Con questa fotografia dal titolo molto evocativo di "Guiding light to the stars", l’astrofotografo australiano Mark Gee si è aggiudicato il primo premio del concorso Astronomy Photographer of the Year 2013 per la categoria "Earth and space". Nonostante l’UNESCO abbia da tempo sottolineato l’importanza di preservare il cielo notturno quale fondamentale patrimonio dell’umanità, è sempre più difficile poter gustare panorami come quello catturato nell’immagine. (Fonte)
Grazie alla complicità del clima, nelle calde serate estive è più frequente la tentazione di dare un’occhiata al cielo notturno e agli astri che lo punteggiano. Un desiderio che, purtroppo, rimane troppo spesso inappagato. I nostri cieli, infatti, stanno diventando ogni anno sempre più lattiginosi permettendoci di distinguere solamente gli astri più luminosi, e anche quelli a fatica. Tecnicamente si parla di inquinamento luminoso e, contrariamente a quanto si possa pensare, la sua deleteria presenza non arreca disturbo solamente agli astronomi e agli amanti del cielo notturno. Ne parliamo con Fabio Falchi, insegnante, ricercatore e presidente dell’associazione CieloBuio.
Inquinamento luminoso
Anni fa, osservare le stelle non era così complicato. L’unico ostacolo erano le bizze atmosferiche. Oggi è quasi un’impresa disperata. Anche quando il meteo potrebbe permetterlo, si ha a che fare con un chiarore di fondo che lascia emergere solo le stelle più luminose. Ci è voluto del tempo per inquadrare questa crescente difficoltà come una manifestazione dell’inquinamento e ancor di più per indurre chi di dovere a prendere i dovuti provvedimenti. Eppure, basta una semplice occhiata alle numerose immagini scattate dai satelliti e dalla stessa stazione spaziale per accorgersi che qualcosa non va.
Immagine notturna di una parte dell’Europa ottenuta dai dati raccolti dal satellite Suomi NPP (Suomi National Polar-orbiting Partnership) tra aprile e ottobre 2012. I dati sono stati ripuliti da ogni fonte luminosa naturale, quali aurore e incendi, lasciando solamente le luci artificiali delle città e, per ottenere un aspetto più realistico, sono stati sovrapposti alla cosiddetta Blue Marble image della Terra (Crediti: NASA Earth Observatory)
Particolarmente significative, poi, sono le immagini che immortalano il nostro Paese, la cui silhouette è delineata da un alone di luce. Traccia concreta dell’industrializzazione e segno inequivocabile di progresso, dirà qualcuno. Eppure, appena più a nord della catena alpina, le luci sono di gran lunga meno invadenti. E paesi come Svizzera, Austria e Germania non possono certo essere considerate nazioni arretrate e non industrializzate.
Oltre a creare disturbo per l’osservazione del cielo, però, quel bagliore ci racconta anche dell’altro, primo fra tutto un incredibile spreco di energia. È infatti evidente l’assoluta inutilità di illuminare il cielo e altrettanto evidente come l’energia impiegata per fare questo sia dunque sprecata. Teniamo conto, a questo proposito, che ogni anno spendiamo circa un miliardo di euro solo per l’energia elettrica che alimenta gli impianti pubblici, cifra che potremmo agevolmente ridurre con una migliore progettazione degli impianti. Andando più a fondo del problema dell’inquinamento luminoso, però, queste valutazioni di natura economica lasciano il posto a qualcosa di più pericoloso.
