fbpx Quanta nostalgia del DDT ... | Scienza in rete

Quanta nostalgia del DDT ...

Primary tabs

Tempo di lettura: 8 mins

Alcuni dei punti sollevati da Jean Marie Lehn nel suo recente editoriale partivano dalla chimica per giungere a un discorso molto più generale. Uno in particolare toccava da vicino i temi ambientalisti che abbiamo più volte sollevato, e che da ultimo hanno suscitato tante vivaci discussioni: il tema degli effetti perversi che può avere l’applicazione emotiva, e quindi irrazionale, dei sacrosanti principi di difesa dell’ambiente. Veniva a puntino per le discussioni che abbiamo stimolato, ed eccomi quindi qui per riprenderlo e approfondirlo. Lehn portava l’esempio della messa al bando del DDT nel 1974, e ne definiva tragiche le conseguenze, dato che avevano decretato la vittoria della malaria, che dal DDT era stata di fatto debellata: la mia età non più verde mi consente di ricordare il sollievo con cui tutti avevamo salutato, nel paesino del Friuli in cui vivevo, l’arrivo di quella polverina bianca tanto efficace contro le zanzare. Ma il discorso di Lehn andava ben al di là del nostro sollievo: parlava della morte di milioni di esseri umani che la polverina bianca aveva evitato. E che avrebbe potuto continuare a evitare se, dopo pochi anni, sulla spinta dei movimenti ambientalisti non si fosse deciso di metterla al bando. Data la grande portata della decisione (naturalmente uso un’espressione riduttiva) è utile cercare di capire come ci si sia arrivati, e anche chiarirsi un poco le idee su come siano andate realmente le cose.

Dunque, prima di tutto alcune statistiche: per esempio quelle della World Health Organization (WHO), che ci dicono che oggi la malaria colpisce da 300 a 500 milioni di individui, la maggior parte in Africa: causando, ogni anno, circa 2,5 milioni di morti. Di questi, la maggioranza sono bambini, che sono naturalmente meno resistenti: volendo citare cifre a effetto, si calcola che ogni giorno circa 3.000 bambini Africani muoiano di malaria, vale a dire uno ogni 30 secondi! (sempre la WHO ci dice che, in Africa, la malaria è ora la seconda causa di morte dopo l’AIDS). Questa è quindi oggi, quasi quarant’anni dopo la messa al bando del DDT, la situazione sul fronte della malaria: e si può presumere fosse la stessa, se non peggiore, prima dell’arrivo su grande scala dell’insetticida nel 1948-1950: queste sono statistiche ufficiali, non opinioni. Ma è utile aggiungere qualche altra informazione di tipo storico, per inquadrare meglio il problema: siccome il discorso ha preso l’avvio dalla chimica, iniziamo quindi col dire che l’acronimo DDT descrive il diclorofenil-tricloroetano, sintetizzato già nel 1874 da un chimico Tedesco, Othmar Zeidler, assieme a centinaia di altri composti. Sorprendentemente, Zeidler non aveva suggerito alcun impiego per i composti che aveva sintetizzato, ma negli anni ’30 un chimico svizzero, Paul Mueller, ripetè la sintesi del diclorofenil-tricloroetano seguendo le ricetta di Zeidler, dimostrandone le proprietà insetticide: la sua grande efficacia contro le zanzare della malaria valse a Paul Mueller il premio Nobel per la Medicina nel 1948. Il DDT fu poi sintetizzato su larga scala negli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale, e fu usato per la prima volta, con grandi risultati, contro mosche, scarafaggi, e specialmente pidocchi, dagli eserciti alleati durante la campagna d’Italia. Si iniziò a impiegarlo su scala mondiale contro la malaria intorno al 1950, e i risultati furono subito sensazionali. Lehn ha citato il caso clamoroso di Ceylon-Sri Lanka, ma consultando il sito dell’American Council on Science and Health, si ricavano molte altre importanti notizie statistiche: così per esempio in India l’uso del DDT ha ridotto il numero di morti per malaria da un milione nel 1945 a poche migliaia nel 1960; a Zanzibar ha ridotto dal 70% nel 1948 al 5% nel 1964 l’incidenza della malaria, che è risalita al 50-60% dopo la sua messa al bando. In Sudafrica, da quando si è smesso di usare il DDT l’incidenza della malaria (statistica degli anni ‘90) è aumentata del 1.000%, ma è invece diminuita dell’80% nella provincia di KwaZulu Natal, la sola dove si è continuato a farne uso. A mo’ di conclusione di questi dati statistici si può citare l’US Agency for International Development, che ha dichiarato che la malaria sarebbe stata eliminata al 98% se si fosse continuato a usare il DDT. E si può chiudere con la dichiarazione ufficiale, nel 1971, di un ente del prestigio della National Academy of Sciences degli Stati Uniti secondo la quale “si stima che, in poco più di due decenni, il DDT abbia evitato 500 milioni di morti per malaria”. Ma c’è anche un curioso paradosso: dal 1960 al 1974 la WHO ha esaminato circa 2.000 composti per un possibile uso come insetticidi per le zanzare della malaria, e ne ha promossi solo 30 per prove sul campo. Nessuno di essi era più innocuo del DDT, e anzi alcuni, vedi il malathion o il carbaryl erano decisamente tossici (oltre che più costosi del DDT), eppure il loro uso venne egualmente approvato.

