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Addio a Paolo Budinich, il 'capitano'

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Dopo quasi cent'anni di forte presenza, Paolo Budinich ci ha lasciato. Uomini così non ne nascono più. Fisico teorico di grande scuola, creatore a sua volta di una scuola, ma anche creatore e inventore e di importantissime realtà scientifiche che hanno trasformato Trieste, la sua città, da malinconicamente deindustrializzata e depopolata a centro vitale internazionalmente famoso. E anche campione dei ben oltre 100.000 scienziati dei Paesi poveri di tutti il mondo che a Trieste hanno trovato grazie a lui una casa scientifica e un punto di riferimento lontano da casa.

Per conoscerlo bene bisognava anzitutto andarci assieme in barca. Perché Paolo era al fondo un navigatore, un capitano. Anche in senso letterale, come si conviene ad un Lussiniano, innamorato del mare, dell'avventura, dell'esplorazione. Determinato a partire, studiando il natante, il tempo e il vento, a fare la traversata, e determinato poi ad arrivare in porto, costasse quel che costasse. Tenace, accorto, allo stesso tempo temerario e prudente, astuto e idealista. Attento ai dettagli, ma con l'anima concentrata al suo scopo, cioè portare la barca, ciurma e carico a destinazione. Così ha fatto con tutte le sue cose, i grandi progetti così come le barche e tutto il resto. Uno statista vero, pulito, idealista ma diretto e concreto come un capitano.

Per andare ora in maggiore dettaglio parlerò soprattutto della mia esperienza personale con lui. Arrivato neolaureato a Trieste, studente del primo Winter College on Theory od Condensed Matter, 3 Ottobre - 16 Dicembre 1967 presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica (ICTP), vi conobbi il professor Paolo Budini - così era stato buffamente italianizzato il suo cognome in epoca fascista. Ancora sconosciuto ai più, il Centro era stato fondato da lui e da Abdus Salam tre anni prima, ed era allora stipato a Piazza Oberdan in piena città. Abdus Salam era il direttore pakistano e carismatico, professore anche a Londra e raro da incontrare. Il Professor Budini era il co-fondatore e vicedirettore, sempre presente e in realtà il più importante per noi, perché tutto quel che ci riguardava faceva capo a lui. Era soprattutto grande per noi studenti, inesperti ma non sprovveduti, il suo approccio umano, così diverso da quelli che in generale conoscevamo, in specie se provenienti dal terzo mondo. Generosità, internazionalità degli standard, apertura, rispetto scientifico e umano, erano fra i suoi tratti che attraevano e affascinavano. Questo in realtà era lo standard internazionale maturato nell'ambiente della fisica delle particelle elementari in luoghi come il CERN di Ginevra che avevo conosciuto anch'io l'anno prima, ma che ancora nessuno aveva sdoganato alla stragrande maggioranza delle istituzioni scientifiche del mondo.

