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Dallo studio sui matrimoni gay al trapianto di trachea, quando la scienza diventa cattiva

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Nelle scorse settimane la rivista Science ha ritirato un articolo pubblicato a dicembre che illustrava la possibilità di far cambiare idea alle persone contrarie al matrimonio omosessuale.
Lo studio sosteneva che nella maggior parte dei casi una persona contraria al matrimonio gay cambia opinione anche solo dopo avere avuto un confronto di pochi minuti con un’altra persona che cerca di convincerla del contrario. Veniva messo in evidenza inoltre che il soggetto considerato rimaneva a favore del matrimonio gay almeno fino a nove mesi di distanza dal faccia a faccia, e che la nuova opinione finiva con l’influenzare anche a conoscenti e familiari.
A distanza di qualche mese Marcia McNutt, direttore di Science, ha deciso però di ritirare l’articolo, adducendo i seguenti motivi: gli incentivi per la partecipazione delle persone allo studio sono stati riportati in modo errato a differenza di quanto inizialmente dichiarato dall’autore; false dichiarazioni circa la sponsorizzazione finanziaria dei sondaggi ma soprattutto l'incapacità di produrre dati originali, su questo ultimo aspetto i dubbi sono arrivati a gennaio da un team di ricercatori di Stanford, che interessati ai risultati raggiunti dai due autori, Michael LaCour, e Donald Green hanno deciso di replicare l’esperimento. 

Dopo aver fatto partire uno studio pilota che aveva raccolto ben pochi risultati, i ricercatori di Stanford hanno contattato la Qualtrics, la compagnia che si supponeva avesse collaborato allo studio, la quale ha dichiarato “di non avere familiarità con il progetto e di non avere le capacità di realizzare molti aspetti del sondaggio stesso",  come riportato dalla Reuters.
Davanti a queste evidenze Green, che probabilmente aveva affidato al più giovane LaCour la fase sperimentale del lavoro, ha chiesto il ritiro dell’articolo dichiarandosi “profondamente imbarazzato dalla piega che hanno preso gli eventi e in dovere di scusarsi con i lettori della rivista”. 

Il “mago dei trapianti” accusato di cattiva condotta

Ma la vicenda del duo LaCour-Green non è l’unico episodio di “cattiva” condotta scientifica di questi giorni. Sul sito del Karolinska Institute sono stati resi noti i risultati dell’indagini nei confronti di Paolo Macchiarini, medico specializzato nei trapianti di trachea.
Il chirurgo era stato accusato da quattro colleghi del prestigioso istituto di ricerca svedese di aver fornito negli studi, pubblicati su Lancet e Nature, informazioni non corrispondenti alla realtà sulle condizioni di tre pazienti dopo l’intervento.
Un duro colpo per il “mago dei trapianti” come aveva titolato il New York Times nel 2012 quando le ricerche di Macchiarini sembravano aprire la strada a una nuova tipologia di intervento chirurgico.
Il medico aveva inventato una tecnica rivoluzionaria: la “sua” trachea non provocava alcun rigetto perché veniva creata in 10 giorni dalle cellule staminali dello stesso paziente, allevate su un’impalcatura di nanomateriali sintetici. Nel 2014 però il Karolinska ha deciso di far partire un indagine in merito ai tre interventi di trachea effettuati presso il proprio istituto: due pazienti erano morti e uno si trovava in cura intensiva. L’investigatore esterno, Bengt Gerdin della Uppsala University  ha esaminato i paper pubblicati, le cartelle cliniche dei pazienti e uno su test sugli animali della procedura e ha trovato molti problemi che ha ritenuto sufficientemente gravi per affermare che “Paolo Macchiarini ha fabbricato risultati falsi in sei pubblicazioni ed è un pessimo esempio per i giovani ricercatori”.
L’indagine di Gerdin si è concentrata su uno studio di Macchiarini pubblicato su Lancet nel 2011. Secondo la ricerca il paziente a 5 mesi dal trapianto non mostrava nessuna complicazione e il trapianto mostrava i primi segni di crescita dei tessuti. Tuttavia, non esistevano cartelle cliniche del paziente a 5 mesi dall'intervento chirurgico. I dati clinici disponibili nei registri erano solo da agosto, a 11 settimane dopo l'intervento. “Nei paper ci sono dati che non si trovano nei registri medici c’è stato un sistematico travisamento della verità che porta il lettore ad avere un’impressione completamente falsa del successo della tecnica”, scrive Gerdin.
Ma c’è di più: a distanza di qualche mese dall’intervento il paziente è stato ricoverato di nuovo al Karolinska dove è stato necessario un ulteriore intervento chirurgico per preservare le vie aeree. Insomma il trapianto era fallito. Questo “piccolo” particolare è stato omesso da Macchiarini che scrivendo sempre su Lancet non ha menzionato l’accaduto.
Nel frattempo però anche in Italia il caso Macchiarini torna a far discutere, con la decisione di rinvio a giudizio per il chirurgo e i suoi collaboratori, chiamati a rispondere di peculato, abuso d’ufficio e falsi. “La cosa che mi ha colpito di più di questa vicenda – spiega Giuseppe Remuzzi, Direttore del Dipartimento di Medicina e Dipartimento dei Trapianti presso l’Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo – è che tutti, compresi scienziati e politici, si sono fatti impressionare dalla grande idea, dai miracoli di una volta. Un chirurgo così affascina ma bastava intendersi di cellule anche solo un pochino per avere un atteggiamento più prudente. La medicina va avanti per piccoli passi e molto spesso passa per grossi fallimenti.
Tempo fa sul Corriere Fiorentino avevano già analizzato alcuni lavori di Macchiarini ed eravamo giunti alle medesime conclusioni di Gerdin. Un altro aspetto strano della vicenda è che gli stessi co-autori dei paper si sono dissociati da Macchiarini, questo perché?”, si domanda Remuzzi. Ma come possono accadere queste vicende? “Più l’imbroglio è grande è più difficile capirlo, per un referee è difficile trovare, soprattutto quando si parla di ricerca di frontiera, qualcosa che non va in un lavoro. Uno dei problemi, infatti, sta nel fatto che spesso molti esperimenti vengono prodotti in laboratori che utilizzano tecnologie molto all'avanguardia, ed è possibile che nessuno (o pochissimi al mondo) sia in grado di verificare materialmente i risultati di un esperimento. Certo la peer review, continua Remuzzi, è un sistema pessimo ma attualmente non esiste uno migliore”.

