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Da Maria Bakunin a Rita Levi-Montalcini: sognando la parità

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Oggi, su oltre cento Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), venti hanno un direttore donna.
Donne che dirigono non solo istituti afferenti alle humanities, bensì alla Chimica e Biochimica, alle nanoscienze e all’Ingegneria, alle geoscienze e alle strutture dei materiali. Nell’attuale Consiglio scientifico, composto da dieci membri, due sono donne; anche nel 2006 figuravano due donne ma i membri del Consiglio erano diciotto.
Venti su cento, e oltre, rappresenta ancora certamente una forte disparità di genere, ben lontana da quella parità per le “figlie di Minerva” che pure – sottolineava Rossella Palomba, ricercatore presso l’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali (IRPPS) – le donne non perdono la speranza di raggiungere.
Eppure, nonostante questo dato, che riflette tutta una serie di problematiche di genere affrontate in modo completo ed esaustivo proprio da Palomba e da Sveva Avvenuto1, la presenza delle risorse femminili dentro il CNR e in particolare ai suoi vertici, si è fatta oggi più robusta e visibile come le attività e le iniziative dell'istituto stesso che, tramite il proprio Comitato Pari Opportunità (costituito nel 1999) ha promosso e formato su questo tema dirigenza, personale tecnico e amministrativo a livello nazionale.
Sostituito nel 2011 dal Comitato Unico di Garanzia, che ne è la naturale prosecuzione, quest’ultimo ha come obiettivo il proseguimento del lavoro precedentemente svolto per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità sul lavoro.
Tutto ciò, naturalmente, si basa sulla consapevolezza della ricchezza e dell’importante apporto che i nostri talenti femminili possono dare alla ricerca nazionale, tanto più se posti nelle stesse condizioni di accesso e di fruizione delle risorse formative, di ricerca e di lavoro dei colleghi maschi. Inoltre, tale consapevolezza non può che essere rinforzata dalla conoscenza della storia delle donne anche all’interno del CNR, una storia che parte pressoché dalle origini dell’ente medesimo, allorquando la presenza femminile all’interno dei suoi Istituti e centri di studio fu sì limitata, ma non assente.
In primo luogo, quelle pur poche scienziate poterono avvalersi di speciali finanziamenti, grazie ai quali furono in grado di proseguire le loro ricerche; indi hanno rivestito veri e propri ruoli istituzionali, non solo in qualità di membri di comitati, ma anche come coordinatrici di gruppi di ricerca, responsabili di programmi, direttrici di istituti.

Le “figlie di Minerva”