Danni all’ecosistema
Sono ormai numerosi gli studi scientifici che hanno indagato sulle conseguenze dell’inquinamento luminoso sull’ecosistema, mostrando che una alterazione del ciclo naturale giorno-notte della flora e della fauna può essere causa di modificazioni nel ciclo di fotosintesi e creare disorientamento alle specie migratorie. In uno studio di Jonathan Bennie (Environment and Sustainability Institute – University of Exeter) e collaboratori pubblicato nel febbraio dello scorso anno su Journal of Ecology, per esempio, viene presentata una rassegna delle ricerche sugli effetti fisiologici della luce artificiale e sul disturbo che un’eccessiva illuminazione artificiale arreca al regolare ciclo di crescita di alcune piante. Tra le conseguenze di questo disturbo si segnala un prolungamento della conservazione delle foglie negli ambienti urbani e un precoce inizio dell’apertura delle gemme in primavera, con il conseguente aumento dei rischi di esposizione al gelo e agli agenti patogeni. Colture agricole come la soia e il mais, per esempio, sono influenzate dalla prossimità alla luce artificiale. Questa influenza si manifesta in importanti cambiamenti nel loro normale sviluppo, quale una rapida crescita che però non sfocia nella fioritura. Più in generale, dato che i periodi di oscurità sono momenti critici che le piante impiegano per rigenerarsi dagli effetti degli agenti inquinanti (compreso l’ozono), disturbare questo ciclo naturale con la luce artificiale può impedire tale recupero e aumentare il rischio di lesioni alle foglie. Le conseguenze sulla fauna sono ancora più evidenti, andando a influenzare tutti i comportamenti, dalla predazione, al foraggiamento, all'accoppiamento che dipendono, soprattutto per le specie notturne, dalla quantità naturale di luce. Anche l'impollinazione risente dell'inquinamento luminoso, come dimostrato dall'articolo di Eva Knop e colleghi pubblicato su Nature il 2 agosto (“Artificial light at night as a new threat to pollination”).
Conservazione delle foglie in inverno su alberi decidui in prossimità dell'illuminazione stradale. Le immagini mostrano un platano nel centro di Liverpool in tre differenti date del 2014. L'intero albero è illuminato da luce artificiale, con il lato destro direttamente esposto all'illuminazione stradale. Non solo non si è verificata la tipica colorazione autunnale, ma la parte più illuminata della corona ha conservato le foglie fino al mese di dicembre. Foto: Steven Rawlings. (Fonte: Bennie et al. – Journal of Ecology 2016; Volume 104, Issue 3, Pag. 611 – Fig. 4)
Inevitabile che questi pericolosi effetti dell’inquinamento luminoso sull’ecosistema interessino anche l’uomo: la troppa luce o la sua diffusione nelle ore notturne naturalmente destinate al riposo, infatti, può interferire con l’orologio biologico (ritmi circadiani) e indurre vari disturbi di natura fisiologica e psichica.
Danni per l’uomo
L’esposizione alla luce artificiale durante la notte fa diminuire la secrezione di melatonina in gran parte degli animali, uomo compreso. Il calo della produzione di questo ormone dipende dall’intensità della luce, dalla sua lunghezza d’onda, dal momento e dalla durata dell’esposizione. Si è scoperto che i livelli di illuminazione sufficienti per alterare la produzione di melatonina sono sorprendentemente bassi se confrontati con quelli trovati nei primi studi. Qualche anno fa Christian Cajochen (Centre for Chronobiology – Basilea) e collaboratori hanno pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism una ricerca in cui hanno studiato l’influenza della lunghezza d’onda della luce misurando i livelli di melatonina, l’allerta, la temperatura corporea e il ritmo cardiaco, trovando che due ore di esposizione a luce monocromatica di 460 nm (luce blu) a sera inoltrata fa diminuire significativamente la secrezione di melatonina. Cambiando solo il colore della luce, spostandola verso il giallo (550 nm) e mantenendone la stessa intensità, i ricercatori non ottenevano lo stesso effetto. La luce artificiale notturna agisce sulla fisiologia sia direttamente che indirettamente, causando privazione e disordini del sonno che possono avere effetti negativi su altri disturbi e malattie tra cui il diabete e l’obesità.
