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La terapia anti epatite C con i nuovi farmaci antivirali

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Negli ultimi anni sono stati fatti grandi progressi nel trattamento dei pazienti con epatite C cronica, in particolar modo nei pazienti con infezione da HCV genotipo 1.

La strategia terapeutica corrente prevede l’impiego di interferone pegilato (PEG-IFN alfa 2a o 2b) e la ribavirina (RBV). La conoscenza progressivamente più approfondita del ciclo replicativo del virus dell’epatite C (HCV) ha permesso l’identificazione di alcuni target biologici verso i quali sono stati sviluppati farmaci con azione antivirale diretta: Telaprevir e Boceprevir. Entambi sono inibitori non strutturali della serino-proteasi (NS3/4) del virus dell’epatite C e sono i primi antivirali diretti (DAA) approvati per il trattamento dell’epatite C cronica sia in America che in Europa. La triplice terapia antivirale determina un incremento significativo della percentuale di risposta virologica sostenuta (SVR) sia nel paziente mai precedentemente trattato che nel paziente non responsivo al trattamento antivirale standard (relapser e non responder) con la possibilità, in alcuni casi, di ridurre la durata della terapia. Ciò permetterà, nei prossimi anni, di offrire valide opzioni terapeutiche ad un maggior numero di pazienti.

La terapia con Telaprevir prevede la somministrazione del farmaco sperimentale durante le prime 12 settimane di trattamento, per poi completare il ciclo terapeutico con 12 o 36 settimane di duplice terapia con interferone pegilato e ribavirina a seconda dei tempi di negativizzazione dell’HCVRNA. In particolar modo i pazienti che risultano HCVRNA negativi sia alla quarta che alla dodicesima settimana di trattamento antivirale possono effettuare una terapia della durata complessiva di 24 settimane. Se la negativizzazioe di HCV-RNA è invece meno veloce, oppure il paziente ha fallito un precedente ciclo terapeutico o è affetto da cirrosi epatica, sono necessarie 48 settimane di terapia complessiva.
La terapia con Boceprevir inizia dopo 4 settimane di duplice terapia con PEG-IFN e ribavirina (fase di lead-in) e prosegue poi con la triplice combinazione. La durata della somministrazione dei tre farmaci è guidata ancora una volta dal tempo di negativizzazione dell’HCVRNA, e varia da 28 a 36 o 48 settimane a seconda dei livelli di HCVRNA ottenuti dopo 8 e 24 settimane di trattamento. La fase di lead-in è una strategia terapeutica molto interessante che permette di individuare una categoria di pazienti con grande sensibilità alla terapia convenzionale che, rggiungendo la negativizzazione già alla quarta settimana - la cosiddetta risposta virologica rapida (RVR) - non hanno bisogno del terzo farmaco.

E’ importante sottolineare che nei pazienti con un precedente fallimento terapeutico che hanno presentato una riduzione dei livelli di HCVRNA inferiore ad un logaritmo nei primi tre mesi del precedente ciclo terapeutico (null responder) non ottengono un grande beneficio dal ritrattamento con telaprevir e boceprevir, dal momento che le percentuali di guarigione sono del 30% circa.  Inoltre in presenza di cirrosi epatica la probabilità di guarigione si riduce ulteriormente fino al 15% circa. In questa tipologia di pazienti risulta inoltre elevato il rischio di sviluppare resistenze, dal momento che la scarsa responsività alla terapia interferonica trasforma la triplice terapia in una monoterapia funzionale con il solo farmaco antivirale e che questi farmaci di prima generazione hanno una barriera genetica non elevata.

Attualmente i potenziali candidati per la triplice terapia con boceprevir o telaprevir in associazione con interferone e ribavirina, che rappresentno tuttora la colonna portante della terapia antivirale, sono i pazienti con epatite cronica C, genotipo 1. Si tratta di una terapia gravata da un certo numero di effetti collaterali rispetto alla terapia standard, che richiede uno sforzo assistenziale da parte dei centri che le dispensano e impone una accurata selezione dei pazienti in modo da identificare quelli che ne hanno urgenza e che ne  trarranno beneficio. Ad esempio, esiste una tipologia di pazienti con un determinato profilo genetico - il cosiddetto genotipo CC legato al polimorfismo del gene dell’IL28B - i quali non hanno bisogno del terzo farmaco per ottenere la guarigione in quanto  possiedono una naturale suscettibilità al trattamento antivirale e sono pertanto in grado di ottenere percentuali di risposta virologica sostenuta con la terapia standard paragonabili a quella ottenibili con la triplice terapia. Quindi, una accurata e razionale selezione dei pazienti è di fondamentale importanza nella gestione della terapia dell’epatite C cronica al fine di assicurarne una forte costo-efficacia.

