Dunque, il problema è quello di fare una vera analisi di qualità che corrisponda alla gestione reale del sistema universitario. La mia impressione più netta riguarda i seguenti fatti: 1) per stimolare i corpi accademici dei vari settori disciplinari a collaborare bisogna introdurre incentivi che rendano utile farlo e non solo regole che lo impongano; 2) bisogna trovare il modo di valutare sia la ricerca che la didattica facendo dei medaglioni puntuali delle figure individuali degli aspiranti a posizioni accademiche e non solo copie-carbone di impact factors e citation indexes; 3) bisogna preoccuparsi della interattività del rapporto studenti-docenti nei singoli corsi; non si possono ammettere corsi che siano conferenze-monologhi in cui il docente non dia spazio agli interrogativi dei suoi studenti; 4) bisogna ripristinare un rapporto diretto tra l'università e la scuola, dalla primaria alla secondaria superiore, in modo che le discipline vengano coltivate correttamente sin dall'inizio delle carriere scolastiche in una didattica che percore gradini evolutivi riconoscibili. Mi sembra che il sistema italiano (ma non è il solo) sia capace di fare queste cose in alcuni settori che godono di una grande tradizione e che lo si veda dai risultati in quei settori. Forse sarebbe anche meglio riflettere sulla proliferazione delle sedi universitarie periferiche senza però dimenticare che assolvono alla funzione di attenuare i disagi degli studenti fuori sede: periferico non vuol dire necessariamente scadente se incentivi e reclutamento non sono scadenti in quanto periferici. Ma è indispensabile uscire dalla rete di luoghi comuni morbosamente diffusi da persone insoddisfatte che magari vengono da esperienze in cui il mercato ha già avuto l'effetto devastante che potrebbe avere anche da noi se continua così: lo slogan che deve campeggiare sull'Università italiana è: "La cultura superiore è il più importante investimento di una democrazia avanzata e il nostro mondo deve accettare una volta per tutte, come diceva il compianto Antonio Ruberti, che i beni immateriali portano più benessere, felicità e consapevolezza dei beni materiali".
L’Università: ne parliamo correttamente?
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Come la natura mette in discussione il binarismo di genere

Dalle recenti dichiarazioni politiche sul binarismo di genere alle lezioni che possiamo apprendere dai licheni (e da altri organismi), Pamela Boldrin esplora come la natura sfidi costantemente le nostre categorizzazioni rigide. A favore di un quadro dove interconnessione e complessità sono la norma, non l'eccezione, e che ci porta a ripensare non solo i concetti di individualità e binarismo, ma anche il nostro modo di relazionarci con l'intero ecosistema terrestre.
«Ci sono solo due sessi, non sono modificabili e sono radicati in una realtà fondamentale e incontrovertibile», dichiara Trump durante il suo discorso inaugurale di inizio mandato presidenziale, lo scorso 20 gennaio. O maschio o femmina, determinati alla nascita dalla natura, sempre secondo il neo presidente, il cui pensiero riscontra molto sostegno. Si palesa così un’occasione di ribadire qualcosa che, se per molti è ovvia, non è affatto scontata nei tempi che stiamo vivendo: la realtà va guardata con occhi capaci di cogliere la complessità.