fbpx L'imbarazzante vicenda del piezonucleare | Scienza in rete

L'imbarazzante vicenda del piezonucleare

Primary tabs

Read time: 8 mins

L’INRiM (Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica) è un ente pubblico di ricerca vigilato dal MIUR (il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca) le cui strategie sono descritte, come la legge prevede, in un documento cosiddetto di “visione strategica” che traccia le linee guida dell’attività dell’ente per il decennio a seguire. Questo documento viene stilato periodicamente e nella versione del 2010 si può leggere la seguente frase:

Nel prossimo decennio l’INRIM si impegnerà in ricerche di metrologia fondamentale, metrologia applicata, metrologia interdisciplinare (Ambiente, Energia, Nuove Tecnologie, Salute) e in settori metrologici emergenti (Bioscienze, Ingegneria dei Materiali e Tecnologie delle Comunicazioni).

Nel 2012 il documento viene riscritto con pochissime variazioni, però molto significative. Nel caso della frase sopra citata l’elenco dei “settori metrologici emergenti” diventa:

(Fenomeni Piezonucleari, Bioscienze, Ingegneria dei Materiali e Tecnologie delle Comunicazioni).

Col che, nella “vision” dell’INRiM, entrano ufficialmente i fenomeni piezonucleari, dei quali si parla anche nel piano triennale 2012-2014, un documento operativo e non di immaginifica visione strategica, dove si legge:

Nell’ambito del Progetto Bandiera “L’ambito Nucleare” (finanziato nel 2011 con 10 milioni di euro) ed in collaborazione con CNR, ENEA e Politecnico di Torino, il Piano Triennale 2012-2014 mira a esplorare una nuova frontiera sull’utilizzo ecosostenibile del nucleare, che è quella delle reazioni piezonucleari.

Cosa è successo tra il 2010 e il 2012? Il fatto più rilevante è la nomina, avvenuta nel 2011, del nuovo Presidente dell’INRiM, Alberto Carpinteri, Professore Ordinario di Scienza delle Costruzioni del Politecnico di Torino. Il quale, come recita il suo CV, è:

Autore di oltre 650 pubblicazioni (delle quali oltre 300 su rivista internazionale con referee) nei seguenti campi: meccanica dei materiali e della frattura, fatica, termoelasticità, sismica, calcestruzzo armato, monitoraggio strutturale, meccanica del contatto, frantumazione e comminuzione, processi di perforazione, materiali compositi a strati o functionally graded, materiali nanostrutturati o gerarchici, emissione acustica ed elettromagnetica, reazioni piezonucleari.

Anche qui compaiono, ultima voce dell’elenco, le reazioni piezonucleari.
Va detto che l’interesse del Prof. Carpinteri per le reazioni piezonucleari è relativamente recente perché è solo nel 2009 che il suo nome compare per la prima volta in un articolo scientifico su questo argomento. Il titolo del lavoro è eloquente: “Piezonuclear Neutrons From Brittle Fracture: Early Results of Mechanical Compression Tests”. In questo articolo, a detta degli autori, fratturando pezzi di granito si provoca l’emissione di neutroni, a dimostrazione del fatto che si sono verificate delle reazioni nucleari. Per la precisione “piezo” nucleari in quanto provocate dall’applicazione di una compressione, che in greco antico prende appunto il nome di “piezos”. 

Il primo a parlare di reazioni piezonucleari fu Steve Jones nel 1986. Si tratta dello stesso Jones che, insieme e Pons e Fleischman, aveva annunciato la scoperta della fusione fredda, che nel suo caso aveva voluto che si chiamasse "muon catalyzed fusion" per differenziarsi rispetto a quella elettrochimica degli altri due. Dopo quasi vent’anni di silenzio il termine “piezonucleare” fa di nuovo capolino in un lavoro di due autori italiani: Roberto Mignani, professore dell’Università di Roma Tre, e Fabio Cardone, un collaboratore tecnico del CNR. Il sodalizio tra i due e il Prof. Carpinteri nasce dopo poco e sfocia nella pubblicazione del già citato articolo sulla rivista Strain. È opportuno a questo punto precisare che le riviste scientifiche hanno un comitato editoriale i cui componenti hanno una rilevante influenza sulle pubblicazioni della rivista. Nel caso della rivista Strain tra i componenti del comitato editoriale siede lo stesso Carpinteri.

