L’eredità lasciata dal caso Stamina dovrebbe essere costituita da un bagaglio di nuove consapevolezze acquisite dalla ricerca, dalla politica, dalla stampa, dalla magistratura e dal grande pubblico, ma di certo comprende anche una voce molto concreta: 3 milioni di euro del Fondo sanitario nazionale stanziati nel 2013 dal cosiddetto decreto Balduzzi (legge 23 maggio 2013, n. 57 comma 2-bis) per effettuare una sperimentazione clinica sulle infusioni proposte da Davide Vannoni. Un trial che, alla luce del parere di due successive commissioni scientifiche e delle ben note vicende giudiziarie dell’esperto di comunicazione torinese, non venne poi mai intrapreso.
Che fare di quei soldi, in tempi di vacche magre? Lo ha
deciso, con un codicillo nascosto tra altri quasi 600, il maxiemendamento
sulla stabilità approvato pochi giorni fa dal Senato, che ha stornato quei
fondi, «per un importo fino a 1 milione di euro per l’anno 2017 e fino a 2
milioni di euro per l'anno 2018» a favore di «una sperimentazione clinica di
fase II basata sul trapianto di cellule staminali cerebrali umane in pazienti
affetti da sclerosi laterale amiotrofica».
Il testo di legge non prevede bandi o concorsi, ma ricalca
la descrizione di una ricerca specifica, presentata dalla stampa una paio di
mesi fa e condotta dal team di Angelo Vescovi, professore di biologia cellulare all'università Bicocca di
Milano e direttore scientifico dell'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza San
Pio da Pietrelcina di San Giovanni Rotondo.
A settembre i media rilanciarono infatti la notizia della conclusione dello studio su 18 pazienti, i cui
dati preliminari erano già stati pubblicati a gennaio sul Journal of
Transational Medicine. Molti sperarono che si trattasse di una prova di
efficacia, ignorando quel che significa quando si dice che uno studio di fase I
è andato “bene”: non che nei
malati di sclerosi laterale amiotrofica si fossero registrati miglioramenti
clinici significativi e permanenti, ma solo che il trattamento con cellule staminali
cerebrali ottenute da feti umani abortiti naturalmente non aveva prodotti
effetti collaterali gravi e indesiderati.
Lo
stesso professor Vescovi lo precisava tuttavia in quell’occasione all’ANSA: «I dati finora raccolti sono eccellenti. Tuttavia è ancora presto
per poter parlare di una “cura” contro la SLA e sono necessarie ulteriori
conferme».
Il
comunicato stampa rilasciato in quell’occasione
già prevedeva che queste conferme sarebbero state cercate con una nuova, più
ampia sperimentazione: «I risultati positivi ottenuti consentono ora di passare
alla fase II della sperimentazione, mirata a dimostrare l'efficacia del metodo
per arrestare la malattia: partirà nel 2016, sempre in Italia, e sarà condotta
su 70-80 pazienti». Nessun riferimento allora a come sarebbe stata finanziata
questa ulteriore, costosa, fase della ricerca, finora sostenuta da un pool di
fondazioni private, tra cui il Gruppo Generali, e coordinata dall'Associazione
Revert Onlus, nata nel 2003 sotto il nome di Neurothon Onlus, creata allo scopo e presieduta
da Monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la
Famiglia.
Il
comma al maxiemendamento, approvato per ora solo al Senato, risponde a questa
domanda: al registro internazionale clinicaltrials.gov non risultano altri studi
italiani che prevedano l’uso di cellule staminali nella sclerosi laterale amiotrofica,
a parte quello di Vescovi (Human
Neural Stem Cell Transplantation in Amyotrophic Lateral Sclerosis), condotto dall’Azienda
Ospedaliera Santa Maria di Terni in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero
Universitaria Maggiore della Carità - Università di Padova.
Lo
stesso ricercatore, d’altra parte, intervistato dall’ANSA, ha dato per scontato
di essere il destinatario del finanziamento, dichiarando: «Se il fondo verrà
confermato (deve ancora passare alla
Camera, NDR) ci permetterebbe di partire con la fase II - spiega il
genetista -. Il nostro programma prevede ora uno studio più ampio di fase II su
60-80 pazienti, di cui ora stiamo scrivendo il protocollo e che dovrebbe
partire a metà del 2016. Si tratta di una ricerca molto costosa, anche perché
tutto viene fatto secondo le norme internazionali e con le certificazioni
necessarie, e solo maneggiare i dati dei pazienti come viene richiesto dai
regolamenti costa centinaia di migliaia di euro. Sarebbe importante avere un
finanziamento pubblico, finora ci siamo barcamenati per trovare i fondi per
andare avanti, con il risultato che siamo riusciti a fare in sette anni quello
che avremmo potuto completare in tre. D'altra parte noi seguiamo tutte le norme
imposte dalle istituzioni, dall'AIFA all'ISS al ministero, e dei risultati
beneficerebbero i pazienti italiani».
All’AIFA confermano che, dal
punto di vista tecnico, sulla sperimentazione non c’è nulla da eccepire: si
attiene alla normativa internazionale vigente, in accordo alle regole dell’EMA (European
Medicine Agency), con cellule prodotte secondo i criteri di GMP (Good
Manufacturing Practice).
Il punto sollevato dal
provvedimento riguarda piuttosto le modalità con cui decidere a chi destinare
le risicate risorse pubbliche a disposizione per la ricerca: altre associazioni
di pazienti, travolte come e più dei malati di SLA dalla tempesta Stamina, si
chiedono con quali criteri sia stata scelta una malattia piuttosto che
un’altra; molti ricercatori chiedono che le assegnazioni dei finanziamenti
avvengano tramite bandi pubblici e trasparenti. «Il provvedimento approvato dalla Commissione bilancio è dal
punto di vista giuridico perfettamente legittimo» ha precisato a Scienzainrete
Emilia De Biasi, senatrice del Partito Democratico e presidente della
Commissione Igiene e sanità del Senato, che non è stata coinvolta nella scelta,
«ma concordo che occorre introdurre nuove procedure per far emergere le
principali esigenze della ricerca e rispondervi attraverso bandi pubblici in
cui siano evidenti i criteri di scelta. La trasparenza vince sempre, e
senz’altro mi farò promotrice di iniziative in questo senso» ha concluso la
senatrice. Roberta Villa