Specifici biomarcatori possono fornire informazioni sul livello di esposizione a inquinanti atmosferici a cui sono esposte le persone che abitano e lavorano vicino agli inceneritori. È quanto emerge dallo studio “Biomonitoring of the general population living near a modern solid waste incinerator: A pilot study in Modena, Italy” (Environ Int. 2013 Oct 5) condotto tra 65 persone che vivono o lavorano entro un raggio di 4 km dall’inceneritore di Modena e 103 persone non esposte, che vivono o lavorano fuori dal perimetro considerato.
Gli inceneritori sono infatti responsabili dell’emissione nell’ambiente di sostanze inquinanti di cui è necessario tener conto nella valutazione della salute di chi ci gravita attorno. Tra le sostanze prodotte nei processi chimici al loro interno ci sono sostanze organiche e inorganiche come monossido di carbonio (CO), biossido di carbonio (anidride carbonica, CO2), ossidi dello zolfo (SOx), ossidi dell’azoto (NOx), diossine, furani, idrocarburi policiclici aromatici, metalli e particolato. Tutte sostanze che l’International Agency for Research on Cancer (Iarc) ha più volte classificato come cancerogene (sia certi che probabili) e che direttive dell’Unione europea hanno regolamentato al fine di prevenire gli effetti negativi legati alla loro dispersione nel terreno, nelle acque e nell’aria.
Negli anni, parallelamente all’adeguamento degli impianti di incenerimento alle direttive europee, sono stati condotti numerosi studi sui loro effetti negativi per la salute umana. Tra questi, alcuni si sono concentrati sull’impatto delle emissioni nell’insorgenza dei tumori e nei processi riproduttivi. Si tratta di studi inficiati da molti fattori (tra cui la scarsità di informazioni sull’esposizione e la presenza di potenziali fattori di confondimento) che hanno tuttavia avuto grande risonanza tra la popolazione delle zone limitrofe agli inceneritori, preoccupata per la propria salute.
Degli otto impianti presenti in Emilia-Romagna, quello di Modena è attivo dal 1980, ad oggi lavora su 180.000 tonnellate di rifiuti all’anno e ha una ciminiera alta 80 metri. Lo studio pilota, condotto nel 2010, ha investigato la capacità di alcuni specifici biomarker nell’evidenziare la presenza di inquinanti nei tessuti delle persone esposte alle sostanze prodotte dagli inceneritori. I biomarcatori analizzati comprendono: piombo ematico e urinario, cadmio ematico e urinario, mercurio ematico, rame ematico e urinario, zinco sierico e urinario, manganese urinaria, nichel urinario, idrocarburi policiclici aromatici e benzene nelle urine.
I risultati dell’indagine, condotta tra maggio e giugno 2010, mostrano che i livelli urinari di fenantrene, antracene e pirene (idrocarburi policiclici aromatici) sono maggiori nei soggetti esposti. In maniera analoga, è stato osservato che i livelli ematici di cadmio e argento, e quelli urinari di manganese, fluorene, fenantrene, antracene e pirene sono inversamente correlati alla distanza tra la posizione dell’inceneritore e la zona in cui si trova il soggetto in esame. Inoltre, è stata rilevata una connessione anche tra l’esposizione al particolato e i livelli urinari di manganese, fluorene e fenantrene.
Cosa significa tutto questo?
I risultati hanno diverse implicazioni.
Innanzitutto che l’esposizione a benzene, toluene e xilene non può essere
ricondotta alla presenza di un inceneritore: il contributo sarebbe minimo e
trascurabile rispetto ad altre fonti di esposizione (come il fumo di sigaretta
e le emissioni prodotte dagli scarichi automobilistici). Al contrario,
l’esposizione agli idrocarburi policiclici aromatici è strettamente connessa
alla presenza dell’inceneritore e le rilevazioni urinarie sono rilevanti nella
definizione dei livelli di esposizione a questi inquinanti organici. Allo
stesso modo, i metalli studiati nel biomonitoraggio, manganese e cadmio,
possono essere associati alla presenza dell’inceneritore.
I risultati ottenuti indicano dunque la necessità di proseguire nel biomonitoraggio umano negli studi epidemiologici sugli inceneritori.