Perchè è così difficile passare da un sistema energetico basato sul fossile e sul nucleare a fonti più sostenibili per l'ambiente e per la società? Se lo sono chiesti due scienzati dello IIASA e del Potsdam Institute, suggerendo una possibile soluzione per invertire un circolo “virtuoso” che premia chi inquina e trascura i costi ambientali e sociali.
“L'approvvigionamento energetico globale dipende in modo consistente da risorse non rinnovabili e dall'uranio – spiega Jérôme Dangerman, ricercatore presso l'International Institute for Applied Systems Analysis e autore principale dello studio pubblicato su PNAS. “La produzione di energia fossile e nucleare causa regolarmente danni all'ambiente: inquinamento, fuoriuscite di petrolio, dispersione di scorie e materiale radioattivo”. Nonostante i rischi per la natura e per l'uomo, petrolio, gas e nucleare rimangono le fonti più competitive sul mercato dell'energia.
Per spiegare le cause strutturali della rigidità del sistema attuale (effetto lock-in) e le difficoltà di una transizione verso fonti alternative, gli scienziati hanno usato il paradigma conosciuto come “Success to the successful”. Un modello che si autoalimenta, in cui il soggetto che ha successo (perchè ha acquisito più risorse degli altri) viene ricompensato con risorse ancora maggiori a discapito dei concorrenti. I consistenti investimenti nei combustibili fossili e nel nucleare hanno garantito alti profitti, che a loro volta hanno portato ad investimenti ancora maggiori in quelle tecnologie che si sono dimostrate redditizie. Il cerchio si chiude, e le possibilità di successo delle alternative più sostenibili diminuiscono.
Secondo gli autori, le norme che regolano il diritto di impresa potrebbero essere un elemento cruciale, spesso ignorato, per disinnescare questo sistema. La rigidità del modello energetico vigente sarebbe infatti considerevolmente ridotta se gli azionisti fossero corresponsabili dei danni provocati dalle compagnie che producono energia nucleare o fossile.
Le società che gestiscono piattaforme petrolifere o centrali nucleari possono essere sanzionate per i reati di inquinamento o disastro ambientale, ma chi possiede le quote raramente corre questo rischio (se si escludono eventuali perdite degli utili dovute a multe e risarcimenti). I ricercatori hanno preso come esempio il caso della Deepwater Horizon. Solo pochi mesi fa, la compagnia petrolifera British Petroleum è stata costretta a pagare oltre quattro miliardi di dollari come risarcimento per l'incidente del 2010 nel Golfo del Messico. “Se gli azionisti fossero stati riconosciuti come corresponsabili del disastro – scrivono i ricercatori - avrebbero valutato diversamente il rischio di reinvestire in un progetto simile”.