Sia qual che sia, si tratta di risultati assolutamente clamorosi, totalmente inspiegabili con una qualsiasi delle teoria fisiche conosciute. È il solo Mignani, un fisico teorico, ad avventurarsi nel tentativo di spiegare l’inspiegabile mescolando la fisica nucleare con la relatività generale ipotizzando curvature dello spazio-tempo che renderebbero possibili fenomeni altrimenti preclusi. Prima però di parlare delle teoria che spiegano i fatti, è sempre opportuno essere sicuri che questi fatti siano reali. E nel caso delle reazioni piezonucleari, a parte quanto sostengono Cardone, Mignani, Carpinteri e i loro collaboratori, non si registrano verifiche indipendenti. Al contrario, nel giro di pochi mesi vengono pubblicati una serie di lavori che smentiscono del tutto le pretese asserzioni sulle reazioni piezonucleari. Si tratta, è bene dirlo, di smentite provenienti da laboratori di fisica nucleare di importanti istituzioni tra cui l’INFN, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

Sic stantibus rebus, è lecito affermare che, almeno sino a questo punto, la pretesa esistenza dei fenomeni piezonucleari non ha ricevuto alcuna conferma indipendente. Non solo, le modalità con cui queste osservazioni sono state condotte è stata oggetto di forti critiche. Come hanno scritto i fisici dei laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN:

No gamma rays measurements associated with any nuclear reactions and no radioactive isotopes in fractured granite blocks are reported. … Our remarks are related to the incompleteness of experimental setup and data speculation. Mistake in the analysis of neutron detection due to intense acoustic signal or charged particle emitted in fractoemission phenomena is suggested.

La pietra tombale su tutto questo però viene messa pochi giorni fa a opera di un gruppo di ricercatori dell’INRiM che pubblicano in rete un’analisi impietosa dei dati:

Carpinteri et al.1 claimed that the data of Tables I and II give clear evidence of reduced Fe content at fracture surfaces, with simultaneous increase of lighter elements (Mg, Al, Si). In this comment, it is shown that the compositional data listed in Tables I and II cannot be the result of independent measurements. Therefore, no conclusion can be drawn from them about compositional modifications induced in the stone by hypothetical piezonuclear reactions taking place at fracture.

Per chi comprende il freddo linguaggio scientifico sono parole terribili. Proviamo a parafrasarle. Carpinteri e gli altri coautori hanno preso dei pezzi di granito e li hanno spezzati, sostenendo che in corrispondenza della parte fratturata si sono verificate delle reazioni nucleari che hanno trasformato atomi di ferro in atomi di alluminio. A sostegno di questa affermazione hanno presentato dati relativi alla composizione chimica misurata in 60 punti del pezzo di granito, 30 nella zona fratturata e 30 in quella esterna rimasta intatta. L’analisi chimica consente di rivelare la presenza di molti elementi diversi, e come in tutte le misure c’è sempre una certa inesattezza nei valori misurati. Chiunque faccia misure sa bene che c’è sempre una componente casuale, dovuta proprio a fattori non controllabili, che viene chiamata “rumore”. Il fatto strano delle misure di Carpinteri et al consiste nel fatto che questa componente casuale non c’è, o per lo meno è molto più piccola di quello che ci si aspetterebbe. E siccome non c’è, si nota che le misure fatte in momenti diversi e in punti diversi del campione sono tutte troppo simili fra loro tra loro per essere credibili. Per fare un paragone, sarebbe come se qualcuno presentasse due fotografie di un tramonto dicendo di averle fatto la  ripresa in due giorni diversi. Fino a che qualcuno osserva che le nuvole nel cielo appaiono essere esattamente le stesse in entrambe le immagini. Come se, invece di fare due fotografie diverse, ne avesse fatta una sola lavorando poi di copia e incolla con photoshop. Alla luce di questa imbarazzante disamina l’esistenza delle reazioni piezonucleari quindi non solo si rivela priva di qualsiasi conferma indipendente, ma un’analisi attenta dei dati presentati a loro sostegno fa nascere forti sospetti sul modo in cui questi dati sono stati prodotti. Viene persino il sospetto che siano stati “inventati” di sana pianta. 