Il futuro delle pubblicazioni

Ogni volta che vengono scoperti casi come quello di Macchiarini sono in molti a gridare al collasso del sistema. “La competitività avvelena la vita dei ricercatori e ne inquina i risultati. Troppe polemiche e imbrogli turbano ormai l'Olimpo, un tempo sereno, della scienza”, aveva detto qualche anno fa il premio Leon Lederman.
Un pensiero che viene avvalorato da uno studio del 2011 su Nature dove viene evidenziato un aumento di 10 volte negli avvisi di retrazione durante il decennio precedente. Secondo dati pubblicati su PLoS One, il 14,12% dei ricercatori reputa che i colleghi abbiano falsificato dati (e il numero sale al 72% se si considerano scorrettezze minori), ma solo l’1,8% ammette di aver falsificato dati.
Molto spesso revisori hanno accettato lavori con una certa superficialità proprio in funzione della reputazione degli autori. La fama pregressa degli autori, o un gran numero di paper già pubblicati come garanti, possono anche fare la differenza. Invidie e la grande concorrenza  poi fanno il resto portando così un revisore a decisioni sbagliate. “Forse la soluzione potrebbe essere quella di far firmare le revisioni ma anche in questo sorgerebbero dei problemi”, sottolinea Remuzzi. In molti spingono per nuovi sistemi per verificare meglio cosa viene pubblicato, Nature fra qualche mese, per esempio, darà il via al meccanismo di peer review in doppio ceco.
C’è chi propone di rendere tutte le riviste open access per dare a tutti l’opportunità di verificare velocemente i risultati prodotti ma anche in questo caso vi è un precedente che fa riflettere. Qualche anno fa il giornalista John Bohannon aveva scritto un paper di ricerca palesemente falso, farcito di inesattezze ed errori che un controllo serio avrebbe dovuto individuare immediatamente. Il lavoro descriveva i risultati di una ricerca (mai esistita, naturalmente) in cui si dimostravano gli effetti antitumorali di una molecola estratta da un lichene. Poi lo ha inviato sotto falso nome a più di 300 riviste open access: più di metà hanno accettato l’articolo, giudicandolo adatto alla pubblicazione.
Oggi alcune riviste stanno cominciando anche ad adottare sistemi di peer review trasparenti, in cui i commenti degli esperti che valutano un articolo vengono messi in rete a disposizione di tutti, oppure altri ricercatori possono commentare e criticare la ricerca pubblicata direttamente sul sito della rivista.