Già a partire dal 1928, pochi anni dopo la creazione dell’ente, la chimica Maria Bakunin (1873-1960) iniziò con esso una serie di collaborazioni. Personaggio di primo piano nel panorama della cultura italiana sin dall’inizio del secolo per le sue ricerche di avanguardia nei campi della Stereochimica e della Fotochimica, per le sue competenze nell’analisi geologica oltre che per il suo impegno in ambito industriale, nel 1912 Maria aveva vinto il concorso a professore ordinario di Chimica tecnologica applicata presso l’Ateneo partenopeo, prima cattedra italiana al femminile in questo settore. Fu altresì la prima donna eletta socia dell’Accademia Nazionale dei Lincei per la classe delle scienze fisiche, matematiche e naturali il 15 febbraio 1947, presidente dell’Accademia Pontaniana di Napoli nel 1944 che contribuì a ricostituire nel primo dopoguerra insieme all’amico Benedetto Croce.
Come si diceva, nel 1928 Maria venne inserita da Nicola Parravano (presidente del Comitato chimico del CNR) fra i tredici della cosiddetta Commissione degli idrocarburi aromatici, commissione che verrà poi sciolta nel 1930 dallo stesso Parravano per inserirne i membri nella Commissione dei combustibili4. In seguito, nel 1945-46, Bakunin fu nominata all’interno del Comitato chimico dopo la ricostruzione5, una nomina probabilmente sollecitata dall’allievo Francesco Giordani, futuro presidente dell’IRI, dell’Accademia dei Lincei e del CNR medesimo con il quale Bakunin aveva stretto una collaborazione assidua e proficua.
Chi fu in grado di portare avanti le proprie ricerche d’avanguardia grazie ai finanziamenti dell’ente fu Rita Brunetti (1890-1942), professore ordinario di Fisica sperimentale nel 1926, direttore di vari Istituti, prima a Cagliari e poi a Pavia, famosa per essere stata tra i primi in Italia a servirsi della teoria dei quanti come principio teorico esplicativo dei fenomeni di Fisica nucleare e vedere una connessione tra la struttura atomica della materia e la quantizzazione dell’energia, allorquando la comunità dei fisici italiani continuava a sostenere i tradizionali principi interpretativi della Fisica sperimentale di fine Ottocento.
A partire dal 1934 e sino al 1940, Brunetti, all’epoca direttore del prestigioso Istituto di Fisica “Alessandro Volta” di Pavia, usufruì di un’erogazione di circa 50.000 lire per portare avanti le sue ricerche sulla radioattività. Un’altra fisica contemporanea di Brunetti, Giuseppina Aliverti (1894-1982) era come lei professore ordinario presso l’Università di Pavia ove insegnava Fisica terrestre e come lei direttore, sempre a Pavia, di un Istituto intensificò durante i lavori per l’Anno geofisico internazionale 1957-58 che segnò il risveglio generale delle attività geofisiche. In tale occasione, in qualità di membro di una sottocommissione per l’Oceanografia, elaborò il programma di cinque crociere scientifiche nel Tirreno compiute tra il 1958 e il 1960. I dati raccolti, accuratamente elaborati e analizzati, permisero tra l’altro di individuare il valore dell’evaporazione media annua di questo mare e rappresentarono il punto di partenza per ennesime campagne internazionali d’indagine nello stretto di Gibilterra (1961) e nuovamente nel Tirreno (1963).
Anche Ida Bianco (1917-2006), insieme al marito Ezio Silvestroni, si avvalse di finanziamenti dell’ente per sostenere le proprie ricerche sperimentali sulle talassemie. I due medici avevano iniziato i loro studi nel 1941, a Roma, nel pieno della seconda guerra mondiale. Nel 1942 individuarono i primi casi di un nuovo morbo, che definirono “microcitemia”.
Il 19 luglio del 1943 la capitale venne bombardata: sia il Policlinico che il laboratorio in cui i coniugi svolgevano le loro ricerche furono fortemente danneggiati. Al termine del conflitto, sempre tra mille difficoltà, proseguirono le ricerche nel territorio ferrarese: nel 1946, grazie ai fondi del CNR, dimostrarono, investigando la popolazione di Ferrara, il legame diretto della talassemia con il morbo di Cooley nonché la possibilità di prevenire l’insorgere della malattia attraverso il controllo delle unioni. Dopo molteplici vicissitudini, nel 1954 e grazie alla perseveranza della coppia, venne fondato il Centro studi della microcitemia di Roma. Finanziato regolarmente dal 1963, allorquando altre sezioni del centro erano già attive sul territorio nazionale, i Silvestroni poterono finalmente avviare un vero e proprio “censimento ematico” attraverso la compilazione di registri ematologici in diverse province. Gli essenziali contributi scientifici di Ida Bianco e del marito sono stati ripercorsi e celebrati nel 1999, a Roma, nel corso del Convegno internazionale organizzato dall’Accademia nazionale dei Lincei, The Talassemic Syndromes: a Symposium in Honour of Ezio Silvestroni and Ida Bianco.
Oltre ai Bianco-Silvestroni, un’altra coppia di scienziati illustri intrecciò la carriera scientifica con le vicende del CNR: i coniugi Nitti-Bovet. Filomena Nitti (1909-1994) occupa un posto importante nella ricerca chimica terapeutica della prima metà del Novecento. Figlia dell’economista Francesco Saverio Nitti, dovette affrontare, adolescente, la violenza fascista che investì la sua famiglia: costretti a emigrare, i Nitti si fermarono a Parigi dove Filomena proseguì gli studi, si iscrisse alla Facoltà di Scienze naturali e contemporaneamente iniziò un’esperienza di militanza politica che la porterà altresì a trascorrere un anno in Russia. Rientrata in Francia, venne affiliata all’Institut Pasteur grazie a una borsa di studio. Qui lavorava anche il fratello Federico, medico, a fianco di Daniel Bovet. La giovane rimase profondamente colpita dalla geniale personalità di quest’uomo e a lui decise di legare la propria vita sentimentale e professionale. I suoi studi si concentrarono sulla Farmacologia e sulla Chimica terapeutica; in particolare studiò il meccanismo di azione di varie tossine sull’organismo, in vista di eventuali terapie.
Nel 1946 tornò in Italia, a fianco del marito, chiamato da Domenico Marotta a dirigere il neonato laboratorio di Chimica terapeutica dell’Istituto Superiore di Sanità. In breve tempo, il loro laboratorio divenne un centro di eccellenza della ricerca farmacologica italiana fino a essere meta di studiosi provenienti da tutto il mondo. Nel 1964, a seguito di turbolente vicende istituzionali, i Bovet decisero di lasciare l’Istituto: entrambi a Sassari, lui sulla cattedra di Farmacologia; lei al CNR, in un nuovo centro istituito presso l’Università. Saranno di nuovo a Roma, presso l’Istituto di psicologia e psicofarmacologia dello stesso CNR dove Filomena terminerà la sua carriera nel 1975.
Agli studi di Statistica si dedicò invece totalmente Nora Federici (1910- 2001), primo professore ordinario di tale disciplina dal 1962, alla quale era stata affidata nel 1957 la direzione del nuovo Istituto di Demografia, carica che tenne fino al 1979 favorendone successivamente la trasformazione in Dipartimento di scienze demografiche. Ricoprì numerosi incarichi nella comunità internazionale e fece altresì parte di numerose commissioni: presso l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), quelle per la preparazione dei modelli di rilevazione dei censimenti del 1971 e 1981, per l’impostazione delle indagini campionarie sulle condizioni di salute della popolazione, sulla mortalità socio-professionale e sulla struttura e il ciclo della vita della famiglia. In seno al CNR, è stata membro del Consiglio italiano delle scienze sociali e del Consiglio scientifico dell’Istituto di ricerche sulla popolazione che contribuì a fondare e a rendere particolarmente qualificato.