Fin qui, quindi, i fatti. Ma allora, come è potuta esplodere la rivolta contro il DDT? Come mai le sue sensazionali doti di killer della zanzara anofele sono divenute, per così dire, “spendibili”? Bè, non vorrei sembrare frivolo parlando di una cosa così seria, ma la colpa è stata delle aquile. Pare una battuta? Invece no, sono state proprio le aquile. Perché il DDT, che non è biodegradabile, fu trovato nei tessuti di molti animali, aquile incluse: da qualche parte ho letto che lo si è trovato persino nelle foche dell’artico… Gli studi sui suoi effetti dannosi fiorirono, e al DDT ne furono attribuiti molti: fu persino accusato, con esperimenti su topi (esposti peraltro a dosi colossali) di favorire l’insorgenza dei tumori. Ma la cosa che chiuse il cerchio negativo fu appunto l’osservazione che, in parallelo con l’espansione dell’uso generale del DDT, la popolazione delle aquile (e di altri uccelli rapaci) era significativamente diminuita: del quale sgradevolissimo fenomeno, sotto la spinta del movimento ambientalista degli USA, il DDT fu universalmente ritenuto responsabile… Un aiuto poderosissimo alla campagna fu data da una biologa Americana, Rachel Carson, che nel 1962 pubblicò un libro che divenne immediatamente un best seller (Silent Spring), in cui l’autrice appunto accusava apertamente il DDT di essere la causa del declino della popolazione delle aquile. Ora, io non vorrei proprio buttare in ridicolo una cosa così importante (anzi, per usare le parole di Lehn, così tragica). Ma proprio così sono andate le cose: e non serve ora dire che molti degli studi anti DDT erano a dir poco approssimativi. Non serve dire che le aquile erano in grave declino già da decenni per ragioni che nulla avevano a che fare con il DDT, e che andavano dalla caccia abusiva alla perdita di habitat. Non serve ricordare che nessun essere umano è mai morto per cause direttamente legate al DDT, e che i soli casi di avvelenamento descritti erano dovuti all’ingestione accidentale, o a scopo suicida, di grandi quantità di DDT (e anche in questi pochi casi pare probabile che i danni siano stati causati dal cherosene usato come solvente). Né serve citare le parole di Norman Moore (lo scienziato che per primo osservò il declino della popolazione delle aquile): il quale ha affermato che i benefici del DDT sorpassavano di gran lunga i danni, ai quali pure egli credeva, dichiarando che, se fosse vissuto in una capanna Africana avrebbe preferito avere nei suoi tessuti tracce di DDT piuttosto che morire di malaria… Ma tant’è, la valanga si era oramai formata e la sorte del DDT era segnata. Fu quindi con grande giubilo che la sua messa al bando, promossa con grande vigore a livello legislativo da un parlamentare Americano che si chiamava Ruckelshaus, fu salutata dagli ancora giovani movimenti ambientalisti, prima negli USA, e poi in tutto il mondo. Era il 1972, e da quel giorno, (di nuovo, statistiche ufficiali) 100 milioni di esseri umani sono morti di malaria...

