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Biotestamento, un cattivo servizio alla vita che finisce

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Da quanto si può desumere dalle notizie di stampa (il testo non è ancora disponibile), l’orientamento di fondo della proposta di legge conserva la negazione della possibilità del cittadino di formulare volontà anticipate e di vederle rispettate. Infatti, persiste l’uso del termine “dichiarazioni” anticipate di trattamento o addirittura di “orientamenti” quando tutte le numerose legislazioni internazionali parlano di “direttive” anticipate: la questione non è puramente semantica, perché le “direttive” risultano vincolanti per il medico mentre le “dichiarazioni” no.

Inoltre, e questa è la novità più insidiosa del testo, le volontà anticipate assumerebbero rilievo solo in caso di incapacità mentale permanente per accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale. Questa impostazione, apparentemente garantista, in realtà pone le basi per una quasi totale inapplicabilità della legge in quanto, dato il polimorfismo delle lesioni post-traumatiche, post-anossiche, ecc. sarebbe estremamente arduo trovare la totale assenza di attività cortico-sottocorticale, pur in presenza di stati clinici caratterizzati da lesioni encefaliche devastanti che perdurano da anni. Con il progredire delle indagini neurofisiologiche e radiodiagnostiche di immagine funzionali sarà anzi probabile che si potranno rivelare residuali e minimali attività elettriche o metaboliche pur in presenza di condizioni neurologiche di stati vegetativi gravissimi e perduranti nel tempo; ma sono proprio queste le condizioni cliniche che i cittadini che compilano i testamenti biologici vogliono evitare.

Inoltre si continua a considerare l’idratazione e la nutrizione artificiali come provvedimenti sempre eticamente e medicalmente doverosi e pertanto non sospendibili, quando tutte le società scientifiche nazionali e internazionali che si occupano di nutrizione artificiale le definiscono “terapie” e pertanto sospendibili o non iniziabili se clinicamente non indicate o eticamente illecite perché sproporzionate o rifiutate dal malato.

Per fortuna quest’ultima proposta legislativa, diversamente dal precedente testo Calabrò, esclude dall’obbligo di nutrire e idratare artificialmente i malati terminali, in cui tali terapie sono quasi sempre controindicate perché aumentano le sofferenze nella fase finale della vita.
Anche il ruolo del fiduciario, figura che dovrebbe rappresentare le volontà della persona diventata incapace, è stato minimizzato poiché tali volontà, anzi tali semplici “orientamenti” non saranno per nulla vincolanti per il medico che “in scienza e coscienza” e in applicazione del “principio dell'inviolabilità della vita umana" valuterà questi orientamenti e potrà ignorarli anche completamente, ponendo così nel nulla le volontà precedenti del malato anche se testimoniate dal fiduciario.

Una parola va infine detta sul modello di medicina e sul principio di indisponibilità della vita umana che costituiscono la trama etica su cui è intessuta la proposta di legge. Questi paradigmi bioetici sono legittimi ma non possono essere imposti a chi ha altri orientamenti etici, quali il modello di medicina delle scelte condivise, il principio di autodeterminazione del malato, il principio di disponibilità della vita, ecc. In sintesi una legge che voglia contribuire a migliorare le decisioni di fine vita deve fornire un quadro di riferimento normativo “leggero” in cui i vari orientamenti etici e culturali che attraversano la medicina e la società possano trovare accoglienza, senza tentare maldestramente di imporre una visione etica trincerata dietro standard tecno-scientifici scelti ad arte per bloccare l’espressione delle volontà delle persone. Al di là delle Alpi esistono buoni esempi di leggi “leggere” che facilitano le sofferte decisioni di fine vita, favorendo una coesione sociale attorno ad una medicina umanizzata e più vicina alle singole persone che non ai dogmi etici o scientifici.


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