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Sempre più Citizen Science!

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In una singola notte di osservazione il solo VST (il VLT Survey Telescope), da poco entrato in funzione a Cerro Paranal, può arrivare ad accumulare oltre 100 gigabyte di dati, grazie all’efficienza con cui scansiona il cielo australe. Se poi consideriamo anche i quattro VLT e VISTA, sempre situati a Cerro Paranal, e tutti gli altri telescopi disseminati per il mondo, ci rendiamo conto di come la mole di dati che viene attualmente acquisita in un anno si misuri in petabyte (un petabyte equivale a un milione di gigabyte) e sia destinata a continuare ad aumentare con un tasso di crescita previsto di circa un fattore 2 ogni anno.

Gigabyte e pentabyte

Quando il Large Synoptic Survey Telescope (con uno specchio di 8 metri di diametro che illuminerà un rivelatore da 3,2 gigapixel con un campo di vista di 10 gradi quadrati) diventerà operativo – la prima luce è prevista per il 2018 – produrrà dati al ritmo di 10 petabyte all’anno. Per poter godere appieno di questa messe di nuove osservazioni sarà necessario superare ovvie limitazioni dovute alla disponibilità e alla potenza dei calcolatori da dedicare alla loro riduzione e analisi, nonché alla difficoltà di insegnare alle macchine, attraverso  opportuni software, a risolvere problemi o classificare immagini. Ma saranno soprattutto le limitazioni commesse alla disponibilità di manodopera a incidere sulla capacità di ottenere un ritorno completo e tempestivo dagli investimenti fatti nella costruzione delle nuove infrastrutture. Saranno dunque necessari nuovi approcci e nuove soluzioni per riuscire a estrarre le informazioni contenute nei dati a un ritmo paragonabile a quello con cui i nuovi dati vengono acquisiti.

La citizen science

Un primo passo innovativo è stato fatto già qualche anno fa con il programma scientifico SETI@home (vedi sito) che contemplava l’utilizzo di un numero enorme di personal computer distribuiti sulle scrivanie di tutto il mondo e collegati attraverso Internet tra di loro e ai server del progetto SETI. Chi lo desiderava poteva scaricare un software che, quando il computer non era dedicato ad altro, analizzava dati radioastronomici provenienti dallo spazio, cercando segnali attribuibili a intelligenze extraterrestri.

Iniziato nel 1999, già nell’ottobre del 2000 il programma era stato scaricato da più di due milioni di volontari che avevano donato al progetto un totale di oltre 400.000 anni  di CPU  per complessivi 4,3 ∙ 1020 flops. In meno di due anni, SETI@home era diventato, grazie  alla disponibilità di una moltitudine di persone, il più grande progetto di calcolo distribuito esistente e il più grande supercomputer in operazione. SETI@home  tuttavia  sfruttava  solo una piccola parte   delle  risorse   disponibili, quella relativa al mero tempo di calcolo di computer altrimenti inutilizzati. Ignorava invece il grosso della potenza disponibile, quella rappresentata  dai cervelli dei possessori dei computer, i quali non venivano minimamente coinvolti.

Galaxy Zoo

È nata così quella che oggi viene comunemente chiamata crowd science o, meglio ancora, citizen science. E' importante ricordare a questo proposito che è stato il progetto Galaxy Zoo a fare quest’altro importante  passo, scoprendo che in giro per il mondo vi sono moltissime persone che non solo sono disponibili a prestare a una buona causa qualche ora di calcolo del propio computer, ma che sono anche interessate a dare una mano e a farsi coinvolgere in progetti scientifici giudicati interessanti, mettendoci il loro tempo e la loro intelligenza, e aiutando a scoprire fenomeni prima sconosciuti come l’Hanny’s Voorwerp.

Galaxy Zoo nasce nel 2007 con lo scopo iniziale di classificare più di un milione di galassie fotografate dal telescopio robotico che aveva condotto la Sloan Digital Sky Survey (SDSS). Nella prima giornata  di operazioni il progetto ricevette classificazioni di galassie al ritmo di circa 70.000 all’ora e in un anno si contarono quasi 150.000 partecipanti.

Qualche anno dopo, sempre in ambito astronomico, è partito il progetto Planet Hunters (vedi qui) che mette a disposizione del pubblico i dati raccolti dal satellite della NASA Kepler, invitando chi lo vuole a scrutare le curve di luce delle stelle osservate per trovare quei minuscoli ma regolari abbassamenti di luminosità che possono indicare il transito di un pianeta extrasolare. È di qualche tempo fa la notizia della scoperta, proprio da parte del programma Planet Hunters, di due pianeti extrasolari che erano sfuggiti all’analisi del team di Kepler.

