fbpx Il vero atto di resistenza è stare a casa, non in scooter | Scienza in rete

Il vero atto di resistenza è stare a casa, non in scooter

Primary tabs

Tempo di lettura: 7 mins

"A differenza dei disciplinati sudditi del biopotere, l’intellettuale fa invece resistenza e compie il sacrificio di godersi per un paio d’ore lo spettacolo di una città deserta e bellissima". Ma può farlo solo grazie alla maggioranza disciplinata che prova proteggere anche la sua salute. Il commento di Cristian Fuschetto all'articolo di Edoardo Cicelyn sul Corriere del Mezzogiorno.
Crediti immagine: Pexels/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Come la salute anche la libertà è una di quelle cose di cui ti accorgi davvero solo quando non ce l’hai più. Come mura dotate di uno strano senso dell’ironia, ci vai a sbattere contro solo quando scompaiono. Lo sperimentiamo in questi giorni, in cui ordinanze di ministri, governatori, sindaci hanno ridotto a tal punto le libertà personali che il gesto di andare a buttare l’immondizia comincia con l’essere vissuto con spirito clandestino. A generazioni di italiani che per fortuna non hanno mai saputo cosa potesse mai significare vivere sotto un coprifuoco basta ora affacciarsi alla finestra. Paesaggi svuotati, strade silenziose, l’allarme di qualche sirena, pattugliamenti delle forze dell’ordine e annunci da camionette della Protezione Civile che invitano a rimanere a casa. Frastornati da tutto questo non stupisce il desiderio di normalità e l’astio nei confronti di chi questa normalità ce la nega. Ma appunto, chi ce la nega?

È forse il Potere che si serve di un’emergenza per sorvegliare e punire ancor meglio i suoi sudditi? L’esercito dei ben informati non conta mai defezioni e così c’è chi ha teorizzato che il coronavirus sia stato ingegnerizzato da scienziati e poi “sfuggito di mano” in un laboratorio di biosicurezza di Wuhan, chi come Eleonora Brigliadori pensa che dietro l’epidemia ci sarebbero gli Stati Uniti senza tuttavia precisarne il come e il perché , chi come Diego Fusaro lo precisa e forse sarebbe stato meglio rimanere sul vago. Sul sul suo blog de Il Fatto Quotidiano il filosofo mette infatti in collegamento l’emergenza coronavirus con l’esercitazione “Defender Europe 20” che vede impegnati 20mila soldati americani in territorio europeo, domandandosi se vi sia “una connessione tra il Coronavirus e l’esercitazione Usa”. Paventando l’ipotesi di un rafforzamento delle truppe Usa in funzione anti-Putin, il filosofo si chiede se siano eventi sconnessi tra loro oppure se “Sono invece da leggersi unitariamente, come connessi e rispondenti a una medesima logica?”. Quale logica? Quella neoliberista, che dubbio c’è, il cui fine programmatico di dissolvere i legami sociali è ora perseguibile grazie alle misure securitarie legittimate dall’emergenza sanitaria.

A un livello di discussione decisamente più alto, c’è chi come Giorgio Agamben non ha resistito alla tentazione di trovare in questa situazione emergenziale una lampante conferma alla teoria dello di “stato di eccezione” come “dispositivo” di potere, arrivando a parlare di un’epidemia inventata. Come sa ogni studente di filosofia che abbia frequentato l’università negli ultimi due decenni, Agamben ha rinnovato e per molti versi reinventato su scala internazionale il discorso sul biopotere avviato da Michel Foucault negli anni ’70, ne ha rivisitato nozioni, introdotto concetti divenuti patrimonio comune come quello di “sacertas”, di “nuda vita”, di “campo”, di “forma-di-vita”, ha rinvigorito il discorso che vuole la sovranità esercitarsi non più solo astrattamente su cittadini titolari di diritti e doveri ma su esseri viventi, sui corpi, non più sul popolo ma su una popolazione. Eppure Agamben scrive sul Manifesto: “Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite”.

Se si potesse relegare la questione a disputa tra filosofi la cosa lascerebbe il tempo che trova, fatto sta che non si può. Non si può perché in questi discorsi è in gioco il rapporto tra potere, scienza e medicina, altrimenti detto la nostra vita quotidiana. In nome di chi o di cosa ci chiedono oggi di restringere le nostre libertà? Le ragioni per essere preoccupati non mancano. Sull’Avvenire in un articolo dall’eloquente titolo “I militari per strada: il vero rischio è che poi ci restino”, Lucia Capuzzi cita un fenomeno fisico e dice: “Istèresi. I fisici chiamano così il fenomeno per cui un corpo, sottoposto a una pressione, mantiene una deformazione anche quando la tensione si allenta o termina” per sottolineare il rischio che quando tutto questo finirà non è detto che ne usciranno indenni le nostre libertà fondamentali. Sulle pagine de Il Foglio il filosofo del diritto Emilio Santoro risponde al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, che invita a considerare i soldati per strada non certo come i soldati di Pinochet, ricordandogli l’abnormità che stanno assumendo atti meramente amministrativi e senza la legittimazione e la forza della legge: “Si può governare il virus – dice – senza contagiare la Costituzione”.

