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La più grande struttura dell'universo

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Finora agli astronomi non era mai capitato di imbattersi in una struttura così gigantesca: un gruppo di una settantina di quasar che si estende per quattro miliardi di anni luce. L'ha scovato il team di Roger Clowes (University of Central Lancashire) spulciando tra i dati della Sloan Digital Sky Survey (SDSS), la più completa mappa 3D dell'Universo a nostra disposizione. Questa recentissima scoperta, annunciata con uno studio pubblicato su MNRAS, non è però destinata solamente a finire nei manuali che registrano i record più o meno strani, ma rischia di mettere seriamente i bastoni tra le ruote alla moderna cosmologia.

Fin dagli anni Ottanta si sapeva che i quasar - i turbolenti ed energetici nuclei delle primordiali galassie - mostrano la tendenza a dare origine a veri e propri raggruppamenti. Dopo tutto, visto che anche le galassie osservate in epoca più recente mostrano un'identica tendenza, una simile scoperta non era poi così sconvolgente. Una decina d'anni più tardi, però, grazie al lavoro di un team di astronomi del quale faceva parte anche lo stesso Clowes, fece capolino dalle profondità del cosmo uno di questi gruppi di quasar composto da 34 elementi che si estendeva nello spazio per circa un miliardo di anni luce. Un valore talmente esagerato che si pensò bene di coniare appositamente il termine di Large Quasar Group (LQG). Giusto per avere un'idea delle distanze, se guardiamo a due passi da casa e consideriamo il gruppo di galassie del quale fanno parte la Via Lattea, la galassia di Andromeda, le Nubi di Magellano e un'altra settantina di galassie (il cosiddetto Gruppo Locale), sappiamo che si estende per circa 10 milioni di anni luce. L'ammasso della Vergine, un raggruppamento di oltre 3000 galassie verso il quale è irresistibilmente attratto il Gruppo Locale, dista poco più di 50 milioni di anni luce. Insomma, se per gruppi di quasar più ristretti il parallelo con gli ammassi di galassie poteva anche reggere, spiegare l'esistenza di una simile gigantesca struttura cominciava a dare qualche grattacapo ai cosmologi.

Il guaio è che la struttura appena scoperta da Clowes, per la quale si è dovuto coniare il termine di Huge-LQG, è ancora più gigantesca. Infatti, mentre le dimensioni tipiche di quel gruppo di quasar si aggirano intorno ai 500 Megaparsec (vale a dire 1,6 miliardi di anni luce), la sua struttura allungata fa sì che le due estremità siano separate da 1200 Megaparsec (circa 4 miliardi di anni luce). “Siamo abbastanza sicuri che si tratta della struttura più grande mai osservata nell'Universo” - ha commentato Clowes - ma anche che lancia una autentica sfida al Principio Cosmologico”.

Quando Albert Einstein e altri fisici, intorno agli anni Venti del secolo scorso, cominciarono a studiare come descrivere l'Universo, pensarono bene di partire da un ragionevole asserto: su scala opportunamente grande, l'Universo si presenta omogeneo e isotropo. Era il modo più semplice per dire che non ci si aspettavano sorprese nella struttura del Cosmo e che, da qualunque parte lo si osservasse, il suo aspetto sarebbe sempre stato identico. Questa assunzione - impossibile comunque da dimostrare - è tuttora l'irrinunciabile fondamento della cosmologia. Scoprire che, da qualche parte nell'Universo, possa esistere una struttura così grande mette però in serio pericolo l'idea di omogeneità. Tanto più che, stando a complesse valutazioni cosmologiche, è stato anche quantificato a quanto potrebbero al massimo ammontare le dimensioni di eventuali super-strutture nell'Universo, trovando come valore estremo 370 Megaparsec (circa 1,2 miliardi di anni luce). Una bella gatta da pelare, insomma, quei 4 miliardi dell'Huge-LQG.

C'è da fare, però, un'ulteriore considerazione. Negli ultimi anni hanno fatto capolino accurati studi - basti citare per esempio quelli di Luciano Pietronero e Francesco Sylos-Labini - nei quali si analizza la distribuzione della materia nell'Universo utilizzando una geometria frattale. Alla base di questa visione del Cosmo vi è l'idea che l'Universo possa essere composto da strutture che si ripetono in modo ricorsivo su scala via via sempre più grande. Non esisterebbe, cioè, un limite oltre il quale tale ricorsività cesserebbe, lasciando il posto all'omogeneità prevista dal Principio Cosmologico.

Ovvio come un simile quadro sia in aperto contrasto con le basi della cosmologia ufficiale. Appena qualche mese fa, però, veniva pubblicata un'analisi della distribuzione di oltre 200 mila galassie presenti nella survey WiggleZ che sembrava confermare in modo definitivo come la visione frattale avesse un limite e, su larga scala, l'ultima parola spettasse all’omogeneità del cosmo. Secondo Morag Scrimgeour (ICRAR) e collaboratori, autori dello studio pubblicato su MNRAS, questa “larga scala” corrisponderebbe a 350 milioni di anni luce. Oltre questo confine, dunque, dovrebbe finalmente sparire ogni possibilità di individuare quel rincorrersi - a mo' di matrioska - di quelle strutture e quei vuoti sempre più grandi che caratterizzano la visione frattale.

Peccato che i 4 miliardi di estensione dell'Huge-LQG appena scoperto sembrino quasi farsi beffa del limite così faticosamente determinato dalla Scrimgeour.


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