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Big data, robot e intelligenza artificiale per la salute

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Big data, intelligenza artificiale e robot possono essere un aiuto importante alla salute nostra e del pianeta, in un'ottica One Health - anche nella pandemia. Flavio Lirussi ripercorre alcuni degli esempi più significativi.

Crediti immagine: Mathew Schwartz/Unsplash

Che c’azzecca, direbbe qualcuno, il CERN di Ginevra, diretto da una fisica nucleare (Fabiola Gianotti), con l’One Health Center of Excellence della Florida, un think tank che promuove l’implementazione della salute circolare, diretto da un’altra scienziata di fama mondiale (Ilaria Capua), laureata in medicina veterinaria?

La salute circolare si basa sul riconoscimento delle interconnessioni tra la salute umana, animale, delle piante e, non ultima, quella dell’ecosistema in cui viviamo. Ma è anche un approccio e un metodo di tipo collaborativo, multisettoriale e interdisciplinare, che si può attuare a livello locale, regionale, nazionale e globale (ne avevamo parlato qui). Quindi molto complesso, e per questo necessita per la sua implementazione di strumenti innovativi quali i big data e l’intelligenza artificiale.

Applicato alla lotta contro l’attuale pandemia, questo significa anche la possibilità di trovare nuove soluzioni. Come? Coinvolgendo scienziati di diverse discipline per studiare i dati su cause ed effetti del virus sull’attuale pandemia e, potenzialmente, contribuire a prevenire le prossime pandemie.

I big data

E quindi, qual è il collegamento tra le particelle elementari e la salute? Il CERN ha messo a disposizione un supercomputer dotato di una enorme capacità di calcolo e in particolare la piattaforma Zénodo (dal nome del primo bibliotecario dell’antica biblioteca di Alessandria). Questa serve per archiviare e analizzare i dati relativi a Covid-19 in maniera strutturata. La piattaforma è open access, cioè ricercatori di tutto il mondo (matematici, fisici, economisti, ingegneri, medici, veterinari, agronomi, esperti di clima, eccetera) possono contribuire, con la loro ‘intelligenza collettiva’, a contrastare la pandemia.

Sulla piattaforma Zénodo affluiranno informazioni sull’inquinamento, utili a valutare la loro influenza sull’andamento e sulla gravità della malattia da Covid-19, e dati meteorologici (temperatura, umidità, frequenza e quantità delle precipitazioni) per verificare se queste alterazioni climatiche abbiano un impatto sull’epidemia. Il monitoraggio di questi parametri ambientali è importante perché sappiamo che malattie trasmesse da vettori quali la malaria e il dengue aumentano con l’aumentare di queste due variabili. Inoltre, verranno raccolti e analizzati dati provenienti dagli ospedali e altri relativi alla mobilità delle persone per meglio capire le modalità di circolazione del virus, utilizzando anche gli smartphone e i social media. Non solo: si sta studiando l’interazione fra mobilità (più precisamente mancanza di mobilità), salute mentale e costi per il sistema sanitario nazionale (consumo di farmaci, assistenza medica e terapeutica) durante l’epidemia di Covid-191.

Insomma, una mole immensa di dati: i big data appunto. Il progetto è rivoluzionario perché inserisce in un problema che riguarda la salute, una capacità computazionale enorme, e una altrettanto grande capacità di organizzare e strutturare i dati, da cui trarre soluzioni efficaci e innovative.

Un altro esempio dell’utilizzo dei big data viene da uno studio recente pubblicato su Nature Human Behaviour e che Scienza in rete ha ripreso qui. Gli autori hanno studiato l’impatto del ciclo mestruale sull’umore (felice/triste, calma/stressata, eccetera), il comportamento e alcuni parametri vitali (frequenza cardiaca, temperatura basale, peso corporeo), paragonandolo ad altri cicli ‘fisiologici’: giornaliero, settimanale e stagionale. I risultati indicano che il ciclo mestruale ha il maggiore effetto sulla maggior parte delle dimensioni dell’umore, del comportamento e dei parametri vitali rispetto agli altri cicli presi in esame. Mentre attività fisica e sonno rimangono più costanti.

Lo studio si è basato su un gigantesco database messo a disposizione dalla società che commercializza l’applicazione Clue per il tracciamento del ciclo mestruale. Si tratta di 241 milioni di osservazioni su 3,3 milioni di donne reclutate in 109 paesi. Numeri che difficilmente si potrebbero raggiungere negli studi clinici tradizionali e che richiedono una capacità computazionale molto elevata.

