Quando le cose si complicano, la voglia di semplificarle d’autorità è molto forte. Il calo delle coperture vaccinali denunciato dall’Istituto superiore di sanità è preoccupante per la salute pubblica, ma la tentazione di affrontarlo negando l’ingresso a scuola a chi non è vaccinato penalizzerebbe due volte gli stessi bambini a cui già i genitori, per cattiva informazione, negano la protezione contro malattie che sono ancora una reale minaccia.
Anche l’idea di
prendersela con i medici che si dichiarano pubblicamente contrari alle
vaccinazioni obbligatorie o consigliate è comprensibile, ma rischia di
trasformarsi in un boomerang.
L’autorità sanitaria può e deve chiedere conto di
tali opinioni, pretendendo la disponibilità a discutere sulla base delle prove
scientifiche argomenti come: la
sicurezza dei vaccini, superiore a quella di tutti gli altri farmaci in commercio;
l’assenza di un “sovraccarico” imposto dai vaccini alle difese dell’organismo; l’inesistenza di un legame tra vaccinazioni e autismo (idea frutto
di una frode conclamata e riconosciuta) e così via. Se alcuni medici,
nonostante tutto, sono poco aggiornati e male informati, li si può obbligare a
seguire buoni corsi di formazione, ma i provvedimenti disciplinari avrebbero
invece l’effetto di far sommergere le idee fasulle, consolidandole nella
diffidenza verso l’autorità.
Piuttosto bisognerebbe capire
come mai abbiano tanto successo convinzioni anti scientifiche, come l’idea che
i vaccini siano dannosi o che si possa fare a meno della ricerca con gli
animali.
Gli esperti di ASSET, progetto europeo che mira a coinvolgere l’intera
società civile nella preparazione alle epidemie e pandemie,
ricordano che alla radice del rifiuto ci sono meccanismi emotivi e cognitivi
della mente umana, che per esempio sopravvalutano i rischi artificiali (da
interventi, come i vaccini) rispetto a quelli naturali (da virus o batteri), e
propongono forme di comunicazione innovative che ne tengano conto.
Resta da spiegare il
paradosso di una società della conoscenza, per la quale l’accesso alle
informazioni è libero e disponibile come non mai nella storia, ma che diventa
anche sempre più vulnerabile alle idee balzane e alle farneticazioni
complottiste.
Nel campo della medicina, una
prima ragione è sicuramente legata alla crisi di fiducia verso le autorità
scientifiche e sanitarie, provocata dalla sempre più stretta commistione tra
interessi commerciali e scopi di salute. I vaccini sono una straordinaria
conquista per migliorare la condizione dell’uomo sulla Terra – basti pensare
all’eradicazione del vaiolo e a quella che si sta per raggiungere della
poliomielite --, ma sono orami indubbiamente anche un grande business. Non era
così ai tempi di Albert Sabin, che rinunciò a brevettare il suo rimedio contro
la polio.
Un discorso ancora più
generale riguarda i nuovi media, in particolare i social, che stanno modificando
in profondità quella che si chiamava la “sfera” dell’opinione pubblica. Più che
in una singola sfera oggi l’opinione che viaggia su Facebook e simili è
frammentata in un arcipelago di “bolle”, ciascuna così omogena al suo interno
da espellere ogni argomento difforme senza neanche discuterlo. Le bolle non
possono che crescere, senza mai entrare realmente in contatto le une con le
altre. E’ un fenomeno nuovo, che mette in discussione la possibilità di una
democrazia realmente fondata sul vaglio di proposte concorrenti, e che dovrebbe
urgentemente essere approfondito dai professionisti della cosiddetta
comunicazione di massa. La copertura vaccinale potrebbe essere la prima vittima
della scomparsa della “massa” e del declino dell’opinione pubblica unitaria?
Articolo pubblicato il 23 ottobre 2015 su Il Fatto Quotidiano