Salute e libertà, la questione è seria non solo perché tocca l’equilibrio tra due beni così fondamentali da non poter essere riconosciuti se non quando vengono meno, ma anche perché ha a che fare con un altro equilibrio precario, quello tra autorità e autorevolezza, tra decisori ed esperti. In questo senso, accanto alle analisi di antagonisti più o meno consapevoli del Potere, è significativa la lettura dell’articolo di Eduardo Cicelyn dedicato ai sovrani dello stato di emergenza. “Come Michel Foucault ha immaginato sembra proprio che la politica moderna sia nient’altro che un’istanza di governo della vita, della vita nuda e cruda” scrive Cicelyn e così, servendosi di riferimenti cari al filosofo francese, narra della sua personale sfida al “coprifuoco” e di come sfugge al “panopticon” di Vincenzo De Luca, governatore della Regione Campania, “il politico più occhiuto dai tempi di Bentham”.

“Ogni giorno alle 12,30 prendo lo scooter e per un paio d’ore vado a zonzo nella città deserta e bellissima” scrive Cicelyn e non si fatica a credergli. Perimetrati tra mura domestiche a fare da maestri a bambini giustamente irrequieti, a contare i danni quotidiani di una saracinesca che non si può più alzare, a detergere paura e ansie nutrite per chi in famiglia è costretto a uscire, il solo pensiero di andare in giro a zonzo per la città è un detonatore di dopamina. Cicelyn fa resistenza. “Fuggire due ore al giorno dalla prigione casalinga a cui siamo stati consegnati è perciò una protesta solitaria contro una politica che non trova niente di meglio che fermare la vita; ed è un modo di prendere una boccata d’aria fresca prima che i polmoni siano attaccati e distrutti dal virus dell’angoscia, contro il quale sono in corso da secoli molte sperimentazioni con pochi risultati”.

L’intellettuale compie dunque un solitario atto di insubordinazione. Ma, e questo è il punto, contro quale potere? Il riferimento esplicito è ai politici, ma credo ce ne sia uno implicito. Cicelyn, e come lui i retori del biopotere, si insubordina non solo all’autorità del decisore di turno, si insubordina anche all’autorevolezza di medici, ricercatori e sanitari che ogni giorno sperimentano gli effetti concreti del virus su pazienti che non si fa più in tempo a ricoverare.

In un testo a suo modo sincero e finanche generoso, che all’autore è costato la misura di isolamento domiciliare di 14 giorni impostagli dall’Asl di Napoli, egli dà l’idea di fregarsene delle raccomandazioni di chi in materia epidemiologica ne sa forse qualcosa di più di lui, e questo è qualcosa di diverso che arruolarsi tra gli antagonisti del biopotere. Ignorare le richieste di virologi, epidemiologi, infettivologi, e di tutti gli esperti che ci spiegano che in mancanza di altre misure non possiamo far altro che evitare di offrire ai patogeni un corpo dove alloggiare e prolificare è qualcosa di diverso che sbeffeggiare i governanti. Confondere i due piani del discorso è un modo per sedurre i conformisti dell’anticonformismo.

Nel criticare le direttive assunte dall’autorità politica in nome dell’emergenza sanitaria, bisognerebbe avere la coerenza di chiarire che si rifiutano anche le indicazioni degli esperti, degli addetti ai lavori, dell’élite medico-sanitaria, tutti unanimi nel chiederci di stare a casa, e contro di essi bisognerebbe trovare argomenti per dimostrare il contrario. “Alla terribile potenza vitale del virus – scrive Cicelyn – a me sembra che possa rispondere solo la forza serena di una natura che sopravvive di cultura e bellezza, piena di contraddizioni, dove tutto è già contaminato”. Francamente non so cosa potrebbero rispondere a queste parole i medici impegnati in queste ore nelle sale di rianimazione in condizioni di emergenza anche logistica.

Così come i no vax possono prendersi la libertà di infischiarsene della legge perché c’è una maggioranza disciplinata che mette al sicuro i loro figli, intellettuali engagés possono godersi una città deserta e bellissima perché c’è una maggioranza disciplinata che prova proteggere anche la loro salute.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

L’allenamento musicale migliora la lettura di testi scritti

spartito

Uno studio pubblicato su NeuroImage Reports mostra che i musicisti attivano il cervello in modo diverso dai non musicisti durante la lettura, con un coinvolgimento bilaterale del giro occipitale medio. L'educazione musicale sembra migliorare le abilità di lettura e potrebbe proteggere da disturbi come la dislessia.

Immagine Pixabay

I musicisti leggono usando il cervello in modo diverso dalle altre persone. È il risultato di un recente studio uscito su NeuroImage Reports firmato da Alice Mado Proverbio e di Elham Sanoubari dell’Università Milano-Bicocca. Una delle principali conclusioni è la notevole differenza nell'attivazione cerebrale tra musicisti e non musicisti nel giro occipitale medio (MOG) durante la lettura di testi.