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Scienza e religione: prove tecniche di intesa

Galileo before the Holy Office, dipinto di Joseph Nicolas Fleury, XVIII secolo.

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Che un gruppo di eminenti scienziati ed ecclesiastici si ritrovi per confrontarsi sull'evoluzione del dialogo fra scienza e religione è un evento raro, ma che era nell'aria. Non a caso, più di un anno fa Giuseppe Remuzzi e Richard Horton avevano auspicato dalle pagine di Lancet - e di scienzainrete - una ripresa del dialogo fra scienza e religione dopo il segnale di grande attenzione verso le potenzialità della ricerca scientifica lanciato da Papa Francesco con l'Enciclica "Laudato si'".

Ed ecco che l'incontro proposto in quella occasione ha finalmente avuto luogo pochi giorni fa presso il Nobile Collegio Farmaceutico con il titolo The Future of Humanity through the Lens of Medical Science: Rewriting the Contract. A 400 anni dal processo di Galileo si ritenta quindi un dialogo per provare a dirimere le attuali controversie etiche poste dalla scienza. Insomma, nientemeno che la domanda delle domande, cui hanno cercato di rispondere, fra gli altri, gli stessi Richard Horton e Giuseppe Remuzzi, il Cardinale Gianfranco Ravasi, i Premi Nobel Eric Chivian e Mario Capecchi, la senatrice Elena Cattaneo e Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri.

Già nel 1927, all'indomani del Quinto Congresso Solvay che consacrò la meccanica quantistica, Bohr, Heisenberg e colleghi discutevano animatamente sul dialogo fra scienza e religione in un mondo che la scienza si accingeva a cambiare, come racconta dettagliatamente lo stesso Heisenberg in un suo scritto raccolto in “Fisica e oltre” (qui). Novant'anni dopo abbiamo assistito alle drammatiche conseguenze di alcune applicazioni della scienza. La ricerca progredisce ponendo nuovi dilemmi morali, ma offrendo anche nuove soluzioni ad alcune emergenze contemporanee. Parliamo per esempio delle conseguenze dei cambiamenti climatici, degli sviluppi possibili dell'editing genetico, e dell'intelligenza artificiale per le generazioni future.

Il convegno si è strutturato intorno a quattro perni principali. Si è iniziato parlando dei cambiamenti climatici e delle conseguenze sulla vita dell'uomo, dalle cosiddette “migrazioni ambientali” ai numerosi problemi di salute per la popolazione, fra la globalizzazione delle nuove malattie infettive e l'incidenza crescente della multicronicità, che da un lato è fisiologica, dovuta all'invecchiamento della popolazione, dall'altro è gravata dall'inquinamento. Un dato su tutti per esempio - messo in luce da John Sweeney – è il seguente: se la temperatura dovesse aumentare di 1,5 gradi centigradi nei prossimi decenni, il 40% delle città del mondo sarebbe da considerarsi “stressed”; se i gradi in più dovessero essere 4, allora sarebbe l'80% delle zone urbane del mondo a dover convivere – troppo tardi – con le conseguenze dei nostri errori.

La seconda parte della prima giornata è stata dedicata alla discussione delle conseguenze delle migrazioni, alle discriminazioni di genere e alla disabilità, e al conseguente dibattito sull'eugenetica, che tiene svegli la notte molti bioeticisti. Si è proceduto poi con una discussione sulle frontiere della medicina, fra cui spicca il dibattito intorno all'intelligenza artificiale, per concludere infine con la messa in discussione delle premesse etiche per l'editing genomico e della “biologia sintetica”, per capire se e come impostare un'apertura da parte della scienza rispetto ai caveat proposti dalla controparte religiosa.