Un’ultima riflessione sui big data riguarda il campo delle neuroscienze e delle neuro-tecnologia. Già oggi è possibile collegare il cervello umano ai computer. Alcuni impianti neurali a livello cerebrale sono usati nel trattamento del morbo di Parkinson; altri assistono i pazienti paralizzati a controllare i dispositivi robotici solo con l’attività cerebrale. Ma cosa succederebbe se in ambito dei big data cominciassero a essere raccolti i dati cerebrali? Il rischio c’è, perché grandi multinazionali stanno già sviluppando prodotti neuro-tecnologici di consumo. Se questo trend dovesse diventare mainstream, si manifesterebbero grossi problemi inerenti alla privacy, alla nostra identità personale, all’etica e, in sintesi, ai diritti fondamentali della persona umana.

I robot

È da circa venti anni che sono stati studiati e prodotti i ‘robot da compagnia’. I più recenti sono dotati di intelligenza artificiale e hanno tutti lo scopo di generare effetti benefici tramite una interazione uomo-macchina in situazioni specifiche, quali per esempio il confinamento in corso di pandemia. Paro, il robot-peluche con sembianze di foca, è dotato di sensori capaci di reagire al tatto e, grazie all’algoritmo, riconosce perfino le voci. Ha una funzione terapeutica in quanto permette di ridurre l’assunzione dei farmaci nella demenza senile. E per chi invece soffre di solitudine? C’è Cimon, il robot emozionale pensato per chi trascorre molto tempo da solo, come gli astronauti. In effetti, il robot sviluppato da Airbus e IBM si trova attualmente nella Stazione Orbitale Internazionale. Oltre a tenere compagnia agli astronauti, Cimon li supporta nelle attività quotidiane, spiegando le informazioni necessarie a eseguire gli esperimenti scientifici e i lavori di riparazione, e riducendo nello stesso tempo la loro esposizione allo stress.

La scienza in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante e siamo già arrivati a parlare di robotica sociale o addirittura di intelligenza artificiale robotica con competenza culturale o meglio, di assistenza robotica transculturale, cioè sensibile alla cultura e ai valori delle persone. Questi robot possono aiutare i pazienti in molti modi: ricordando loro di prendere i farmaci, incoraggiandoli a essere attivi, aiutandoli a rimanere in contatto con la famiglia e con gli amici. Ogni azione viene eseguita con attenzione alle abitudini, alla cultura e alle preferenze individuali delle persone anziane.

I robot in grado di rispondere alle esigenze degli anziani in modo sensibile e culturalmente appropriato hanno maggiori probabilità di essere fidati e accettati. Ciò è di importanza globale in quanto l'invecchiamento della popolazione in tutto il mondo richiede maggiori risorse sanitarie e di assistenza sociale. I robot culturalmente competenti possono alleviare le pressioni sugli operatori sanitari negli ospedali e nelle case di cura, anche se non vanno esclusi potenziali conflitti tra pratica medica e infermieristica e quella robotica. Per questo in Europa si stanno predisponendo corsi di formazione ad hoc.

L’intelligenza artificiale

Il progetto Watson Health, sviluppato dalla IBM, combina la capacità computazionale (milioni di articoli scientifici e dati clinici reali archiviati) con l’intelligenza artificiale (IA) che, attraverso una griglia di sintomi e informazioni sul paziente, riesce a dare precise indicazioni diagnostiche al medico curante. Ma questo è solo un esempio di come l’IA stia a poco a poco penetrando varie branche della medicina, dalle malattie cardiache e polmonari alle affezioni intestinali, fino alle malattie degli occhi.

Vediamo alcune realizzazione concrete. 

Malattie polmonari. Lo stetoscopio, che da circa 200 anni il medico usa per auscultare cuore e polmoni, è diventato smart. Lo sviluppo dello stetoscopio intelligente da parte degli ingegneri della Johns Hopkins University è nato dalla necessità di diagnosticare la polmonite pediatrica (responsabile di 1 milione di morti all’anno) in aree del mondo prive di un supporto radiologico per la diagnosi. Mediante l’IA sono state analizzate 2.000 registrazioni della respirazione di bambini in ambulatori medici di Africa e Asia. I suoni captati dallo stetoscopio digitale durante l’auscultazione del torace sono convertiti in segnali elettrici e paragonati dalla IA con quelli in memoria. La precisione diagnostica si attesta all’87% .

L’applicazione inoltre è in grado di eliminare il suono del battito cardiaco e di tutti i rumori provenienti dall’ambiente esterno, rendendo puro il segnale dai polmoni. L’accuratezza diagnostica sale addirittura al 98,5-100% quando si utilizza un dispositivo messo a punto dai ricercatori del MIT di Boston in grado di eseguire la diagnosi di Covid-19 grazie a un singolo colpo di tosse. L’IA, mediante un particolare algoritmo, analizza il tono della voce, lo stato emozionale e il ritmo della respirazione, e li confronta con migliaia di colpi di tosse di pazienti affetti da Covid-19 o di soggetti normali, riuscendo a individuare soggetti del tutto asintomatici ma positivi al virus2.

