Alberta Pinnola ha vinto il Premio giovani ricercatori edizione 2020 categoria Agricoltura per il paper: "A LHCB9-dependent photosystem I megacomplex induced under low light in Physcomitrella patens" pubblicato su Nature Plants 2018.
Motivazione: La Commissione ritiene che lo studio, eccellente da un punto di vista di originalità e valore scientifico, ben risponda ad alcune delle domande a cui la ricerca attuale deve rispondere per affrontare il dilemma dell'Agricoltura: come produrre piante in modo da sfamare l'umanità in crescita vertiginosa e con modalità sostenibili per il pianeta? Capire come le piante possano utilizzare al meglio l'energia luminosa è un importante contributo alla domanda che si pone come obiettivo specifico quello di aumentare la produttività vegetale anche in condizioni non ottimali.
Negli ultimi 50 anni, la produzione delle nostre principali colture agricole è aumentata, in linea con la domanda alimentare. Tale aumento è stato raggiunto grazie ai tradizionali incroci che hanno permesso di sviluppare varietà in grado di assorbire meglio le sostanze nutritive dal terreno, di avere semi più grandi e numerosi, di acquisire resistenza ad alcuni patogeni e di adattarsi ad ambienti climaticamente differenti. Tuttavia, queste strategie hanno ormai quasi esaurito il potenziale per ulteriori miglioramenti; nuove soluzioni tecnologiche devono essere esplorate per sviluppare varietà di piante con una resa più elevata, capaci dunque di sostenere le esigenze di una popolazione mondiale in costante crescita. Nel 2050 saremo probabilmente oltre 10 miliardi di persone: il bisogno di cibo sarà del 70-100% superiore ad oggi, ma l’ammontare globale di terreni arabili e produttivi pro capite diminuirà a causa di urbanizzazione e industrializzazione.
Una soluzione concreta a questi problemi può essere quella di aumentare la produttività dei raccolti agricoli sfruttando il miglioramento della fotosintesi, il processo che permette alle piante di crescere e produrre ossigeno utilizzando l'energia fornita dal sole, l'anidride carbonica presente nell’atmosfera e l'acqua proveniente dal suolo. Studiando i muschi (specie che esistono sul nostro pianeta da molto prima delle piante), ci siamo resi conto che la natura ha già trovato delle soluzioni per alcuni problemi legati alla fotosintesi. I muschi, ad esempio, crescono nel sottobosco a luce molto bassa, interrotta da lampi di luce intensa al movimento delle fronde degli alberi rispetto alla posizione solare. Le piante attuali, invece, nella loro evoluzione hanno perso i geni responsabili della crescita dei muschi all’ombra e si sono abituate a crescere in piena luce e ad evitare l’ombreggiamento reciproco. L’agricoltura moderna ha, però, bisogno di colture ad alta densità; il problema è che questa procedura causa una distribuzione della luce disomogenea all’interno delle colture: le foglie che ricevono effettivamente la luce del sole sono solo quelle superiori, mentre quelle inferiori sono costantemente in ombra o al buio. Questa condizione determina una diminuzione dell’efficienza fotosintetica che si traduce in una diminuzione di produttività delle piante. Con il lavoro “A LHCB9-dependent photosystem I megacomplex induced under low light in Physcomitrella patens” (Nature Plants 4, pages910–919(2018)), abbiamo cercato di capire come i muschi riescano a crescere all’ombra e abbiamo scoperto, per la prima volta, che ciò avviene attivando dei geni che codificano per delle proteine “speciali” (chiamate LHCB9.1 e LHCB9.2). Queste proteine vengono sintetizzate solo in condizioni di bassa luce e sono anche in grado di assorbire quella frazione di luce solare che normalmente viene filtrata (e non utilizzata) dalle foglie degli alberi che li sovrastano permettendogli di crescere. Ora stiamo introducendo questi geni nelle piante coltivate per valutare la loro produttività nei campi quando sono coltivate ad alta densità.
Questo lavoro è frutto della collaborazione tra l’Università di Pavia, l’Università di Verona e un team internazionale di laboratori: Palacký University di Olomouc, University of Groningen e University of Turku. Il lavoro è stato finanziato da un progetto della comunità europea chiamato SE2B (“Solar Energy to Biomass –Optimization of light energy conversion in plants and microalgae”).
In realtà, molti altri sono i geni che possiamo recuperare dagli antenati muschi per migliorare la produttività delle piante. I muschi sono molto interessanti per chi studia la crescita delle piante, un processo fortemente condizionato dalle condizioni ambientali. Freddo, luce, caldo, disponibilità d'acqua sono i fattori che più di altri determinano la capacità delle piante di crescere in un determinato ambiente. I muschi sono dei campioni in quanto resistono bene a tutte le sfide dell'ambiente. Ciò perché sono stati i primi a colonizzare le terre emerse emergendo dalle acque: trovandosi esposti a condizioni estreme (all'epoca non c'era il terreno, solo rocce e sabbia), sono sopravvissuti evolvendo nuovi geni che hanno permesso loro di colonizzare ampie superfici e preparare l'ambiente a piante più evolute, che si sono differenziate dopo di loro. Le piante, non avendo più la necessità di resistere a queste condizioni estreme, si sono progressivamente evolute facendo a meno di molti geni che sono quindi rimasti prerogativa pressoché esclusiva dei muschi. Tuttavia l’esperienza dei muschi e il recupero dei geni antichi può rivelarsi indispensabile per le sfide che la nostra società si troverà ad affrontare nel prossimo futuro.