“Chi ha posizioni di responsabilità dovrebbe sempre porsi la domanda 'in che mondo vivremo?'” commenta Giuseppe Remuzzi, organizzatore del convegno. Lo stesso Remuzzi parla di “apprensione” in un articolo apparso su La Lettura del Corriere della Sera qualche settimana fa, in riferimento a ciò che sappiamo ci aspetterà nei prossimi decenni, in primis i problemi legati ai cambiamenti climatici, alle migrazioni e alla povertà. “Siamo di fronte da un lato a problemi di una portata mai vista nella storia dell'uomo, e dall'altro a un progresso scientifico anch'esso mai visto, in grado oggi – sottolinea in apertura del convegno il Cardinal Ravasi – non solo di modificare la natura a nostro piacimento, ma anche l'uomo stesso.

“Dimmi, o luna: a che vale / Al pastor la sua vita /La vostra vita a voi? dimmi: ove tende /Questo vagar mio breve /Il tuo corso immortale?” si chiede Leopardi nel Canto Notturno. In qualche modo – chiosa Remuzzi – le domande sul nostro essere uomini e donne sono le medesime che per secoli hanno accompagnato l'uomo, e sono le stesse a cui vorremmo oggi dare risposta. Purtroppo però sono in pochissimi a rispondere, e per questa ragione è importante che noi scienziati per primi ci impegniamo per mantenere vivo il dialogo con tutte le parti”.

La domanda che ha costituito il filo rosso dell'incontro è quindi se ancora oggi sia giustificata la ricerca di un dialogo con la “controparte” religiosa. La risposta che si sono dati gli organizzatori è evidentemente positiva e poggia sulla necessità oggi più che mai di puntare sulla collaborazione di tutte le forze in gioco – ivi comprese le chiese – per “andare avanti enfatizzando ciò che unisce e non ciò che divide” precisa Remuzzi. Una linea non certo dissimile rispetto agli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite per il 2030, i Sustainable Development Goals, gli obiettivi di sviluppo sostenibile che grandi e piccoli della Terra dovranno inserire nella propria agenda per migliorare per esempio l'accesso alle cure per milioni di persone e ridurre la povertà.

Dello stesso parere è anche Timothy Bouley, esperto di salute globale e ambientale della World Bank, secondo cui gli “entry points” necessari per uno sviluppo sostenibile e soprattutto resiliente sono la valutazione dei costi correlati all'inquinamento atmosferico, considerare buoni indicatori di salute, e soprattutto puntare sul coinvolgimento delle nazioni e di tutte le forze in campo. Anche delle chiese dunque.

La prospettiva in conclusione non è tanto teoretica quanto pratica, a partire da alcune impellenti questioni legate per esempio alle collaborazioni internazionali nei paesi in via di sviluppo. Sono stati in molti a concordare - per esempio - sul fatto che i benefici potenziali della ricerca scientifica non si distribuiscono equamente nel mondo. Osservando per esempio gli impatti del cambiamento climatico sul pianeta, non si può non osservare come gli effetti più pesanti riguardino i paesi più poveri, che peraltro non hanno nemmeno a disposizione quegli strumenti scientifici e tecnologici che in parte potrebbero alleviare il peso dei mutamenti ambientali, sociali i e sanitari in corso a causa del riscaldamento globale, come ha sottolineato nel suo intervento la senatrice Elena Cattaneo. Ed è qui – ha aggiunto fra gli altri il Premio Nobel Mario Capecchi – che il dialogo con le chiese può risultare davvero fecondo per la comunità scientifica.

C'è infatti un terzo importante attore a complicare lo scenario: i regolamenti nazionali e internazionali sull'utilizzo di alcune tecnologie o sulle metodologie della ricerca. A seconda del regolamento vigente su una certa tecnologia - per esempio sull'editing genetico in un particolare paese – cambiano i problemi etici (e i divieti) che la comunità scientifica si trova a dover affrontare. "Per questo abbiamo bisogno di lavorare insieme, per strutturare leggi aperte e dettagliate, che tengano conto dei continui aggiornamenti dati dalla scienza" ha spiegato Carlo Casonato dell'Università di Trento. Ogni aspetto etico inerente le nuove tecnologie dovrebbe essere affrontato singolarmente, con un approccio all'etica il più “tailored” possibile, evitando in questo modo inutili contrapposizioni e chiusure dogmatiche.

@CristinaDaRold


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