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La politica del rattoppo

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Il problema dei rifiuti a Napoli noto come “emergenza” rifiuti è anche la punta di un iceberg che va emergendo in tutte le sue drammatiche dimensioni e dopo aver toccato Palermo, rischia presto di esplodere a Roma.

Anche per questo Napoli può essere considerato un laboratorio nel quale si sono esercitate e tuttora si sperimentano le possibili soluzioni. Il problema è sorto nel 1995 quando per la prima volta fu commissariata nel capoluogo la gestione dello smaltimento dei rifiuti affidandola a prefetti, presidenti di Regione, protezione civile. Quali che fossero i responsabili gli anni, oltre 15, sono trascorsi senza che una soluzione fosse adottata capace non dico di risolvere, come, peraltro in tempi avrebbero consentito, ma almeno di lascare intravedere una via di uscita. E nei giorni scorsi a cavallo tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, il Governatore della Campania, Stefano Caldoro, ha dichiarato che occorrono tre anni per risolvere definitivamente il problema.

Perché tre anni? Per fare che cosa ? Secondo quale scansione temporale delle varie fasi? E secondo quale strategia? Sono domande di elementare buon senso che dovrebbero avere risposte precise. Ma i nostri amministratori, a qualunque livello territoriale, hanno, tra gli altri, anche il difetto di non proporre mai un crono programma. Cioè non sono mai capaci di dire quanto tempo occorre per realizzare un obiettivo, un’opera pubblica o altro, e attraverso quali tappe, ciascuna con la sua tempistica, si intende  raggiungere il risultato.

La questione rifiuti ne è un esempio lampante. Tralascio il richiamo alle miracolistiche ipotesi di soluzioni del presidente del Consiglio che sarebbe come sparare sulla croce rossa. Ma ora che, anche a valle dell’approvazione del decreto governativo sui rifiuti, Regione e Province hanno “preso in mano” la gestione del problema queste cose vanno dette e vanno dette in modo da chiarire quali scelte decisive sono a monte del triennio previsto per una soluzione non schizofrenica del problema. Cioè per una soluzione che non preveda ipotesi tra loro contrastanti.

Innanzitutto si dovrebbe chiarire in modo esplicito se si intende rispettare la legge che obbliga a portare a  livelli spinti (50-60%) la raccolta differenziata di rifiuti entro il 2012. Se sì, e il sì dovrebbe essere scontato, si è in grado di dimostrare ai cittadini sfiduciati che i rifiuti così rimossi vengono avviati nelle filiere del riciclo delle diverse componenti merceologiche? E magari si è in grado di stimolare la crescita di tali  impianti nella regione? Si è in grado di chiarire, sempre ai cittadini, che la raccolta differenziata richiede preventivamente la loro indispensabile collaborazione? Che questa presuppone anche la rigorosa separazione della frazione umida da quella secca? Che per smaltire l’umido si costruiranno impianti di compostaggio (quanti, dove e in quanto tempo?)?

È sufficientemente chiaro che l’attuazione di quanto appena detto prende disponibili quantità sempre minori di rifiuti solidi  da mandare in discarica o ad incenerire in appositi impianti. E, di conseguenza, è altrettanto chiaro che non si può contemporaneamente puntare sul riciclo e invocare la costruzione di un numero spropositato di impianti di incenerimento. Perché e altrettanto evidente che se funzionasse l’impianto di Acerra non sarebbe necessario costruirne altri a meno che non si intenda importare rifiuti anche da altre regioni.

Le mancate risposte a queste domande che i cittadini si pongono ripetutamente e con attenzione (per rendersene conto basterebbe ascoltare le trasmissioni radiofoniche e televisive alle quali partecipano in gran numero cittadini napoletani) hanno alimentato la sfiducia che è una delle cause alla base della lentezza nel far decollare  e crescere i livelli di differenziazione dei rifiuti.

Alcune risposte sono condizionate dalla vera emergenza; altre dalla mancanza di una chiara strategia al di sopra degli interessi politici ed economici che condizionano le scelte. La risposta immediata è solo la discarica. Ma è un immediato che deve essere necessariamente limitato nel tempo: non può durare tre anni, ma solo il tempo necessario per realizzare gli obbiettivi che indicavo in precedenza. È un tempo che si va riducendo, via via che si incrementa la raccolta differenziata e si costruiscono gli impianti di compostaggio. Impianti, questi ultimi, che possono anche essere incentivati a livello condominiale e che dovrebbero essere imposti dovunque si producano elevate quantità di sostanza umida, per esempio nei mercati generali e nei supermercati.

Se si ha la forza e il coraggio politico di fare chiarezza e trasferire fiducia ai cittadini  il problema si risolve. Perché le soluzioni esistono, sono “virtuose” e, se non si conoscono, basta informarsi. Magari copiando quello che si fa altrove.


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