Non solo astronomi

Se  all’inizio  sono stati  alcuni  gruppi  di astronomi a coinvolgere nei loro progetti di ricerca  i normali  cittadini, ottenendo un’inaspettata  partecipazione e un grande successo, ora sono molti i progetti di ricerca, e nei più svariati campi, che si aprono al pubblico fornendo strumenti di analisi e coinvolgendolo a livelli diversi  nell’estrazione di quelle informazioni che sono alla base delle scoperte scientifiche. Attualmente vi sono diversi progetti attivi e molti si sono organizzati sotto un ombrello comune chiamato Zooniverse (vedi qui) che viene prodotto, mantenuto e organizzato  dalla Citizen  Science Alliance, una  collaborazione transatlantica  di università e musei dedicata al coinvolgimento del pubblico nella scienza.

Oltre ai progetti  di astronomia  già  menzionati, ve ne sono altri per studiare il Sole o la Luna o per scoprire supernovae. Ma ci si può anche dedicare a comprendere il linguaggio delle balene, classificando pezzi registrati  delle loro conversazioni (qui), oppure a tradurre frammenti dei papiri di Oxrhynchus (qui) rinvenuti in Egitto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, o anche a recuperare osservazioni meteorologiche registrate nei diari di bordo delle navi della Marina  Militare inglese in servizio in varie parti del mondo durante gli anni della Prima Guerra Mondiale (qui), aiutando così la comprensione dei cambiamenti climatici. L’importanza della citizen science non sta solo nel contributo, importante, dato all’analisi dei dati e misurabile in termini di risultati e pubblicazioni scientifiche. Sta anche – e forse soprattutto – nel nuovo rapporto che si è instaurato tra pubblico e ricercatori, tra scienza e società.

Da un lato è uno stimolo, per gli scienziati, ad aprire cassetti e armadi pieni di dati e a rendersi conto che anche i non professionisti, se dotati degli strumenti giusti e di ragionevoli istruzioni, possono contribuire alla risoluzione di vari problemi. Ed è anche uno stimolo, sempre per gli scienziati, a ingegnarsi per capire quali problemi possono trovare soluzione attraverso il contributo di una moltitudine di persone interessate a essere coinvolte in un progetto scientifico; ma anche per capire quali strumenti sviluppare o inventare per facilitarne la partecipazione e il contributo. Dall’altro lato, è la testimonianza dell’interesse di molti a partecipare alla costruzione della conoscenza.

Dice uno dei Planet Hunters coinvolto nella scoperta dei due pianeti extrasolari:

«I’m in that paper as one of the citizen scientists, and I can’t overstate how exciting it is for me. It’s really such a small thing, but being a tiny part of  the team makes me feel directly con- nected to the incredible, ongoing journey of scientific discovery» («Sono stato  citato nell’articolo che parla della scoperta come un “citizen scientist” e non riesco a rendere l’idea di quanto questo sia eccitante per me. Il mio è soltanto un piccolo contributo, ma far parte in qualche modo del gruppo mi fa sentire direttamente connesso con l’incredibile progresso delle scoperte scientifiche»). 

Se la  divulgazione  è importante  per far crescere il livello della cultura scientifica, il coinvolgimento è enormemente più incisivo. La citizen science rappresenta dunque lo strumento che permette il tanto auspicato passaggio dal Public Understanding of Science al Public Engagement with Science and Technology: dalla «comprensione pubblica della scienza» al «coinvolgimento pubblico nella scienza e tecnologia».

E non  è finita…

Sono passati solo cinque anni da Galaxy Zoo e dalla  nascita della citizen science. È dunque immaginabile che nel futuro prossimo vengano sviluppati nuovi modi per coinvolgere, con benefici reciproci,  strati sempre più ampi della società nella ricerca scientifica e contribuire così a far crescere quella società della conoscenza che caratterizza la nostra realtà e che dominerà il nostro futuro.

È ancora tutto da inventare, ma già si vedono i primi spunti innovativi. Foldit, per esempio, è un videogioco sviluppato all’Università di Washington che permette di ripiegare e manipolare la struttura delle proteine, in modo da aiutare i ricercatori nello studio di alcune malattie. Sfrutta  l’abilità  umana  di risolvere facilmente quei rompicapi tridimensionali (come i modi di ripiegarsi delle proteine) che richiedono immense risorse computazionali. Con questo gioco, in circa tre settimane è stata recentemente decifrata la struttura  di un enzima fondamentale per la diffusione del virus dell’AIDS, riuscendo dove la scienza provava, senza venirne a capo, da quasi quindici anni.

E siamo solo agli inizi!

Fonte: "Le stelle" - n°104, marzo2012 


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