Passata l’ebbrezza, finita la festa, si torna a fare i conti con la realtà. E non sono certo rose e fiori. Il programma Shuttle, dopo 30 anni e 134 missioni, è prossimo alla pensione. Con la partenza dell’Atlantis, la STS-135, un’era si chiude. E dopo? Non c’è anima, a Cape Canaveral, che non se lo chieda con preoccupazione.

La NASA, che ha già tagliato circa seimila posti a causa della cancellazione del programma Constellation decisa dall’amministrazione Obama, si prepara a mandare in pensione, insieme agli Shuttle, anche più di 2mila dipendenti della base di Cape Canaveral. “Il problema non riguarda solo migliaia di persone che rischiano di restare disoccupate”, afferma un giornalista di spazio che vive a Orlando. “A catena, ne risentiranno tutti, dal fruttivendolo all’agente immobiliare”. È l’effetto domino della crisi economica, una crisi che in America morde ancora e, almeno da queste parti, potrebbe farsi sentire più a lungo. Certo, almeno dal disastro del Columbia, nel 2002, la NASA ha annunciato l’uscita di scena. La gente era preparata a questo momento.

Non tutti sono pessimisti. “Riceviamo ogni giorno circa cinquemila visitatori, non ho motivo di credere che l’afflusso turistico diminuirà nel prossimo futuro”, rispondono all’ufficio informazioni del Kennedy Visitor Center, il museo interattivo dedicato all’avventura spaziale. Paradossalmente potrebbero essere le persone più giovani a far fatica a immaginare un futuro senza Shuttle. Chi ha meno di 30 anni, qui, è vissuto nella bambagia, cullato dalle onde e dall’enorme indotto economico delle gloriose navette.

Ma se è innegabile che l’attività della NASA sia stata un volano per lo sviluppo e il turismo del posto, è anche vero che la fine dello Shuttle non è la fine del Kennedy Space Center e neppure delle imprese spaziali.

“La base di lancio non chiuderà battenti, da qui continueranno a partire satelliti”, sottolinea un impiegato. “In più, c’è molto altro lavoro da fare. Bisogna riconvertire le infrastrutture per trasformare la base nello spazioporto dei prossimi vettori spaziali”. La NASA infatti ha detto addio agli Shuttle – “carrozzoni” che ormai appartengono al passato, costano cifre spropositate e sono estremamente vulnerabili data la loro complessità ingegneristica – ma non rinuncerà ai voli in orbita bassa. Sta infatti sviluppando razzi di nuova generazione per raggiungere la Stazione spaziale internazionale, insieme alle compagnie private. Nelle scorse settimane, l’ente ha affidato commesse per 269 milioni di dollari a quattro imprese: Space X, Boeing, Blu Origin e Sierra Nevada, per la realizzazione di un missile e una capsula in grado di portare uomini sulla ISS.

“Credo che dovremo stringere un po’ i denti per i prossimi 4-5 anni”, prevede una tassista del posto, mentre fa la spola tra gli alberghi. “Lo Shuttle ha portato lavoro, e sentiremo la sua assenza. Ma poi le cose ripartiranno, Cape Canaveral diventerà la base di lancio di altre capsule con costi molto meno elevati rispetto allo Shuttle, e allora ci sarà di nuovo lavoro”.
Insomma, la fine del programma Shuttle è come un duro colpo, nel breve termine, ma anche un’opportunità di rilancio e di ripresa, sul medio e lungo periodo. Un’era si chiude, in fondo, perché una nuova stagione si apra e si possa tornare a volare.