Proprio a proposito delle ricadute sugli esseri umano è stata accolta con notevoli critiche la scelta, dettata da considerazioni di risparmio energetico, di sostituire le lampade di illuminazione pubblica al sodio con più recenti lampade LED bianche che producono una luce con elevato contenuto di blu (luce fredda). Molto chiara, in tal senso, la posizione dell’American Medical Association (AMA) espressa nel giugno dello scorso anno: l’associazione dice apertamente che, nonostante i benefici dal punto di vista energetico, alcune luci LED sono dannose per la salute. Per questo AMA raccomanda alle municipalità l’adozione di LED a bassa temperatura di colore (max 3000 Kelvin) e invita a un’attenta progettazione quando si sceglie l’impiego dell’illuminazione a LED in modo da minimizzare gli effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente.
Una mappa inquietante
Quando, anche nel mondo scientifico, si cominciò a valutare con la necessaria attenzione il problema dell’inquinamento luminoso, tra gli obiettivi dei primi studi vi fu la valutazione della diffusione del problema a livello globale. Il primo Atlante mondiale della luminosità artificiale del cielo notturno venne pubblicato su MNRAS nel dicembre 2001 da Pierantonio Cinzano, Fabio Falchi e Christopher Elvidge. In quello studio, basandosi su dati satellitari e modellando la propagazione della luce nell'atmosfera, i ricercatori hanno fornito un quadro quasi globale della diffusione dell’inquinamento luminoso. Incrociando poi i dati dell’Atlante con i database relativi alle densità di popolazione, hanno determinato le frazioni di popolazione che vivono sotto un cielo di una determinata luminosità. Ebbene: circa due terzi della popolazione mondiale e il 99% della popolazione degli Stati Uniti (esclusi Alaska e Hawaii) e dell'Unione Europea vivono in aree dove il cielo notturno è considerato al di sopra della soglia che definisce un cielo inquinato. Riferendoci alla funzionalità di un occhio medio, questo significa che circa un quinto della popolazione mondiale, oltre due terzi della popolazione statunitense e più della metà della popolazione dell'Unione Europea avevano già perso la possibilità di osservare la Via Lattea a occhio nudo.
Eloquente confronto tra due immagini notturne dell’Europa vista dallo spazio raccolte nel 1992 e nel 2010 dai satelliti statunitensi DMSP (Defense Meteorological Satellite Program) gestiti dalla NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). (Crediti: NGDC/DMSP/ESA)
Lo studio più recente sull’entità del fenomeno risale al giugno dello scorso anno ed è stato pubblicato da Fabio Falchi e collaboratori sulla rivista Science Advances. Oltre che sulle osservazioni dallo spazio (raccolte dal satellite Suomi NPP) e sulle misure fornite da astronomi professionisti, la più aggiornata versione dell’Atlante mondiale dell’inquinamento luminoso si è basata anche sui dati raccolti da molti citizen scientist, un gran numero di volontari che, in modo appassionato e competente, hanno effettuato migliaia di misurazioni. Doveroso segnalare che, delle oltre 30 mila misure di brillanza del cielo utilizzate nello studio, quasi il 20% è opera di questi volontari.
Ebbene, se già nel 2001 la situazione era drammatica, oggi è ulteriormente peggiorata. Il nuovo Atlante mostra che oltre l'80% del mondo e più del 99% delle popolazioni statunitensi ed europee vivono sotto cieli inquinati dalla luce artificiale. La visione della Via Lattea è impossibile per oltre un terzo dell'umanità, tra cui il 60% degli europei e quasi l'80% dei nordamericani. Tra i paesi del G20, sono l'Arabia Saudita e la Corea del Sud ad avere la più alta percentuale di popolazione esposta a un cielo estremamente luminoso, mentre sono i tedeschi a godere della situazione migliore. La posizione dell’Italia è piuttosto preoccupante: sempre riferendoci ai paesi del G20, infatti, se consideriamo quanta parte della superficie nazionale sia interessata a un pesante inquinamento luminoso, sono l'Italia e la Corea del Sud a occupare i primi posti, mentre l'Australia è il paese meno inquinato.