Con Ginestra Amaldi, il CNR si apre al mondo

Citiamo ancora la limnologa Livia Pirocchi (1909-1985), allieva di Rina Monti, che si era prodigata per trasformare l’Istituto idrobiologico di Pallanza in un centro internazionale incorporandolo nel 1977 all’interno dello stesso CNR; Emilia Stella (1909-1994), figlia della sopracitata Monti, la quale dal 1972 al 1977 fu membro del Comitato scientifico per la protezione delle coste e delle lagune; Elda Valabrega (1924-1993) che militò presso il Gruppo nazionale per la Filosofia, Pedagogia e Storia della Matematica, il primo del genere reso operativo in Italia nel 1960.
Un contributo notevole al lavoro di svecchiamento dei programmi di Matematica organizzato dai Nuclei di ricerca didattica del CNR venne dalla straordinaria figura di Emma Castelnuovo (1913-), insignita nel 2009 del titolo di Grande Ufficiale dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Ricordiamo ancora la fisica Ginestra Giovene Amaldi (1911-1994), eccezionale divulgatrice scientifica, che all’inizio della sua carriera usufruì di alcune borse di studio dell’ente mentre dal 1934 al 1937 fu redattrice della rivista Ricerca scientifica e, in virtù di tale posizione, svolse un ruolo importante nella rapida diffusione in ambito internazionale delle recenti scoperte avve nute all’interno dell’Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma dove, a partire dalla fine degli anni Venti, si era andato costituendo quel gruppo di giovani brillanti studiosi che, sotto la guida di Fermi, aveva portato a termine una serie di fondamentali esperimenti sulla radioattività. Di quel gruppo faceva anche parte Edoardo Amaldi, marito di Ginestra.
Come Ginestra, pure la biologa Gina Castelnuovo, figlia del noto matematico Guido e sorella di Emma, poté recarsi in Olanda nel 1934 e nel 1938 per un periodo di specializzazione grazie a due borse di studio CNR.
A partire dal 1949 Maria Josepha de Schwarz (1909-1957) ricoprì il ruolo di consulente ordinario nell’Istituto nazionale per le applicazioni del calcolo, primo centro mondiale di questo genere; al suo interno, sin dal 1927, grazie alla lungimiranza del direttore, il matematico Mauro Picone, le donne trovarono opportunità di lavoro, oltre alla possibilità di pubblicare i propri lavori
scientifici come nel caso di Maria Sofia Roma17. Infine, non si può non ricordare la “nostra signora della scienza”, Rita Levi Montalcini (1909-2012), premio Nobel per la Medicina nel 1986 alla quale si deve, com’è noto, l’origine del Centro ricerche di neurobiologia e del Laboratorio di biologia

