fbpx La simbiosi fra scienza e filosofia | Scienza in rete

La simbiosi fra scienza e filosofia

Primary tabs

Tempo di lettura: 4 mins

La simbiosi, associazione permanente o duratura fra due o più specie diverse, il simbionte e l’ospite, è oggi una degli argomenti di studio più fruttiferi della biologia evoluzionistica: si può dire che non passi giorno senza che escano novità interessanti in questo campo. È del luglio dell’anno passato, ad esempio, la scoperta che i licheni, caso classico di simbiosi fra un fungo e un organismo fotosintetico, in realtà accolgono al loro interno anche un’altra componente fungina, simile a un lievito, rendendo così ancora più complessa e difficile da interpretare la loro biologia, che diventa in realtà, un’ecologia…

Ma non sono solo le novità concettuali a rendere interessante lo studio della simbiosi: ad esempio la scoperta che una classe di temibili parassiti, le filarie, ospitano al loro interno dei microorganismi simbionti, ha suggerito la possibilità, poi sperimentata, di curare una malattia gravissima causata da una filaria, la cecità dei fiumi, combattendo con antibiotici i microorganismi simbionti; la scoperta che il plasmodio della malaria ospita degli “organuli” – chiamati apicoplasti, essenziali per il parassita – che sono probabilmente derivati da cloroplasti di alghe un tempo simbionti dei plasmodi - ha suggerito, con successo, di sperimentare nuovi farmaci antimalarici derivati da erbicidi e quindi potenzialmente innocui per i pazienti. Aver compreso la relazione intima fra i coralli e le loro alghe simbionti, che fanno fotosintesi cedendo ai coralli una parte dei carboidrati “in cambio” di protezione e “fornitura a basso costo” di CO2, ha fatto sì che si comprendesse il meccanismo di azione del bleaching, lo sbiancamento delle scogliere coralline dovuto al surriscaldamento dei mari.

Una strana dimenticanza

E tuttavia, strana è la posizione della simbiosi all’interno dell’evoluzionismo attuale. Se qualunque cultore dell’evoluzione, o chiunque insegni oggi l’evoluzione, non può non parlare di simbiosi, la stessa attenzione non è riposta in molti testi, anche accademici e citati. Giustamente fanno notare Giovanna Rosati e Claudia Vannini in Simbiosi ed evoluzione (Aracne, 2011) che Stephen Jay Goud nella monumentale Struttura della teoria dell’evoluzione non la menziona nemmeno.

Douglas Futuyma, nel libro di testo di evoluzione forse più usato al mondo (632 pagine!) vi dedica due paginette scarse. Credo che la causa principale di questa assenza sia il fatto che la simbiosi, in qualche modo, “odora di zolfo”, come se i suoi proponenti e coloro che la studiano si allontanassero dal fiume principale dell’evoluzionismo più ortodosso. Ciò è in parte dovuto al fatto che Lynn Margulis (nella foto d'apertura), grande apostola della simbiosi, si mise sempre di traverso al darwinismo (“La tradizione neodarwinista di genetica delle popolazioni mi ricorda la frenologia e credo sia destinata a fare la stessa fine”). Lynn Margulis negli anni sessanta del Novecento riportò in auge e difese strenuamente l’idea della simbiogenesi, cioè l’origine delle cellule eucariote (quelle di animali, piante, funghi e protisti) a partire da simbiosi fra cellule procariote, batteri e archei.

Quest’idea, oggi comunemente accettata fino a essere riportata sui libri di scuola, fece molta fatica a prender piede (“Il lavoro [del 1966] fu rifiutato da circa quindici riviste scientifiche, perché presentava lacune teoriche, e anche perché era una materia troppo nuova...” scrive Lynn Margulis) anche perché costituiva un mutamento significativo rispetto al meccanismo mutazione-selezione naturale ritenuto il cuore dell’evoluzione.

Il Darwin Day di Milano dedicato alla simbiosi

Ma l’endosimbiosi, e cioè la vita di cellule all’interno di altre cellule non ha richiamato solo l’attenzione di coloro che sono interessati all’origine delle cellule complesse, ma anche i ricercatori interessati al trasferimento "orizzontale" di DNA, e cioè all’idea che il DNA di organismi simbionti possa essere trasferito alla cellula ospite, come è accaduto – in parte - a quello di cloroplasti e mitocondri. E in questo campo i risultati sono stati veramente notevoli. Alcuni esempi verranno presentati nel corso del "Darwin Day" che si terrà al Museo di Storia Naturale di Milano il 9 e 10 febbraio prossimi e che, sotto il cappello generale della simbiosi, raccoglierà casi di mutualismo, commensalismo, parassitismo, le tre modalità con le quali si manifesta.

Ci saranno interventi dedicati alla simbiosi a diversi livelli di organizzazione del vivente: da quello degli organismi a quello, appunto dei microorganismi ospiti di piante e animali. Noi siamo infatti portati a vedere i microbi come ospiti indesiderati da eliminare, ma è ormai chiaro che la nostra vita, e probabilmente quella di tutte le piante e gli animali, dipende da microorganismi ospiti, che forniscono servizi a volte indispensabili, come la produzione di vitamine e di aminoacidi essenziali.

E’ come se gli organismi avessero "delegato" alcune funzioni ai microbi. Ma allora, se è così, è come se questi microbi facessero parte degli organismi, mettendo quindi in crisi l’idea stessa di individuo. Dunque la selezione naturale, il grande motore dell’evoluzione, ha come bersaglio individui, o comunità di viventi (gli individui insieme ai loro ospiti)?

Marco Ferraguti

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Una correlazione tra l’accumulo di plastica e il rischio cardiovascolare

Uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine evidenzia per la prima volta la presenza di micro- e nanoplastiche nelle placche aterosclerotiche di pazienti sottoposti a intervento chirurgico. Seguendo i pazienti per i 34 mesi successivi, il gruppo di ricerca ha potuto rilevare anche un maggior rischio di malattia cardiovascolare nei pazienti in cui erano state rilevate le microplastiche rispetto a coloro che invece non le avevano accumulate, e l’aumento di alcune molecole associate all’infiammazione

Che la plastica costituisca un enorme problema ambientale è ormai del tutto riconosciuto; così come sono riconosciuti i danni che causa a molte specie, soprattutto marine, che finiscono intrappolate da frammenti di reti, o i cui stomaci sono così pieni di rifiuti da impedire loro di alimentarsi.