Non c’è stato regime politico che abbia esaltato e idolatrato la medicina come l’ha esaltata e idolatrata il nazismo. Nel 1934 un intellettuale assai apprezzato dal regime, Hans Weinert, scrive: “Ci troviamo all’inizio di una nuova epoca, l’uomo stesso riconosce le leggi del vivente che lo modellano individualmente e collettivamente; e lo Stato nazionalsocialista si è dato il diritto per quel che è in suo potere, d’influenzare il divenire umano come esigono il benessere del popolo e dello Stato”. Pochi anni prima, in un fortunatissimo manuale di “Igiene razziale”, scienziati di fama come Eugen Fischer, Erwin Bauer e Fritz Lenz, definiscono Hitler come il “grande medico tedesco”. Si tratta solo di metafore a effetto? Niente di nuovo da registrare? Del resto il lessico politico ha sempre utilizzato metafore biologiche, lo Stato considerato come organismo, i cittadini rappresentati come delle cellule, e così via. Ma con nazismo le cose cambiano. E cambiano radicalmente.
Diversamente da tutte le dottrine politiche moderne, il nazismo non si limita a costruire delle mediazioni linguistiche e concettuali tra la biologia e la politica. Per i nazisti la biologia è già politica e viceversa. Rudolf Hess, vice di Hitler, lo dice con chiarezza cristallina: “Il nazionalsocialismo non è altro che biologia applicata”. Nell’allucinato immaginario biomedico nazista, impastato di socialdarwinismo, eugenismo e razzismo, i biologi appaiono allora come i depositari delle regole di governo e, soprattutto, i medici come gli autentici e unici esecutori di quelle regole, in nome della suprema salute del Volk tedesco. Non è certo un caso se la prima guerra che Hitler dichiara è proprio la guerra ai disabili, approvando già nel luglio del 1933 una legge “sulla protezione della salute ereditaria” che contempla la sterilizzazione forzata di tutti i cittadini giudicati dal basso “valore genetico”, dai sordomuti ai ciechi, dagli schizofrenici agli alcolisti. E col passare del tempo la guerra alle cellule malate del Volk e, ancor più crudele, quella alle razze giudicate inferiori, diventa sempre più intensa. Una guerra “medica”, compiuta in nome della “Pulizia e della Salute”, come era scritto alle porte di Mathausen. “Se il potere ultimo - ha messo bene in evidenza il filosofo Roberto Esposito in Bíos. Biopolitica e filosofia, uno degli studi più interessanti al riguardo – calzava gli stivali delle SS, l’auctoritas suprema vestiva il camice bianco del medico”.
Non stupisce come in questo quadro, in cui ogni uomo si risolve nel suo materiale biologico e l’umanità intera si disperde e frammenta in diverse tipologie, più o meno pregiate, di stock genetico, non stupisce come in questo quadro proprio ai medici sia riconosciuto un ruolo da protagonisti anche in quelle fabbriche di morte che sono i campi di sterminio. Auschwitz, oltre a produrre morte in serie, offre anche “materia prima” per esperimenti. “Materia” utilissima e per di più a “basso costo”. Lo dice uno dei medici che lavoravano al famigerato Blocco 10, dove operavano professori come Carl Clauberg, Horst Schuman e Eduard Wirths. Nel suo diario è scritto: “L’uomo era l’animale sperimentale che costava di meno, meno di un ratto”. Abolendo ogni limite della medicina e rinnegando ogni principio ippocratico diretto a conservare la vita, la biopolitica nazista, questa paradossale forma di terapia sociale disposta a considerare persino l’uccisione di un uomo come un atto medico, i medici scrivono nei campi le pagine più assurde e infami della scienza del Novecento. Tra i vari esperimenti condotti ad Auschwitz si possono ricordare quelli diretti a provocare artificialmente ustioni con bombe incendiare al fosforo; esperimenti con varie forme di veleni; esperimenti diffusi sul tifo indotto artificialmente; esperimenti sull’immersione in acqua al punto di congelamento per determinare le reazioni e la vulnerabilità del corpo; esperimenti sulla rigenerazione di ossa, muscoli e tessuto nervoso implicanti il prelievo di varie ossa, muscoli e nervi da donne sane. Addurre questa abominevole serie di atrocità solo a dei professionisti imbevuti di ideologia e per questo disposti a rinnegare se stessi, rischia di restituire solo parte della verità.