Nell’era dei farmaci con azione antivirale diretta, il medico possiede anche un altro compito: quello di enfatizzare l’importanza dell’aderenza al trattamento antivirale, dal momento che ci troveremo a fronteggiare il problema delle resistenze virali. Il telaprevir è formulato come capsule da 375 mg e il dosaggio terapeutico è di 2 capsule 3 volte al giorno (ogni 8 ore) da assumere con un pasto ricco di grassi, il boceprevir è formulato come capsule da 200 mg e il dosaggio terapeutico è di 4 capsule 3 volte al giorno (ogni 8 ore) da assumere con il cibo. Entrambi i farmaci devono essere assunti assieme ad interferone e ribavirina. E' fondamentale che il paziente sia adeguatamente istruito e comprenda l'importanza cardinale di assumere regolarmente e nei modi prescritti il farmaco antivirale. Se questo non avviene, il virus è capace di sviluppare rapidamente una resistenza, la cui comparsa compromette irrimediabilmente sia l’efficacia del  farmaco che si sta assumendo, sia di quelli appartenenti alla stessa classe, che possiedono lo stesso meccanismo d’azione. Si fa strada dunque il concetto di "aderenza" assoluta alla terapia - ben conosciuta in campo di terapia antibiotica e anti-virale - ma che compare per la prima volta nel trattamento dell'epatite C. 

La terapia con i nuovi farmaci antivirali non potrà prescindere da un’attenta valutazione delle possibili interazioni farmacologiche. Telaprevir e boceprevir sono entrambi metabolizzati dal citocromo P450, come numerosi farmaci comunemente utilizzati dai nostri pazienti. Entrambi i farmaci inoltre inibiscono o fungono da substrati della glicoproteina p. L’assunzione di Telaprevir o Boceprevir può alterare la concentrazione plasmatica di farmaci metabolizzati mediante le suddette vie metaboliche, viceversa la loro stessa concentrazione può risultare alterata modificandone l’efficacia ed incrementandone la tossicità. E’ importante sottolineare che la stessa terapia ormonale anticoncezionale nelle donne in terapia con Telaprevir o Boceprevir potrebbe risultare inefficace e non può essere pertanto considerata un adeguato metodo contraccettivo durante la terapia anti-epatite C. Nella gestione di queste terapie un utilissimo supporto viene fornito dalle informazioni presenti on-line (si può consultare, a tal proposito i siti: www.hcvadvocate.org e www.hep-druginteractions.org) che sono costantemente aggiornate.

Un’adeguata conoscenza degli effetti collaterali di telaprevir e boceprevir da parte del medico ed un’adeguata informazione del paziente sono elementi fondamentali nella gestione delle nuove terapie antivirali, al fine di prevenire o di gestire adeguatamente eventuali eventi avversi. Gli effetti collaterali più frequenti durante la terapia con telaprevir sono: rash cutaneo (56%), anemia (36%), diarrea (36%), irritazione anorettale (29%) e nausea (29%). Tra i suddetti effetti collaterali bisogna prestare molta attenzione alla comparsa di rash cutaneo. E' indispensabile stabilire tempestivamente il grado di severità del rash stimandone la gravità e l'estensione  e prescrivere un’adeguata terapia sintomatica o - se necessario - interrompere la terapia con telaprevir o tutta la terapia nei pazienti che presentano un rash severo o grave. Gli effetti collaterali frequentemente riscontrati durante la terapia con boceprevir sono: l’anemia (48%-50%) e la disgeusia (35%-44%). Un controllo frequente dei valori emocromocitometrici è dunque indispensabile durante la terapia con questi antivirali, in particolar modo durante i primi mesi di trattamento.

In conclusione, grazie all'avvento di terapie innovative di grande efficacia, l'orizzonte terapeutico si estende per i malati di epatite C ma la complessità terapeutica e gestionale per il medico ne risulta aumentata. Sarà fondamentale assicurare ai pazienti una assistenza continua, un counseling assiduo e arricchito di competenze nuove, quali ad esempio il dermatologo, per accompagnarli in sicurezza durante tutto il percorso terapuetico.

di Gloria Talliani e Elisa Biliotti

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