E’ vero che “Divinum est sedare dolorem”, ma vi siete mai soffermati sui veri artefici del miracolo divino di sedazione del dolore?
In “Noi
rianimiamo” edito da Progedit, Giovanni
Ancona ci racconta la sua esperienza di mezzo secolo di professione trascorso
tra sale operatorie, centri di rianimazione e di terapia intensiva. Il tema
affrontato si preannuncia delicato e prepara il lettore a un racconto
emotivamente difficile, ma accade invece che, sin dalle prime pagine, sorrisi ed
episodi spassosi fanno da protagonisti.
Perché “Noi rianimiamo” è un’antropologia
semiseria dell’anestesista rianimatore: i non addetti ai lavori si ritrovano
catapultati in un microcosmo inaspettato che ha le caratteristiche di un’opera da
teatro dell’assurdo, a tratti dimacabra farsa o di una vera e propria bolgia
infernale.
Sulla scena si alternano chirurghi e primari, con i loro rituali e codazzi da
maestri, ingessati in un intrinseco “chirurgo pride”; infermieri e colleghi,
con abitudini e manie spesso discutibili; pazienti con vicende diverse e
reazioniindividuali variegate. Sullo sfondo gli spazi, gli strumenti e le
pratiche di un ospedale del passato,privo cioè del supporto tecnologico e
informatico odierno: tubi, aghi, bombole di ossigeno, apparecchi di
monitoraggio e aste portaflebo riempite delle soluzioni più varie e complicate
sono parte di descrizioni puntuali che si integrano nelle righe di una narrazioneveloce
che tuttavia non perde mai di profondità.
Nella
trama di questo racconto sagace ed esilarante, l’autore non rinuncia infatti a mettere
a fuoco i suoi stati d’animo, le sue angosce e le sue legittime paure che hanno
accompagnato le diverse fasi della sua carriera. Da monologhi sinceri e riflessioni
profonde emerge quindi tutta la complessità umana del mestiere di anestesista,
al cui rigore professionale devono aggiungersi altri oneri fondamentali. Quello
della solidarietà, quando si viene a
contatto con i grovigli della vita e del destino della gente e si diventa
depositari di confidenze e verità che i parenti dei pazienti non si sognerebbero
di dire a nessuno, se non fossero in preda a momenti di panico e smarrimento.
In più, e non meno importante, l’enorme responsabilità di gestire l’imprevisto
per salvare ogni singola vita, con l’amara consapevolezza di non avere il dono
dell’infallibilità.
Nel libro, l’autore tratteggia l’impegno della sua missione
quotidiana riprendendo i celebri versi di John Donne, che compaiono sul
frontespizio del romanzo di Hemingway “Per chi suona la campana”: “Nessun uomo
è un’isola…Ogni morte di uomo mi diminuisce perché io partecipo dell’Umanità”.