Cose come questa sono già successe in passato, vuoi perché errare è umano, vuoi perché qualcuno ha proprio imbrogliato, come nel caso recente e celeberrimo di Jan Hendrik Schön, che sconvolse la comunità scientifica nei primi anni 2000 prima che qualcuno si accorgesse che i grafici delle sue misure erano sempre gli stessi, rumore compreso. Per cose come queste però non c’è mai stato bisogno di far circolare appelli tra gli scienziati. Il filtro operato dalla comunità scientifica, basato sul principio che se una cosa è vera per uno deve essere vera anche per tutti gli altri, ha sempre consentito di discriminare le cose buone da quelle che non lo erano. Nel caso della vicenda dell’INRiM il vaglio della comunità scientifica, attraverso i suoi strumenti universalmente accettatti, è già stato effettuato e il responso è molto chiaro: l’esistenza dei fenomeni piezonucleari necessita di evidenze molto più serie e documentate di quelle sino ad ora presentate prima di poter essere accettata. Fino a che queste evidenze non saranno prodotte, si tratta solo di un’affermazione di un ristretto gruppo di persone non verificata da altri e sulla quale pesano molte ombre. Pertanto, non è solo prematuro ma del tutto irresponsabile pensare di investirvi ingenti risorse umane e finanziarie. Soprattutto se a farlo deve essere un ente pubblico di ricerca e se le risorse in questione sono quelle che vengono dalle tasche dei contribuenti in un momento così difficile a causa della crisi economica.

Tutto questo è stato chiaramente recepito dalla comunità scientifica, che per questo ha deciso di aderire massicciamente, e ai suoi massimi livelli, all’appello indirizzato al Ministero vigilante, del quale mi onoro di essere uno dei promotori. Appello che in questo momento sta veleggiando verso la quota di 1000 adesioni, un fatto unico nella storia italiana.

Per chi vuole vedere l'appello e - se ricercatore - firmarlo, vada a questo link

A. Carpinteri, F. Cardone, G. Lacidogna, Strain 45, 332 (2009). 
C. D. Vansiclen, S. E. Jones, Journal of Physics G – Nuclear and Particle Physics 12, 213 (1986).
F. Cardone, R. Mignani, Int. J. Of Modern Physics E – Nuclear Physics, 15, 911 (2006). 
F. Cardone, G. Cherubini, A. Petrucci, Phys. Lett. A, 373, 862 (2009). 
G. Ericsson, S. Pomp, H. Sjostrand, Phys. Lett. A, 373, 3795 (2009).
A. Kowalski, Phys. Lett. A, 374, 696 (2010). 
A. Spallone, O. M. Calamai, P. Tripodi, Phys. Lett. A, 374, 3957 (2010). http://arxiv.org/pdf/1205.6418.pdf

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Una correlazione tra l’accumulo di plastica e il rischio cardiovascolare

Uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine evidenzia per la prima volta la presenza di micro- e nanoplastiche nelle placche aterosclerotiche di pazienti sottoposti a intervento chirurgico. Seguendo i pazienti per i 34 mesi successivi, il gruppo di ricerca ha potuto rilevare anche un maggior rischio di malattia cardiovascolare nei pazienti in cui erano state rilevate le microplastiche rispetto a coloro che invece non le avevano accumulate, e l’aumento di alcune molecole associate all’infiammazione

Che la plastica costituisca un enorme problema ambientale è ormai del tutto riconosciuto; così come sono riconosciuti i danni che causa a molte specie, soprattutto marine, che finiscono intrappolate da frammenti di reti, o i cui stomaci sono così pieni di rifiuti da impedire loro di alimentarsi.