L’intervista
Per approfondire alcuni aspetti di questa complessa – e preoccupante – tematica, abbiamo chiesto aiuto a Fabio Falchi, uno degli autori degli Atlanti mondiali dell’inquinamento luminoso di cui abbiamo appena parlato. Docente di fisica al “Fermi” di Mantova e ricercatore presso l’ISTIL (Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Inquinamento Luminoso), Falchi è attualmente il presidente di CieloBuio, un’associazione nata nel 1997 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema dell’inquinamento luminoso e coordinare le attività di tutela del cielo notturno.
Dottor Falchi, quando si sente parlare di inquinamento luminoso si è tentati di localizzarlo solamente a ridosso delle grandi metropoli. Le immagini dallo spazio, però, raccontano ben altro. Qual è la situazione reale in Italia? Come siamo collocati rispetto agli altri Paesi?
In effetti l'inquinamento luminoso, rispetto anche solo a qualche decennio fa, è aumentato notevolmente. Non è assolutamente più possibile spostarsi di pochi chilometri verso l'aperta campagna per trovare cieli stellati degni di questo nome. Ad esempio, nella piena campagna della Val Padana, diciamo a 20-30 km dalla città più vicina (più lontano non si può andare, se non avvicinandosi a una altra città), il cielo è almeno 5 volte più luminoso di quello che dovrebbe essere naturalmente. E sto parlando dello zenith, osservando più in basso verso l'orizzonte la situazione peggiora moltissimo.
L'Italia ormai è priva di zone dove il cielo può essere considerato incontaminato (il livello indicato in nero nelle nostre mappe). Sul territorio italiano, escludendo l'isola di Montecristo, non ci sono nemmeno i livelli del grigio scuro, grigio chiaro e blu scuro. Solo due piccole zone, in Sud Tirolo/Alto-Adige e Sardegna, beneficiano di un cielo codificato come blu medio. Si tenga conto che ad ogni cambio di colore si ha un raddoppio dell'inquinamento da luce artificiale. Il blu medio corrisponde a un cielo considerato inquinato dall'International Astronomical Union. Quando si legge sui giornali di siti in Italia privi di inquinamento luminoso, ciò è dovuto, probabilmente, alla non corretta percezione del problema da parte dei giornalisti e del pubblico in genere. Sono talmente abituati a livelli assurdi di inquinamento che quando ne trovano di meno pensano che non ce ne sia affatto.
Mi pare che, nel corso degli anni, i legislatori abbiano recepito il problema e dettato alcune norme per limitare il fenomeno dell’inquinamento luminoso. Come mai la situazione sta sempre più degradando? Norme insufficienti, scarsi controlli sulla loro applicazione, o che altro?
Molte regioni hanno legiferato, spesso grazie all'azione di CieloBuio, nel tentativo di arginare il fenomeno. La situazione, pur degradata, andrebbe confrontata con quella, sicuramente molto peggiore, che avremmo avuto oggi in assenza delle leggi contro l'inquinamento luminoso. Queste leggi andrebbero sicuramente migliorate, alcune anche nei parametri tecnici fondamentali. La maggior parte, però, è carente dal punto di vista dei controlli e delle sanzioni. Non si capisce questa ritrosia dei comuni a multare chi inquina.
Negli ultimi anni si sta diffondendo sempre di più l’impiego dei LED anche per l’illuminazione pubblica. Salutati inizialmente come un possibile rimedio al problema, stanno ora suscitando notevoli perplessità. Cosa c’è che non va nel loro impiego?