In conclusione non sappiano se l’aumento del numero di articoli scientifici ritirati sia dovuto a una maggiore propensione degli scienziati del nostro tempo a comportarsi in maniera poco corretta o, al contrario, sia riconducibile a un netto aumento dell’efficienza nei sistemi di controllo. C’è da sottolineare un aspetto però oggi la scienza più che mai rappresenta un volano per l’economia per cui sui ricercatori si esercitano pressioni enormi, del tutto sconosciute in passato. Ecco perché occorre studiare il problema e sviluppare le misure più opportune per evitare le frodi. Trovare la strada migliore è difficile ma una cosa è certa: solo gli scienziati sono gli unici giudici in grado di capire la distinzione fra “buona” e “cattiva” scienza. Il caso Stamina docet.

DAI VACCINI AI GRAFFITI, TRENT’ANNI DI “CATTIVA” SCIENZA

Vaccini e autismo
E' il 1998  quando la rivista Lancet pubblica una ricerca a firma del medico britannico Andrew Wakefield, lo studio condotto su 12 bambini mette in relazione il vaccino contro morbillo -parotide e rosolia (MPR) e malattie infiammatorie croniche intestinali  che sono a loro volta legate alla sindrome di Kanner, altro nome per indicare l’autismo. Alla conferenza stampa di presentazione del lavoro Wakefield, chiede la sospensione dell’utilizzo del vaccino trivalente, le dichiarazioni del medico inglese non fanno altro che scatenare una campagna mediatica, che in poco tempo si diffonde in tutto il mondo, al centro della quale ci sono le cause farmaceutiche  accusate di nascondere gli effetti collaterali del vaccino trivalente.
Dopo la pubblicazione dell'articolo, i tassi di vaccinazione MMR diminuiscono drasticamente con un aumento dei casi di morbillo che in alcuni casi possono portare anche alla morte. Da quel momento molti studi scientifici verificano le teorie di Wakefield, senza trovarvi fondamento. L’incidenza della sindrome autistica è la stessa tra i bambini vaccinati e quelli non vaccinati. Nel 2003 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che non ci sono  prove per suggerire che il vaccino trivalente è responsabile dell’autismo. Le perplessità della comunità scientifica trovano conferma nel 2004, quando uno stretto collaboratore di Wakefield  lo accusa di corruzione, le dichiarazione del ricercatore portano alla scoperta che dietro al lavoro su Lancet c’è un gabinetto d’avvocati che aveva pagato Wakefield  per modificare i dati delle proprie ricerche e  fornire prove dell’associazione tra autismo e vaccinazione allo scopo di fare causa alla ditta produttrice del vaccino. Dopo 12 anni dalla pubblicazione la rivista Lancet decide di ritirare il lavoro.
Sempre nel 2010 il The American Journal of Gastroenterology rimuove un articolo basato sui dati del Lancet. Il Royal College of Physicians britannico espelle il medico dall’ordine e il General Medical Council giudica il medico “disonesto e irresponsabile”.

Un po’ di acido e la staminale è fatta
Siamo agli inizi di febbraio del 2014 dall’istituto giapponese Riken arriva una notizia che da molti esperti viene giudicata sorprendente: immergendo globuli bianchi maturi in una soluzione con pH acido questi ringiovanivano. Le cellule sopravvissute al “bagno” perdevano le caratteristiche di globuli bianchi acquisendo i marker delle cellule embrionali. Un approccio rivoluzionario e semplice in grado di far tornare una cellula somatica adulta allo stato di pluripotente. Troppo bello per essere vero? Infatti a distanza di qualche settimana incominciano i dubbi e le domande. Molti laboratori avevano provato a ripetere l’esperimento sviluppato da Haruko Obokata ma con nessun risultato.  
La biologa giapponese aveva chiamato questo tipo di cellule STAP (phenomenon stimulus-triggered acquisition of pluripotency). Facile, insomma. Ma distanza di qualche settimana dalla pubblicazione della ricerca molti gruppi di ricerca hanno incominciato a provare il protocollo descritto dalla ricercatrice giapponese. Tanti esperimenti ma nessun risultato.
In concomitanza poi molti blog specializzati hanno messo in dubbio la validità della metodologia. Alcune delle perplessità erano riconducibili a un paio di foto presenti nel lavoro. In risposta alle polemiche, il Riken ha fatto  partire due indagini sul lavoro. Un primo esame nel mese di marzo ha chiarito che due immagini pubblicate su Nature erano state manipolate. Risultato? Il ritiro dello studio.