Bene, ora che ho scritto tutto questo, vediamo di passare dai fatti alle opinioni. Dico quindi la mia, senza usare toni da crociata, e senza forzare l’interpretazione della storia: è d’altronde la regola che tutti noi ci siamo dati a Scienza in rete. Ma quanti leggono quello che scrivo avranno capito che ho in gran dispetto il pensiero omologato, il seguire le mode: in una parola, il conformismo. Così dico chiaro e tondo (come del resto aveva detto nel suo pezzo Lehn) che nella vicenda DDT il movimento ambientalista ha sbagliato clamorosamente. Penso che alla base della crociata anti DDT vi sia stata una genuina, e condivisibile, preoccupazione per le sorti del pianeta, ma penso anche che vi sia stata l’assoluta incapacità di vedere le cose nella loro giusta prospettiva. Di mettere cioè sui piatti della bilancia, da una parte le povere foche dell’artico e le ancora più povere aquile declinanti, e dall’altra i milioni di esseri umani, poverissimi anch’essi però, destinati alla scomparsa. D’altronde quelli erano gli anni del Club di Roma, delle statistiche sui limiti della crescita, di quella che il mio amico Bruno Zanettin definisce Eco-filosofia. Gli anni in cui, appunto, si sviluppava il pensiero omologato anti sviluppo: quello della nostalgia dei sandali, come ho scritto qualche tempo fa nel Blog. E non voglio proprio pensare che vi sia stato, oltre all’insipienza, qualcosa di molto meno accettabile, e cioè l’idea che, in fondo, siamo in troppi, e quindi, qualche milione in meno, tutto sommato… c’è chi lo ha detto, c’è chi lo ha detto. Ma vi è anche un curioso paradosso, le cui basi logiche proprio mi sfuggono: premetto che sono assolutamente convinto che sia colpevole attentare all’ambiente e alla salute degli uomini anche per semplice noncuranza: giorni fa mio figlio mi diceva quanto lo irritasse vedere gente seduta in macchina a leggere il giornale con il motore acceso: penso avesse proprio ragione. E naturalmente ritengo sia qualitativamente molto più grave farlo per motivi commerciali, di profitto: qui siamo, secondo me, nell’ambito del criminale. Però, dicevo, mi sfugge la logica in base alla quale si sono levate – giustamente – tante veementi proteste per episodi come quello di Schweizerhalle, di Seveso, o di Bophal, e nessuna per i morti di malaria. Ma ci rendiamo conto che, a fronte dei 100 milioni di morti provocati dalla messa al bando del DDT – più di quanti ne ha causati l’intero secondo conflitto mondiale – quelli di Seveso (nessuno), e persino quelli di Bophal, non sono che una goccia nell’Oceano? Qualcosa, qui, per me non quadra, e non vorrei proprio pensare che alla base di tutto vi sia un qualcosa di ideologico che impedisce di vedere le cose senza la deformazione della lente conformista. Ma se alla fine, gratta gratta, ci fosse (anche) questo? Un noto politico Italiano diceva che a pensare male si fa peccato, ma di solito ci si prende. Hai visto mai…


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

I numeri dei grandi carnivori in Europa

lupo

Il trend dei grandi carnivori in Europa è positivo: negli ultimi sei anni la maggior parte delle popolazioni di lupi, orsi, linci, sciacalli e ghiottoni è stabile o in aumento. Un dato positivo per la conservazione di questi carismatici animali, un tempo a rischio di estinzione, e al contempo un ritorno controverso che apre spesso accesi dibattiti. Tra questi il declassamento del livello di protezione del lupo nella Convenzione di Berna.

Foto di Pixabay da Pexels

In Europa vivono sei specie di grandi carnivori: orso, lupo, lince eurasiatica, lince iberica, ghiottone e sciacallo dorato.