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Bene il nuovo PRIN, ma serve anche un'Agenzia della ricerca

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Fedeli

"Ministro Pop". Elaborazione di Sergio Cima.

Con un intervento sul Sole 24 ore, Maria Pia Abbracchio e Patrizia Caraveo del Gruppo 2003 hanno puntato i riflettori sull’importanza di un congruo finanziamento alla ricerca diffusa in Italia, come presupposto necessario a competere a livello internazionale. Sotto questo profilo è sicuramente una buona notizia il nuovo bando PRIN di 400 milioni di euro che il ministro Valeria Fedeli ha annunciato nei mesi scorsi e che dovrebbe vedere la luce entro fine 2017. E' infatti primo compito dei governi nazionali finanziare la ricerca di base, vero motore dell'innovazione, non quella applicata su cui si concentra in via pressoché esclusiva la Commissione Europea attraverso i suoi programmi quadro.

Bene quindi il nuovo PRIN, a patto che il bando non sia riservato solo alle università ma anche agli enti di ricerca.

Altro rischio da evitare, che ha caratterizzato la gestione del bando precedente (di 92 milioni di eur su tre anni, pari all'ingaggio di Iguain, come soleva dire il compianto Nanni Bignami), è di finanziare una fetta troppo piccola dei progetti presentati: nel 2015 sono stati circa il 6%, per giunta con riduzioni di budget che a volte hanno sfiorato l’80% dell’importo, senza peraltro chiedere una conseguente rimodulazione dei progetti così massacrati (per questo rimandiamo all’articolo di Scienzainrete che ha analizzato il bando PRIN 2015). Infine che il lavoro dei ricercatori venga pagato in tempi decenti, cioè entro un anno come fanno le principali organizzazioni no profit e non dopo tre-quattro anni.

Ora si prospetta un finanziamento di 400 milioni di euro, parte presi dal “tesoretto” dell’Istituto italiano di tecnologia. Ma finiti i tesoretti, i bandi futuri rimarranno a questo livello di spesa o torneranno alle abituali quaresime? Sarebbe certo un imperdonabile errore drogare il mercato della ricerca pubblica italiana con una overdose di fondi (si fa per dire, si tratta comunque della metà-un terzo di quanto stanziato degli altri paesi industriali…) per poi rimettere tutto il sistema in astinenza.

Quindi sarebbe utile fare un passo ancora e dichiarare a chiare lettere che, insieme al nuovo bando PRIN da 400 milioni, ci si appresta a istituire una Agenzia nazionale della ricerca che possa erogare ogni anno almeno un miliardo di euro in bandi competitivi facendo valere le buone pratiche della valutazione indipendente. Tanto più che a tifare per una agenzia di questo genere non è più il solo Gruppo 2003, che ne ha fatto il suo cavallo di battaglia da un decennio, ma anche altre realtà importanti del Paese, come testimonia il nuovo Rapporto Ambrosetti sulle Life Science 2017 riportando gli orientamenti di Assobiotech e altri attori della ricerca nazionale.

Unico paese nel mondo sviluppato a non avere una agenzia di questo genere, l’Italia deve essere in grado di vincere le resistenze e cominciare seriamente a mettere in mani competenti e indipendenti la gestione di tutto il finanziamento competitivo. Un budget che non può essere ricavato dai fondi ordinari già esistenti ma deve essere aggiuntivo. E consistente.

Ricordiamo infatti che dei circa 20 miliari di euro spesi annualmente in ricerca in Italia (1,3% del PIL), 15 miliardi vanno in stipendi e 5 miliardi in acquisto di beni e servizi (vedi link), e che l’Italia attualmente destina alla ricerca competitiva il 5% del suo budget rispetto al 21% della Francia, il 36% della Germania e il 53% della Gran Bretagna (si veda il Rapporto RIO 2016).

I sette Research Council britannici da soli erogano 3,9 miliardi sterline all’anno in bandi. C’è quindi motivo di rallegrarsi per un bando PRIN di 400 milioni di euro. Ma c’è anche motivo per non fermarsi qui.

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