I LED sono stati salutati come possibile rimedio al problema solo da chi il problema non lo conosceva. Noi abbiamo da sempre combattuto il tipo di luce che i LED bianchi producono, luce bianca appunto che per essere tale deve avere una notevole quantità di luce blu, quella che inquina di più diffondendosi maggiormente in cielo (che infatti, diffondendo la parte blu della luce solare appare blu di giorno) e che, soprattutto, ha potenzialmente maggiori effetti sulla nostra fisiologia. La luce bianca, ai tempi delle lampade agli alogenuri metallici, era però usata solo in applicazioni di nicchia, come l'illuminazione di campi sportivi o di monumenti. L'illuminazione stradale era riservata alle lampade al sodio gialle.
Ora, nonostante le crescenti evidenze scientifiche contro l'utilizzo di luce blu nelle ore notturne, si stanno cambiando praticamente tutti i lampioni d'Italia usando LED bianchi, che spesso illuminano molto di più di quanto sarebbe necessario e sono quasi sempre abbaglianti. Avete mai fatto caso a quanto diano fastidio i nuovi lampioni a LED, tanto che spesso conviene usare l'aletta parasole mentre si guida?
Le soluzioni comunque ci sono. Abbassare il più possibile i livelli di illuminazione, come quelli tipicamente in uso in Germania, spegnere le luci quando non c'è nessuno come avviene in migliaia di comuni di Francia e Gran Bretagna, usare LED a basso o nullo contenuto di luce blu, come i LED Ambra e quelli bianco caldi, a temperatura di colore più bassa possibile, 2200 kelvin ad esempio. Sfruttare la tecnologia LED dove veramente è vincente rispetto alle vecchie lampade: nella possibilità di regolare il flusso emesso dagli apparecchi con la tecnologia dell'illuminazione adattiva.
Vorrei aggiungere che occorre anche, forse soprattutto, limitare l'esposizione alla luce blu in interni, nelle nostre case, usando lampade di tonalità calda e intensità limitata, non usando PC e smartphone prima di andare a letto. Ci sono app studiate specificamente per ridurre la luce blu degli schermi dei nostri telefoni e computer, usiamole! [NdR: il software più famoso, quasi uno standard, è probabilmente f.lux, disponibile per Windows, Linux e OS X]
Il grido di allarme sui rischi dell’inquinamento luminoso non proviene più soltanto dalle associazioni di carattere astronomico. Su queste tematiche, infatti, accanto alle iniziative e alle prese di posizione di CieloBuio, Unione Astrofili Italiani (UAI) e numerose associazioni di astrofili, notiamo spesso anche quelle di Italia Nostra e Legambiente. Sembra sia in atto uno scontro culturale che non ha più nel risparmio energetico il suo unico obiettivo. Cosa ci può dire in proposito?
Il risparmio energetico visto come unico obiettivo ha portato all'aberrazione dell'installazione degli apparecchi a LED con il tipo di luce più inquinante possibile, quella bianco fredda a elevato contenuto di luce blu. È un po' come se, alla ricerca della maggior efficienza possibile per le nostre automobili, togliessimo tutti i sistemi di abbattimento degli inquinanti. Sicuramente miglioreremmo l'efficienza delle auto e potremmo quindi fare molti più chilometri con un litro, ma a scapito di livelli di inquinamento atmosferico inaccettabili.
Insomma, chi oggi continua a richiedere, installare e vendere apparecchi che emettono luce blu e illuminano troppo deve rendersi conto che rischia di essere chiamato a giustificare le sue scelte contro le montanti evidenze degli effetti negativi della luce artificiale nelle ore notturne.
Claudio Elidoro intervista Fabio Falchi
Questo splendido corto realizzato con la tecnica del time-lapse dall’astrofotografo Sriram Murali ci mostra come l’inquinamento luminoso incida sulla nostra visione delle meraviglie del cielo.
Lost in Light from Sriram Murali on Vimeo.
Per approfondire:
- Fabio Falchi - Atlante mondiale dell’inquinamento luminoso
- Jan Hollan - What is light pollution, and how do we quantify it?