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La bocciatura europea

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La Corte Europea dei Diritti Umani rimette in discussione la legge 40 sulla procreazione assistita. E' infatti stata bocciata la parte della normativa che riguarda l'impossibilità per una coppia fertile, ma portatrice sana di fibrosi cistica, di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. Secondo i giudici della Corte di Strasburgo, "il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente", perchè un'altra legge dello Stato permette a una coppia di accedere a un aborto terapeutico, in caso che il feto sia affetto proprio da fibrosi cistica.
La sentenza rileva, inoltre, una forma di "ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita privata e familiare sproporzionata", in particolare per quanto riguarda il caso di violazione della privacy di vita familare di Rosetta Costa e Walter Pavan, che verranno risarciti dalla Stato con 15mila euro per danni morali e 2.500 euro per le spese legali sostenute.

Non è la prima volta che l'Europa si esprime sulla legge 40 (si veda l'ultimo articolo sulla sentenza di maggio 2012 pubblicato su Scienzainrete da Margherita Fronte).
Già nel 2010 venne stabilita l'impossibilità di impedire la fecondazione eterologa, dal momento che le disposizioni contenute nell'articolo 4 della legge 40 - il divieto italiano di diventare genitori attaverso il seme di un donatore o l'ovocita di una donatrice - sono in contrasto con l'articolo 8 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo. 

Il Ministro della Salute Renato Balduzzi si è così espresso in merito: "La questione della compatibilità tra legge 40 e legge 194 sollevata dalla Corte di Strasburgo è un problema già noto", mentre il governo aspetta di "leggere le motivazioni della sentenza".

La sentenza, tuttavia, non è ancora definitiva: entro tre mesi entrambe le parti in causa possono ancora richiedere un rinvio davanti all'alta camera della corte per i diritti dell'uomo - in base agli articoli 43 e 44 della convenzione dei diritti dell'uomo

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Legge 40

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Superdiffusore: il Lancet ricostruisce la storia di una parola che ha avuto molti significati

Un cerchio tutto formato di capocchie di spillo bianche con al centro un disco tutto formato da capocchie di spillo rosse

“Superdiffusore”. Un termine che in seguito all’epidemia di Covid abbiamo imparato a conoscere tutti. Ma da dove nasce e che cosa significa esattamente? La risposta è meno facile di quello che potrebbe sembrare. Una Historical review pubblicata sul Lancet nell’ottobre scorso ha ripercorso l’articolata storia del termine super diffusore (super spreader), esaminando i diversi contesti in cui si è affermato nella comunicazione su argomenti medici e riflettendo sulla sua natura e sul suo significato. Crediti immagine: DALL-E by ChatGPT 

L’autorevole vocabolario Treccani definisca il termine superdiffusore in maniera univoca: “in caso di epidemia, persona che trasmette il virus a un numero più alto di individui rispetto alle altre”. Un recente articolo del Lancet elenca almeno quattro significati del termine, ormai familiare anche tra il grande pubblico: