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I complessi del nuovo virus

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«E’ una cosa seria, ci si deve preoccupare, non va sottovalutata, si dovrà fare il vaccino a tutti». «Nessun pericolo, è un’influenza lieve, farà meno danni di quella stagionale». Così gli esperti. E la gente, a due anni dall’influenza pandemica del 2009, è ancora confusa. Ci si preoccupa per niente o è una cosa seria?

Andiamo con ordine, basandoci soprattutto sui dati. Quante persone muoiono al mondo ogni anno di influenza stagionale? Duecentocinquantamila. E quante ne sono morte nel 2009 di influenza pandemica? Tra cinquemila e ventimila; molto, molto di meno. E allora perché se ne parla? Perché questo virus ha due facce e ci sono persone anche giovani e sane che hanno forme gravi al punto di aver bisogno di rianimazione. Cos'ha di diverso questo dagli altri virus dell'influenza stagionale? Arriva fino agli alveoli del polmone, così in fondo, dove i virus dell'influenza stagionale non arrivano quasi mai. Salvo il virus H5N1- quello degli uccelli - che si spinge tanto in là solo qualche volta, e solo in ammalati curati col cortisone. I medici più accorti queste differenze le avevano notate, ma il perché non lo sapeva nessuno.

Adesso abbiamo le idee un po’ più chiare.  I virus, per poter attaccare le nostre cellule, devono legarsi a una proteina. Quelli dell'influenza stagionale si legano a quella chiamata alfa 2-6, che sta soprattutto sulle cellule delle vie respiratorie alte, trachea e bronchi per esempio. Il virus dell’influenza pandemica usa lo stesso recettore, ma si lega anche a un'altra proteina molto simile, chiamata alfa 2-3, che sta in profondità, proprio sulle cellule degli alveoli polmonari. Quando arriva lì, il virus danneggia gli alveoli fino a romperli e lo spazio che dovrebbe servire per gli scambi respiratori si riempie d'acqua e di globuli rossi. Si comincia a stare male, manca l’aria, serve l’ossigeno: «sindrome da distress respiratorio acuto», dicono i medici. E’ una cosa grave, serve la rianimazione. Certe volte non bastano nemmeno intubazione e ventilazione meccanica, e si deve ricorrere all’ossigenazione del sangue con un apparecchio che si chiama  ECMO (extracorporeal membrane oxygenation). Il venti per cento degli ammalati di H1N1 arrivati a quello stadio lì muore. 

Basta il virus da solo a fare tutto questo danno? Qualcuno pensava di sì, pensava che il virus causasse una “tempesta di citochine”, dovute a un’eccessiva risposta infiammatoria.  Forse era questo a provocare danni così gravi in qualcuno, soprattutto nei giovani adulti. E’ un’ipotesi, ma ne sono state avanzate altre. Studiando i polmoni di chi è morto di influenza  pandemica, Sherif Zaki, che lavora al Centro per il controllo delle malattie di Atlanta ha trovato segni di infezione batterica associata al virus in un terzo dei casi, ma in tutti gli altri era solo il virus a distruggere gli alveoli e lo faceva più facilmente negli obesi o in chi era già malato di cuore.

Sono tutte ipotesi interessanti, che però non spiegano una caratteristica particolare di questa malattia: che i casi più gravi, quelli che hanno bisogno di rianimazione, capitano a giovani adulti fino alla mezza età, mentre chi ha più di 50 anni non si ammala oppure, se si ammala, ha un’influenza lieve. Ci hanno provato in tanti a trovare una spiegazione in questi due anni, ma senza successo. Un lavoro pubblicato su Nature Medicine proprio in questi giorni, condotto da microbiologi di Buenos Aires e pediatri di Nashville, ha aperto una prospettiva completamente nuova per interpretare questo fenomeno. Prima del 1957 circolava già un virus H1N1 molto simile a questo. Chi è nato prima di allora ha anticorpi capaci di neutralizzare il virus e renderlo inoffensivo. Chi oggi ha tra i 20 e i 50 anni, invece, il virus H1N1 non l'ha visto mai, non ha anticorpi e si ammala. Come i bambini, che però hanno forme meno gravi dei giovani adulti. Non solo, ma più i bambini sono piccoli meno l'influenza fa paura. Tutto il contrario di quello che ci si poteva aspettare. Perché? L'idea dei ricercatori di Nature Medicine è semplice: chi oggi ha 20-50 anni è stato esposto per molti anni di fila ai diversi virus delle influenze stagionali e nel suo sangue circolano tanti tipi di anticorpi. Molti di questi anticorpi si legano anche al virus H1N1, anche se non lo sanno neutralizzare. Questo legame però forma complessi immuni – cioè aggregati di anticorpi e proteine del virus -  che arrivano fino agli alveoli del polmone,  proprio dove avvengono gli scambi respiratori. L’organismo vorrebbe eliminarli, e lo fa attraverso un sistema di proteine che i medici chiamano «del complemento» (e che i ricercatori di Nashville  hanno trovato nei polmoni di chi è morto di influenza). Dove c’è attivazione del complemento però c’è danno, sempre. La polmonite viene da lì. 

I virus dell’influenza non sono nuovi a far danno attraverso complessi immuni e complemento. E’ già successo nel 1957, durante una epidemia pandemica di H2N2. Come lo sappiamo? I ricercatori di Nashville negli archivi dell'anatomia patologica del loro ospedale hanno trovato sezioni di polmone di persone morte di influenza in quell’anno e hanno studiato questi preparati con le tecniche di oggi. Nei tessuti meglio conservati  c'erano segni di malattia da immunocomplessi e attivazione del complemento proprio vicino agli alveoli e ai bronchi più piccoli. Naturalmente si sono accertati che lì ci fosse anche il virus e l’hanno trovato.

Insomma, non è il virus a fare danno (ecco perché certe volte questa influenza sembra addirittura più lieve di quella stagionale) e nemmeno la risposta infiammatoria al virus come si pensava fino a poche settimane fa, ma gli immunocomplessi e il complemento.  Ed ecco spiegato il paradosso dei bambini che si ammalano facilmente e dei giovani adulti che si ammalano di meno, ma di forme più gravi.

Si tratta di uno studio  molto importante, che non spiega soltanto cosa succede a chi contrae le forme più gravi di influenza, ma che  apre prospettive di cura del tutto nuove. Oggi per esempio ci sono farmaci che impediscono l’attivazione del complemento nei tessuti. «L’influenza è sempre imprevedibile e questa H1N1 pandemica lo è forse più di ogni altra» scrivevo su Scienza in rete il 22 settembre 2009 (Tutte le risposte (provvisorie) alle domande sul vaccino). A distanza di più di un anno, si riconferma davvero così.


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