Nella seconda metà degli anni novanta John Dick dell’Università di Toronto identificò nella leucemia una sottopopolazione cellulare che era in grado di rigenerare il tumore in topi immunocompromessi. Da allora la presenza di sottopopolazioni in grado di riprodurre il tumore di partenza è stata riportata anche in diversi tumori solidi. Il mio gruppo nel 2007 ha identificato nel melanoma una sottopopolazione, caratterizzata dal marcatore ABCG2+, che presenta caratteristiche proprie delle cellule staminali tumorali come la capacità di riprodurre il tumore in vivo, di dare origine ad un fenotipo diverso dal proprio (transdifferenziarsi) e di crescere in forma di sferoidi (Eur J Cancer 43, 935-946, 2007). Problemi e limiti legati alla validazione delle cellule staminali utilizzando animali immunocompromessi sono stati recentemente discussi (Stem Cell Reviews and Rep 5, 61-65, 2009). In altri cinque articoli, usciti tra il 2005 e il 2008, veniva descritta la presenza di una piccola popolazione nel melanoma che alimentava il tumore utilizzando diversi marcatori (per un approfondimento si rimanda alla review precendente).
Alla fine del 2008 è però uscito un articolo controcorrente del gruppo di Morrison del Howard Hughes Medical Institute che mostrava come in un ceppo particolarmente immunocompromesso le cellule in grado di rigenerare il tumore di partenza sembravano essere molte e non una piccola sottopopolazione (Quintana et al, Nature 2008). Questo articolo poneva seri dubbi sulla reale esistenza nel melanoma di cellule staminali tumorali. Il dibattito internazionale è stato chiuso dal gruppo di Weissman direttore del Institute for Stem Cell Biology and Regenerative Medicine Stanford Cancer Center, con un articolo pubblicato su Nature alla fine del 2010. I risultati del gruppo di Morrison venivano smentiti mostrando definitivamente che la crescita del melanoma è alimentata da una piccola popolazione: le cellule staminali tumorali. Questi risultati hanno rivoluzionato la nostra concezione del tumore, dalla sua evoluzione alle strategie terapeutiche.
Infatti non tutte le cellule tumorali sono uguali ma la cosa più importanete è che solo la sottopopolazione di cellule staminali tumorali sarebbe in grado di moltiplicarsi indefinitamente formando e alimentando il tumore stesso. Il trattamento farmacologico del tumore necessita quindi di un ripensamento complessivo. Fino ad ora abbiamo colpito “il tumore” oggi dobbiamo pensare a eliminare le cellule staminali tumorali. Un aspetto non di poca importanza riguarda l’origine di queste cellule: derivano da cellule staminali residenti, cellule tumorali dedifferenziate o cosa altro? In un articolo appena pubblicato su Plos One (nel numero del 22 dicembre del 2010,) nell’ambito di una collaborazione internazionale di almeno quattro anni tra il mio gruppo e il gruppo coordinato da James Sherley del Boston Biomedical Research Institute di Boston, abbiamo confermato per la prima volta il sospetto legame tra cellule staminali adulte e cellule staminali tumorali. Abbiamo infatti identificato un nuovo marcatore (CXCR6) espresso dalle cellule staminali e legato alla loro capacità di dividersi in modo asimmetrico e lo abbiamo ritrovato in una piccola sottopopolazione sia in linee cellulari di melanoma umano che in biopsie di melanoma. Abbiamo quindi confermato che esiste una relazione di tipo Dr. Jekyll-Mr Hyde tra le cellule staminali adulte e le cellule staminali tumorali. In modo inaspettato abbiamo infatti osservato che le cellule staminali umane di melanoma che esprimono CXCR6 sulla loro superficie sono anche in grado di dare luogo ad un tumore più aggressivo rispetto a cellule identifcate con ABCG2. Oltre all’interesse scientifico, questi risultati potrebbero accelerare lo sviluppo di un trattamento rivolto alle sottopopolazioni altamente aggressive del melanoma umano e di altri tipi di tumore.
Le classiche strategie chemoterapiche non considerano infatti che il tumore possa essere alimentato solo da un piccola sottopopolazione cellulare ma mirano a colpire complessivamente tutte le cellule altamente proliferanti. Si potrebbe invece utilizzare il marcatore CXCR6 per determinare il numero di cellule staminali tumorali in un paziente e fornire all’oncologo un’indicazione sul trattamento più opportuno per eliminarle. Mi sembra importante sottolineare che la ricerca è stata in parte supportata dal NIH Director’s Pioneer Award del “NIH Roadmap for Medical Research”. Il programma supporta progetti estremamente creativi e di alto impatto nella ricerca anche con grossi rischi di insuccesso che normalmente non sono finanziati dai programmi normali NIH. La scelta di investire nella creatività e non nella mera riproduzione di risultati già acquisiti o prevedibili sarebbe a mio avviso auspicabile anche nel nostro paese.