutto diverso alla loro vita”. Da Charles Richet ad Alexis Carrel (entrambi Nobel per la Medicina) il XX secolo ci ha fornito numerosi esempi di teorici di “cesure” antropologiche, ma probabilmente l’esempio più eclatante è quello fornito da Hans F. K. Günther, intellettuale di bassa risma ma pubblicista in fluentissimo, docente di Antropologia politica a Berlino, che in uno scritto significativamente intitolato Humanitas contrappone al confuso umanesimo umanitarista quello vero, spiegando che esso consiste in un “compito da adempiere, un modello da raggiungere, un ideale di selezione”. Insomma, secondo Günther a una umanità finalmente umanizzata si può accedere solo attraverso il filtro della selezione biologica e non attraverso la cultura. Della vera umanità non partecipa chiunque, spiega inoltre Günther, perché a essa ci si ricongiunge solo attraverso un percorso di purificazione e di perfezionamento. Per elevarsi dal barbarico livello animale non basta studiare, occorre selezionare.

L'ORRORE DELL'IBRIDO

Sull’ossessione purista del perverso umanesimo nazista fornisce utili indicazioni anche lo zoo-antropologo Boria Sax in uno dei più interessanti studi sulla figura dell’animale nell’immaginario del Terzo Reich. In particolare, ciò che secondo lo studioso americano merita di essere messo in rilievo è il fatto che nella prospettiva nazista non fosse tanto l’Altro come tale a non essere tollerato, quanto l’impuro, l’ibrido, il mostro. “I nazisti – osserva Sax – enfatizzavano un ideale di purezza rispetto al quale essi erano ostili a ogni anomalia, umana o animale”, quindi non alla distinzione categoriale come tale. Il problema era rappresentato dagli sconfinamenti, dalle ibridazioni, dalle vite che risultano inclassificabili perché giudicate né solo umane né solo animali. Da questo punto di vista non è certo un caso il fatto che la legislazione eugenetica nazista fosse formulata di pari passo a una delle più avanzate legislazioni sulla protezione degli animali: in entrambi i casi si trattava di proteggere delle rigide partizioni dell’essere, delle sostanze discrete, da una parte l’Uomo, dall’altra l’Animale. Hitler e il movimento nazista  sono intolleranti nei confronti dell’ambiguo. Ai loro occhi il disabile, l’ebreo e lo zingaro non sono semplicemente l’Altro, sono l’Io e l’Altro insieme e proprio per questo rappresentano un pericolo letteralmente mortale. Si tratta di mostri da distruggere in nome della restaurazione dell’ordine. Da questo punto di vista Auschwitz può essere concepito come il luogo entro cui si cerca di colpire l’animalità ancora mostruosamente presente nella specie umana.

ELOGIO DELL'IMPURITÀ

L’antropologia darwiniana, sia chiaro, è la più radicale smentita di tutto questo. Nel momento in cui Darwin ricongiunge l’uomo al suo sfondo animale ne riconosce e celebra al tempo stesso l’impurità perché, da acuto genealogista qual è il grande naturalista, egli scopre che l’uomo è pensabile solo tramite l’l’alterità animale. Il che è come dire che l’identità si costruisce solo grazie al debito lo straniero. Oggi il punto non è certo difendere l’innocenza di Darwin, ma cominciare ad apprezzare la freschezza dell’impurità. 


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