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L'Italia degli scienziati. 150 anni di storia nazionale

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Attraverso una ventina di microstorie, centrate attorno a un personaggio o ad un evento significativo, il libro offre una incisiva panoramica del ruolo svolto dalla comunità scientifica italiana nello sviluppo dei 150 anni di storia unitaria, sia sotto il profilo dei contributi apportati dagli scienziati italiani alle rispettive discipline, sia e soprattutto sotto l’aspetto del peso esercitato nella vita culturale e politica del paese. Non è un volume rivolto agli storici di professione, e non contiene inedite rivelazioni sul piano storiografico; ma ha il non piccolo pregio di offrire ad un vasto pubblico colto ma non addetto ai lavori, grazie anche ad una scrittura molto scorrevole, i principali risultati delle novità che la ricerca storica più recente ha prodotto su un tema finora largamente ignorato o sottovalutato. Le novità si devono soprattutto all’emergere di una generazione di ricercatori con una solida formazione scientifica alle spalle, che ha rivisitato e messo in discussione alcuni stereotipi consolidati e aperto nuovi orizzonti di ricerca su terreni finora trascurati (pressoché tutti i lavori di ricerca su cui questa rassegna critica si basa sono debitamente indicati nelle note, permettendo così al lettore desideroso di approfondimenti di risalire alle fonti originali). E’ così possibile suggerire chiavi di lettura non scontate anche trattando personaggi e  momenti ben noti, quali Guglielmo Marconi o la saga dei “ragazzi di via Panisperna” raccolti intorno ad Enrico Fermi. Ma soprattutto vengono portati all’attenzione figure, e situazioni, che impongono una sostanziosa revisione dell’immagine che comunemente si tende ad avere della presenza della scienza nella storia del nostro paese, quella cioè di una realtà spesso culturalmente osteggiata, comunque marginale e sostanzialmente estranea alla definizione delle linee di sviluppo e delle politiche espresse dalle classi dirigenti. Sotto questo aspetto risultano molto istruttive le pagine dedicate ad alcune questioni che, pur essendo ormai terreno familiare agli storici di professione, sono invece largamente assenti dalla percezione collettiva della nostra vicenda nazionale. Menzioniamo sommariamente alcuni di questi nodi: la presenza attiva e diretta della generazione postrisorgimentale di scienziati nella definizione delle linee di sviluppo culturale e economico del nuovo stato unitario, e la attenzione rivolta alla creazione di nuove istituzioni scientifiche (una figura emblematica per tutte, quella di Vito Volterra); la questione (assai più complessa del semplice rapporto di indifferenza reciproca cui la si è troppo a lungo ridotta) del rapporto della comunità scientifica con il fascismo, che si integra nel quadro più generale della continuità delle relazioni tra gli intellettuali italiani e il potere, prima, durante e dopo il ventennio; la connessa vicenda della legislazione razziale, che ha visto tra gli scienziati italiani molte delle sue vittime illustri, ma anche alcuni dei suoi artefici e ispiratori, e con cui i conti – culturali prima ancora che giudiziari – non sono mai stati fatti fino in fondo; il miracolo della ricostruzione postbellica e la successiva distruzione negli anni sessanta di un sistema della ricerca che era riuscito a portare l’Italia all’avanguardia in molti settori chiave dell’innovazione scientifica (e non si tratta solo delle storie più familiari della parabola di Mattei o della vicenda giudiziaria di Ippolito, legate ai settori dell’energia: chi ha memoria di ciò che è stato, nel panorama della ricerca biomedica, l’Istituto Superiore di Sanità in quegli anni, quando vi lavoravano due premi Nobel?)

La storia non ci dà prescrizioni per stabilire come muoversi dal nostro presente verso il futuro. Ma ci permette, opportunamente interrogata, di capire come e perché siamo arrivati a questo presente: e ci mette così in mano gli ingredienti essenziali per decidere responsabilmente verso dove andare. In un momento in cui le fondamenta del ruolo della ricerca scientifica nello sviluppo del paese sono in discussione, questo libro costituisce uno strumento importante per fornire ai cittadini sensibili alla questione parte di quegli ingredienti.


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Ostacolare la scienza senza giovare agli animali: i divieti italiani alla sperimentazione

sagoma di macaco e cane

Divieto di usare gli animali per studi su xenotrapianti e sostanze d’abuso, divieto di allevare cani e primati per la sperimentazione. Sono norme aggiuntive rispetto a quanto previsto dalla Direttiva UE per la protezione degli animali usati a fini scientifici, inserite nella legge italiana ormai dieci anni fa. La recente proposta di abolizione di questi divieti, penalizzanti per la ricerca italiana, è stata ritirata dopo le proteste degli attivisti per i diritti degli animali, lasciando in sospeso un dibattito che tocca tanto l'avanzamento scientifico quanto i principi etici e che poco sembra avere a che fare con il benessere animale.

Da dieci anni, ormai, tre divieti pesano sul mondo della ricerca scientifica italiana. Divieti che non sembrano avere ragioni scientifiche, né etiche, e che la scorsa settimana avrebbero potuto essere definitivamente eliminati. Ma così non è stato: alla vigilia della votazione dell’emendamento, inserito del decreto Salva infrazioni, che ne avrebbe determinato l’abolizione, l’emendamento stesso è stato ritirato. La ragione?