Il successivo impatto con Paolo, che racconto anche perché illustra il suo modo di far crescere l'ICTP, lo ebbi a metà degli settanta.
Durante uno dei congressi che l'ICTP organizzava ogni anno nel mio campo e ai quali partecipavo ormai con una certa regolarità, Paolo Budinich mi convocò nella sua grande stanza - uguale e significativamente opposta a quella di Salam nel nuovo e magnifico edificio di Miramare. Alla presenza di Luciano Fonda e Luciano Bertocchi, suoi colleghi professori, mi offrì di trasferirmi da Roma a Trieste, a condizioni personali vantaggiose, per far partire all'ICTP e all'Universita' un nuovo gruppo di teoria della materia condensata, fino ad allora inesistente. Credo avesse avuto da Franco Bassani, mio antico mentore e suo grande amico, l'indicazione del mio nome. Ero molto giovane, e son certo che l'offerta era stata fatta ad altri più anziani prima di me; ma nessuno aveva evidentemente accettato la difficoltà di far partire un gruppo da zero, e il pesante e ingrato lavoro che organizzare i congressi, le visite, e la ricerca di tanti scienziati del terzo mondo avrebbe richiesto. Dopo un paio d'anni di tira e molla e una certa dose di trattativa - trattativa che a me costò molto mentre credo piacque a Paolo perché rifletteva quel che avrebbe fatto lui al mio posto - riuscii a negoziare il minimo che avrebbe permesso di alla mia impresa di decollare a Trieste: avere un budget, una segretaria, e sopratutto poter portare con me un gruppetto di collaboratori di qualità, che erano Parrinello, Tosi, Rovere e Giuliani, da Messina, Roma e Pisa. La genuina apertura, disponibilita' e generosità dell'offerta, ma sopratutto l'attrattiva umanitaria che Paolo mi prospettò di poter fare qualcosa per i colleghi meno fortunati del terzo mondo furono ingredienti non secondari per decidere di lasciare Roma, allora la migliore Università italiana - dove fra l'altro mi era stata promessa una sicura carriera - per Trieste. Accettai perché affascinato da Paolo e dai suoi argomenti. Poteva essere un bidone, ma non lo fu. Una volta arrivati, si prese buona cura di noi e ci aiutò a costruire e far sopravvivere la nostra area scientifica, seppure così diversa dalla sua. Divenne ben presto anche un amico a livello personale. Oggi, quasi quarant'anni dopo, constato di non aver mai dovuto rimpiangere nessuna singola offerta di Paolo. Anche quando qualche anno dopo mi invitò a creare un nuovo gruppo alla SISSA, la nuova scuola di ricerca creata nel 1978, accettai e venni convinto dai suoi argomenti. Quando a metà degli anno 80 Michele Parrinello e Roberto Car, che facevano parte in senso largo del mio gruppo SISSA, fecero una grande scoperta teorica che abbisognava di risorse sia finanziarie che computazionali, Paolo Budinich sposò immediatamente la causa e si mise personalmente e fisicamente in moto, passando, a settant'anni suonati, giorni e notti al Ministero della Pubblica Istruzione di Viale Trastevere a Roma per riuscire a rappresentare a chi di dovere queste grosse novità e necessità scientifiche. Entusiasmo, generosità e serietà fattiva sono elementi di una rarità assoluta, che in effetti rappresentano gli ingredienti cruciali coi quali Paolo Budinich ha costruito con le sue mani, attirando a Trieste uomo dopo uomo, il nerbo della presente massiccia struttura scientifica della città.

Da ultimo, voglio ricordare la "sua" Fisica Teorica, una specie di tesoro personale e amatissimo che Paolo accarezzava e visitava nella sua mente e nel suo cuore nei ritagli di tempo ogni giorno e ogni notte, senza mai dannatamente avere abbastanza tempo e pace per potervisi dedicare quanto avrebbe voluto. I suoi interessi erano di natura fondamentale, ultimamente legati al ricondurre tutta intera la meccanica quantistica delle interazioni fondamentali a pochi concetti di natura essenzialmente geometrica legati agli spinori di Cartan. Desiderava intensamente trovare chi continuasse questa linea di ricerca, che era e rimane poco condivisa. Sapere che questo non e' naturalmente il mio campo non lo scoraggiava mai dal farmi una lezione appassionata sulla fisica degli spinori ogni volta che ci trovavamo. Tanto che scrivemmo perfino un lavoro assieme, per la verità piuttosto speculativo, sulla possibile applicazione alla superconduttività ad alta temperatura, fenomeno tuttora in cerca di una spiegazione definitiva.

Disse il grande assicuratore Antoine Bernheim il giorno in cui fu estromesso dalla direzione delle Assicurazioni Generali a Trieste: "La gratitudine è una malattia dei cani non trasmissibile all'uomo". Non so quanta gratitudine Paolo abbia ricevuto in vita, temo abbastanza poca come suggerisce questo "teorema di Bernheim'. E' importante rimediare.

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