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Biohacking de noantri

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Mike & Amanda Knowles from Tacoma, WA, USA

Il 20 giugno una persona a Colonia viene arrestata mentre stava costruendo una bomba biologica. Lo scorso aprile Aaron Traywick, 28enne biohacker convinto sostenitore delle sperimentazioni fai da te, si inocula un - evidentemente presunto - vaccino contro l’herpes e muore pochi giorni dopo. Josiah Zayner si inietta in diretta Facebook il proprio DNA modificato per aumentare la massa muscolare. In questo caso non succede nulla ma lui si pente: “potevo farmi male”. Intanto pubblicizza il suo emporio di prodotti biologici: The Odin. Nel 2017 il progetto Glowing Plant raccoglie in pochi giorni su Kickstarter mezzo milione di dollari per produrre un kit con cui poter modificare il DNA delle piante e renderle luminescenti: migliaia di persone (anche io...) sognano di poter mettere sul proprio comodino una luce biologica fino al giorno in cui la compagnia annuncia la chiusura

Altri progetti si sono rivelati più solidi. Per qualche centinaio di euro si possono trovare semplici apparecchi per PCR in kit da autocostruire (OpenPCR) o già pronti come i popolari BENTO e AMINO. Anche le istituzioni stanno tentando di democraticizzare procedure e tecnologie attraverso la collaborazione di cittadini, studenti, scienziati per la diffusione della cultura scientifica: vuoi capirne un po' di cellule e geni? alzati dalla sedia, basta slide, eccoti camice e pipette e sperimenta. Come nell'ormai consolidato iGem (di cui Scienza in rete ha dato conto qui). Questa modalità di partecipare alla scienza attira una nuova generazione di hobbisti: i biohacker.

L’hacker è un esperto di sistemi informatici e di sicurezza informatica capace di penetrare nelle reti informatiche protette per acquisire informazioni del sistema. A partire dagli anni ’80 il termine hacker inizia a essere confuso con il termine “cracker” che ha una connotazione negativa in quanto indica chi viola reti informatiche per ottenere vantaggi personali. Si creano poi espressioni come: ninja hacker, data hacker, growth hacker. I biohacker sono persone e comunità che fanno ricerca biologica nello stile hacker. Il movimento biohacker nasce dalla fusione tra la biologia fai da te e la modificazione corporea. Le radici culturali del biohacking risiedono nel movimento artistico e letterario chiamato biopunk, sottogenere della fantascienza, che tratta temi quali la manipolazione genetica e del corpo sullo scenario di società future.

Hanno a disposizione materiali accessibili a pochi, maneggiano elementi pericolosi. Per questo chi si dedica al modellismo ferroviario (il ferromodellista) non ha il privilegio di avere delle leggi dedicate mentre i biohacker sono da tempo sotto lo sguardo preoccupato di politici, polizia, magistratura. Per esempio in Germania chi altera il DNA di altri organismi per conto proprio, senza alcuna licenza, può essere multato o addirittura punito con il carcere. Questo mina alla base il concetto di biologia fai da te, DIY biology.

Al momento pochi si dilettano attorno alle pratiche più difficili (sguazzare con disinvoltura tra i geni non è da tutti). Molti preferiscono una via di accesso tramite l'utilizzo di tecnologie elettroniche (che ormai da molto tempo sono il campo d'elezione di nerd e smanettoni). A livello internazionale Amal Graafstra è tra coloro che per primi hanno tentato di unire (nel verso senso della parola) l'hacking tecnologico a quello biologico: nel 2005 si è impiantato (questo è molto importante per gli hacker, non si è fatto impiantare) il suo primo chip sottocutaneo nella mano. Oggi ne ha cinque e li usa per aprire la porta di casa o dell’automobile e per accedere al suo computer. I chip sono inseriti in una stringa da piercing, disinfettata e chiusa ermeticamente. L’operazione è abbastanza semplice e non richiede nemmeno anestesia: bastano un ago di 3 millimetri e la precisione di un chirurgo per centrare lo spazio tra il pollice e l’indice. Graafstra ha fondato DangerousThings, sito col qualche negli ultimi anni è riuscito a vendere migliaia di kit per hackerare il proprio corpo.

Per chi volesse provare: non sempre è facile farsi spedire i kit in Italia. Da noi anche il piccolo chimico è stato depotenziato... Pochi anche i gruppi attivi sul territorio: al momento Scienza in rete ha censito un gruppo Trento, Open Wet Lab (OWL), giovani biotecnologici e appassionati di scienza; un FabLab a Torino, BEINTO; un recente MeetUp a Milano (Biohackers Milano) che discute di come sperimentare sul proprio corpo conoscenze mediche e apparati tecnologici per aumentare il proprio benessere psicofisico.

Le diverse facce del biohacking

 

Jesse Sullivan.

Jesse Sullivan, un ex tecnico delle linee ad alta tensione, perse entrambe le braccia nel 2001 in un incidente sul lavoro. In questa foto mostra le capacità del braccio protesico Proto1 durante una serie di test clinici presso il Rehabilitation Institute of Chicago. Sullivan è considerato il primo cyborg della storia: il suo arto è collegato al corpo tramite un innesto nervo muscolare. Oltre a controllare il braccio artificiale con la mente, può anche sentire caldo o freddo e con quanta forza sta afferrando un oggetto.

 

Pubblicità dell'impianto "North Sense".

La Cyborg Nest è la prima azienda a vendere articoli di biohacking a un pubblico più ampio. I suoi prodotti non richiedono un intervento, ma al massimo dei piercing per attaccare i dispositivi al corpo. “North Sense” vibra quando si allinea con il polo terrestre.

 

Stelios Arcadiou: terzo orecchio.

Stelios Arcadiou, in arte Stelarc, ritiene che il corpo umano sia obsoleto e per questo ha deciso di farsi impiantare un orecchio nel braccio sinistro. All’interno dell'orecchio si trova un microfono che tramite una connessione bluetooth consente a chi si collega di ascoltare le conversazioni del professore.

 

Uno dei materiali prodotti da MOGU.

Maurizio Montalti è uno scienziato artista che ha iniziato a coltivare muffe nel proprio bagno (come molti di noi fanno senza volerlo). Ora è nel team di MOGU, una start up italiana che, proprio a partire dalle suggestioni di Montalti, ora produce biomateriali (piastrelle, mattoni, vasi...) usando funghi, muffe, scarti biologici provenienti da agricoltura e industria.

Hanno collaborato: Andrea Bentivegna, Giacomo Casaretto, Francesca Mauriello, Alice Segato.

È una brevissima incursione del mondo della biologia DIY, Scienza in rete intende seguire nel tempo l'evolversi di questa tendenza, raccogliere e segnalare soprattutto le esperienze italiane: se volete contribuire scrivete a [email protected]


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