Clonazione e cellule staminali umane
Il veterinario sudcoreano Hwang Woo Suk nei primi anni 2000 era in patria una vera e propria star. Fuori dal suo laboratorio venivano sistemate grandi piante di orchidee, dai suoi concittadini gli arrivavano di continuo complimenti e ringraziamenti. Le Poste gli avevano addirittura dedicato un francobollo speciale. Suk e i suoi collaboratori avevano pubblicato su Science un lavoro nel quale sostenevano di aver creato cellule staminali clonate su misura utilizzando cellule di 11 pazienti afflitti da malattie ritenute finora incurabili, come il morbo di Parkinson, il diabete e lesioni del midollo spinale.
Una scoperta degna di Nobel scrivevano in quei giorni i giornali di tutti il mondo ma anche in questo caso a distanza di qualche settimana una commissione d’inchiesta dell’Università di Seul riscontra che i due rapporti pubblicati da Science nel 2004 e 2005 erano frutto di una "completa falsificazione", visto che Hwang non era in possesso della tecnologia per creare cellule staminali umane clonate "su misura", identiche geneticamente a quelle di pazienti afflitti da malattie ritenute finora incurabili. Nel 2009 Hwang Woo Suk, è stato poi condannato per appropriazione indebita e violazione della bioetica in Corea del Sud.

Il genio della truffa: John Darsee
John Roland Darsee, ricercatore presso la Harward School aveva pubblicato interessanti ricerche su farmaci in grado di salvare cani sui quali era stato provocato artificialmente un infarto del miocardio. Peccato che i dati riferiti fossero totalmente inventati. Un gruppo di ricercatori della NIH non convinti del tutto della bontà delle ricerche di Darsee incominciarono ad analizzare i lavori fino ad arrivare ad accertare che le centoventinove fin troppo originali pubblicazioni di Darsee, molte delle quali in collaborazione con altri ignari colleghi, contenevano in media dodici errori per articolo e che, se i coautori fossero stati più attenti a leggere quello che controfirmavano, avrebbero potuto scoprire l' inganno. 

Cancro nei ratti ed erbicidi
Nel 2012, la rivista Food and Chemical Toxicology aveva pubblicato uno studio a firma di Gilles-Eric Séralini dell’Università di Caen. Secondo gli autori della ricerca i topi nutriti per due anni con il mais Ogm NK603 della Monsanto sviluppavano molti più tumori degli animali controllo.
Lo studio di Séralini suggeriva che il consumo di NK603 e/o del diserbante al quale il mais è reso resistente, provocasse l’insorgenza di tumori su animali sottoposti ai test, oltre a problemi epatici e renali. Una ricerca che suscitò subito un grande impatto mediatico. Con l’aumentare della preoccupazione intorno agli Ogm cresceva però anche il fronte di coloro che nutrivano perplessità nei confronti dello studio. Secondo molti esperti infatti, il numero dei ratti coinvolti nella ricerca era troppo piccolo e la loro dieta era stata completamente distorta rispetto a quella naturale. Inoltre, la specie di ratti scelta per l’esperimento (Sprague Dawley) era altamente incline a sviluppare il cancro, soprattutto in età avanzata.
Critiche e dubbi non così infondate dato che portarono al ritiro dello studio. Nel 2014 la ricerca di Séralini è stata di nuovo pubblicata, questa volta sulla rivista Environmental Sciences Europe. E’ stata scelta una rivista open acess così da mettere a disposizione di tutti i risultati dello studio, fanno sapere gli autori. Ci sono anche i dati grezzi. Nel commentary che accompagna lo studio, i ricercatori francesi negano le accuse che li hanno travolti nel corso degli ultimi due anni. A loro parere, si è trattato di un vero e proprio episodio di censura, che non fa altro che minare il valore e la credibilità della scienza riguardo un argomento così delicato e rischioso come il legame tra tecnologia e sicurezza alimentare. La pubblicazione della nuova versione non dà ai critici alcun motivo per cambiare idea anche se i dati sono stati analizzati in maniera differente, spiega Richard Goodman dell’University del Nebraska-Lincoln e redattore del Food and Chemical Toxicology. “Lo studio è stato - e, credo, rimanga – imperfetto”, afferma lo scienziato.

Graffiti e rifiuti in contesti urbani possono innescare cambiamenti nel cervello
Su Science nell’aprile del 2011 lo psicologo olandese Diederik Stapel affermava che l'odio e la discriminazione possono portare il cervello a essere più predisposto nel commettere atti criminali. Ma tutti questi dati sulla discriminazione razziale non sono del tutto veri, è lo stesso Stapel ad ammettere di essersi inventato tutti i dati delle presunte ricerche da lui svolte “sul campo” che poi passava ad assistenti e studenti con i quali firmava le pubblicazioni. Science ha ritirato i lavori.

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