Malattie intestinali. Il modulo Cad-Eye è una tecnologia innovativa che aiuta l’endoscopista gastroenterologo a individuare i polipi del colon e a caratterizzarli fornendo informazioni aggiuntive. Si basa su un algoritmo di “deep learning” che viene attivato durante la colonscopia. Quando il modulo di IA artificiale individua un’anomalia della mucosa del colon lancia un segnale acustico ed evidenzia l'area interessata attirando una maggiore attenzione dell’operatore. In altre parole ‘un occhio intelligente’ che consente di identificare e classificare anche piccoli polipi o lesioni che potrebbero sfuggire alla visione umana.

Malattie degli occhi. Il deep learning o apprendimento profondo viene anche sperimentato in campo oculistico. I ricercatori dell’Eye Research Institute di Singapore hanno messo a punto un nuovo algoritmo basato sull’elaborazione di 15.000 immagini tomografiche del fondo oculare di oltre 7.000 pazienti. L’obiettivo è rilevare con la massima accuratezza la presenza della retinopatia diabetica e della degenerazione maculare legata all’età. I risultati sono stati incoraggianti e questo strumento potrebbe in futuro essere utilizzato anche per screening di massa e per indirizzare in maniera tempestiva i pazienti con danni alla vista ai centri di cura oculistici.3

L’Humber River Hospital di Toronto, in Canada, è la prima struttura ospedaliera completamente digitalizzata del Nord America, dove tutte le informazioni sono elettroniche, le persone sono costantemente connesse e i sistemi sono automatizzati. Attraverso il suo ‘centro di comando’ (Command Center), lo staff – formato da medici, infermieri ingegneri clinici e informatici, è in grado di tenere sotto controllo in tempo reale tutti i dati dell’ospedale: dai parametri vitali di ogni singolo paziente, alla disponibilità dei posti letto, al flusso dei gas medicali, fino ai carichi di lavoro in sala operatoria, nei reparti e nei servizi di supporto. Il tutto grazie alla IA e a 33 monitor integrati. Qualcuno ha paragonato questo metodo di lavoro alla gestione di un centro NASA.

Ma c’è di più, perché l’obiettivo è duplice: migliorare la qualità delle cure e migliorare l’esperienza dei pazienti ricoverati aumentando il loro ‘coinvolgimento digitale’. Ogni paziente, infatti, ha il controllo della propria stanza (luci, temperatura, oscuramento delle finestre...), può ordinare cibo online (compatibile con la sua patologia), connettersi con la famiglia, avere un intrattenimento a scelta e l’accesso alla propria cartella clinica digitalizzata.

Secondo una recente review, l’IA è stata finora applicata in almeno quattro campi del sistema sanitario nella lotta contro il Covid-19: diagnosi, terapia, procedimento decisionale in area clinica e salute pubblica. Potenzialmente potrebbe essere applicata in altre quattro aree: sorveglianza, combinazione con i big data, riorganizzazione degli interventi e dei servizi medico-chirurgici, e gestione dei pazienti con Covid-19. Lo studio conclude che di fronte alla crescente pressione sulle limitate risorse sanitarie, l'uso di tecniche guidate dall'IA utilizzate nella prevenzione, diagnosi, monitoraggio, ricerca di terapie e vaccini e processi decisionali di salute pubblica, può aiutare a migliorare l'efficienza e l'efficacia degli sforzi per combattere la pandemia.

In sintesi, l’intelligenza artificiale si sta proiettando sempre più verso una meglio definita “Intelligenza Alternativa”, un concetto operativo nuovo che evidenzia l’intelligenza collaborativa tra macchina e uomo. In questa cornice si inserisce la svolta, da alcuni definita epocale, attuata della IA nella ricerca a livello molecolare. Un importante contributo alla lotta contro il SARS-Cov-2 deriva dalla possibilità di predire la struttura 3D di una proteina mediante un algoritmo (DeepMind’s AlphaFold, di cui Scienza in rete ha parlato qui) a partire dalla sua struttura primaria. A detta del biologo strutturale John Moult, l’algoritmo «ha risolto un problema vecchio di cinquant’anni, che non avrei mai pensato di vedere risolto durante la mia vita». AlphaFold è già risultato decisivo nel velocizzare l’analisi della struttura di una proteina del SARS-CoV-2 e verrà utilizzato per la ricerca e il riposizionamento di antivirali efficaci contro il virus stesso.

 

Note
1. Capua, I. Non si torni alla vita di prima, salute e ambiente sono un sistema circolare. Pianeta 2021. Corriere della Sera 16 dicembre 2020
2.  J. Laguarta F. Hueto, Subirana B, "COVID-19 Artificial Intelligence Diagnosis using only Cough Recordings," in IEEE Open Journal of Engineering in Medicine and Biology, doi: 10.1109/OJEMB.2020.3026928
3. Yih-Chung Tham et al. Referral for disease-related visual impairment using retinal photograph-based deep learning: a proof-of-concept, model development study. The Lancet Digital Health, 3: e29–40, Published: January, 2021
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