La storia recente

In tempi recenti, dopo la riconfigurazione dei Comitati attuata nel 1986, riconfigurazione dalla quale vennero altresì realizzati i Comitati interdisciplinari grazie al presidente Luigi Rossi Bernardi, molte docenti ne entrarono a far parte: una presenza che Rossi Bernardi salutò con entusiasmo alla prima riunione dei Comitati disciplinari. Ciò portò alcune docenti a partecipare altresì ai quattro Comitati interdisciplinari e tale presenza diffusa si tradusse poi in una maggior presenza in varie commissioni di lavoro, in rappresentanza dell’Italia presso enti stranieri, nella direzione di progetti strategici (tra i quali, importantissimo, il progetto oncologia), nel ricoprire la carica di sostituto dei presidenti di Comitati. Questa situazione durò sino all’abolizione dei Comitati medesimi, avvenuta con decreto legislativo il 30 gennaio 1999.
Per quanto riguarda gli Istituti e i centri di studio, in quelli dei settori umanistici la presenza femminile fu discreta a livello di ricercatrici ma non a livello dirigenziale.
Segnaliamo, tra gli altri, oltre ai centri filosofici e gli Istituti archeologici, l’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo (CERIS), l’Istituto di psicologia, l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (IRPPS). Questi ultimi sempre in prima linea sui temi di pari opportunità, come stanno a dimostrare le ultime pubblicazioni di Rossella Palomba.
Tra le prime donne direttori di Istituti, oltre ovviamente Rita Levi Montalcini, figurano Emilia Chiancone, attuale presidente dell’Accademia dei XL, che dal 1981 al 2001 ha diretto il Centro di studio sulla biologia molecolare; Cecilia Saccone, professore emerito di Biologia molecolare all’Università di Bari e dal 1987 al 2000 presidente dell’area di ricerca CNR di Bari; Virginia Volterra, neuropsicologa, a capo dell’Istituto di Psicologia dal 1998 al 2001.
Tra le eccellenze femminili presentate in occasione dell’ottantesimo anniversario della fondazione, il CNR, sottolineando fin da subito come la selezione fosse parziale e non esaustiva, ha voluto ricordare, oltre ovviamente Levi-Montalcini, la chimica Anna Maria Marabini, la chimica macromolecolare Annalaura Segre, l’astrofisica Graziella Pizzichini, l’informatica Laura Moltedo, la matematica Bianca Falcidieno, le fisiche Lucia Padrielli e Luisa Ottolini, la geofisica Maria Teresa Pareschi e la biofisica Gelsomina De Stasio.
Dalla lettura di queste storie e dalla presa di coscienza della presenza di queste figure eccezionali, l’augurio è che le donne possano essere sempre più numerose tra i ricercatori e gli studiosi impegnati nei più svariati ambiti della ricerca nazionale, quantunque vada detto che non è ancora infranto quel “soffitto di cristallo” di cui parla Palomba: quella “sottile, trasparente ma robustissima barriera che si frappone tra le donne e i poteri di vertice. Una barriera che le donne possono vedere, sfiorare, ma mai sfondare”.
Oggi, intanto, vicepresidente dell’ente è una donna, Maria Cristina Messa la quale è altresì membro, insieme alla collega Gloria Saccani Jotti, del Consiglio di Amministrazione.

MIRIAM FOCACCIA

Tratto da Scienza & società - Novant'anni di CNR 1923-2013

Note
1 Figlie di Minerva. Primo rapporto sulle carriere femminili negli Enti Pubblici di Ricerca italiani, a cura di Palomba R., Franco Angeli, Milano 2000;
Avveduto S., “Donne e scienza: si può chiudere il gap?”, in Scienza e Società, 5/6, settembre 2008, pp. 133-141.


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