fbpx Imre Lakatos e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza | Scienza in rete

Imre Lakatos e la demarcazione tra scienza e pseudoscienza

Primary tabs

Tempo di lettura: 14 mins

Imre Lakatos nel 1961. Immagine: London School of Economics.

Quella che segue è una traduzione di uno degli ultimi interventi pubblici tenuto nel BBC Radio Talk il 30 giugno del 1973 dal filosofo della scienza Imre Lakatos (1922-1974). Il trascritto fu pubblicato e revisionato da Godfrey Vesey nel 1974 e come introduzione del libro “The Methodology of Scientific Research Programmes: Philosophical Papers Volume 1” venne dato alle stampe dall’università di Cambridge nel 1978. Questo discorso è un brillante esempio di concisione e chiarezza espositiva sul problema filosofico della demarcazione tra scienza e pseudoscienza, tema quanto mai fondamentale e di scottante attualità, ancora fonte di un vivo dibattito. Il filosofo offre una panoramica accessibile anche ai meno esperti attraversando i principali snodi storici del dibattito per poi sintetizzare il suo originale contributo e rimarcare l’importanza pratica per la società di conoscere i limiti della propria capacità di demarcazione. La traduzione è stata effettuata sulla base del trascritto in lingua inglese fornito sul sito ufficiale della London School of Economics and Political Science, integrandolo con le registrazioni disponibile su Youtube e includendo in parentesi quadre le annotazioni che Lakatos posteriormente aggiunse in vista della pubblicazione. Si è cercato di discostarsi il meno possibile dalle parole usate, per fornirne una traduzione che restituisse quanto più possibile l’esatto stile e registro del filosofo.

"Science and Pseudoscience" BBC Radio Talk

Il rispetto dell’uomo nei confronti della scienza è una delle sue caratteristiche più peculiari. In latino, “conoscenza” è “scientia”, e “scienza” è divenuto il nome della più rispettabile forma di conoscenza. Ma cosa distingue la conoscenza dalla superstizione, dall’ideologia o dalla pseudoscienza? La Chiesa cattolica scomunicava i copernicani, il Partito comunista perseguitava i mendeliani, sulla base del fatto che le loro dottrine fossero pseudoscientifiche. E dunque il problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza non è semplicemente una questione di filosofia da salotto: è di vitale importanza in ambito sociale e politico. 
Diversi filosofi hanno tentato di risolvere il problema della demarcazione in questi termini: una affermazione costituisce conoscenza, se un sufficiente numero di persone vi credono con sufficiente fermezza. Ma la storia del pensiero ci insegna che molte persone erano assolutamente convinte di credenze assurde. Se la fermezza delle credenze fosse il tratto distintivo della conoscenza, dovremmo annoverare alcune storie di demoni, angeli, diavoli, paradisi ed inferni, tra le conoscenze. Gli scienziati invece, sono molto scettici anche delle migliori teorie. Quella di Newton è la più potente teoria che la scienza abbia prodotto, eppure egli stesso non credette mai che i corpi si attraessero tra di loro a distanza! Quindi nessun grado di attaccamento ad una credenza la rende conoscenza. In effetti il tratto distintivo dell’atteggiamento scientifico comprende un certo scetticismo pur nelle teorie più accettate. L’attaccamento cieco ad una teoria non è una virtù, ma un crimine intellettuale.

Così una affermazione può essere pseudoscientifica pur se estremamente plausibile e tutti vi credono, e può essere scientificamente rilevante anche se poco plausibile e nessuno vi crede. Una teoria può essere di enorme rilevanza scientifica sia che nessuno la comprenda, sia che nessuno vi creda.

Il valore conoscitivo di una teoria non ha nulla a che fare con l’influenza psicologica che essa esercita sulle menti delle persone. Fiducia, attaccamento e comprensione sono stati della mente umana, ma l’oggettivo valore scientifico di una teoria è indipendente dalla mente umana che la crea o la comprende. Il suo valore scientifico dipende solamente dal supporto oggettivo che le sue congetture trovano nei fatti. Come disse David Hume:

“Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o metafisica scolastica, domandiamoci: Contiene qualche ragionamento astratto sulla quantità o sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale su questioni di fatto o di esistenza? No. E allora, gettiamolo nel fuoco, perché non contiene che sofisticherie e inganni.” [David Hume, Ricerca sull’intelletto umano, sezione XII parte III, Laterza]

Ma cos’è dunque esattamente il “ragionamento sperimentale”? [Se guardiamo alla vasta letteratura del diciassettesimo secolo sulla stregoneria, è piena di attente osservazioni e testimonianze giurate, anche di esperimenti! Joseph Glanvill, filosofo della Royal Society degli inizi, considerava la stregoneria come il paradigma del ragionamento sperimentale. Dobbiamo quindi definire “ragionamento sperimentale” prima di iniziare a bruciare libri sulle orme di Hume.]

Nel ragionamento scientifico, le teorie vengono confrontate con i fatti; e uno dei presupposti centrali nel ragionamento scientifico è che le teorie debbano essere sostenute dai fatti. Ma esattamente come possono i fatti sostenere la teoria?

Sono state proposte molte diverse risposte. Lo stesso Newton pensava di aver dimostrato le sue leggi attraverso i fatti. [Era fiero di non aver sollevato mere ipotesi: pubblicò solo teorie provate dai fatti, in particolare,] affermava di aver dedotto le proprie leggi dai “fenomeni” che Keplero gli aveva fornito. Ma il suo vanto era privo di senso, dal momento che stando a Keplero i pianeti si muovevano in ellissi, ma stando allo stesso Newton essi orbitavano ellitticamente solo in assenza di perturbazioni che i loro moti reciproci causavano. Eppure queste perturbazioni si verificano, proprio per questo Newton elaborò una teoria dalla quale consegue che nessun pianeta orbiti effettivamente in una ellisse.

Oggi si può facilmente dimostrare che non c’è una valida derivazione di una legge di natura da un qualsiasi numero finito di fatti: eppure continuiamo a leggere di teorie scientifiche “provate dai fatti”. Come mai sembra esserci questa ostinata resistenza alla logica più elementare?

Una possibile spiegazione c’è. Gli scienziati vogliono rendere le loro teorie “rispettabili”, degne del titolo di “scienza”, ovvero conoscenza genuina. Ora, la conoscenza più rilevante nel diciassettesimo secolo, quando nacque la scienza, riguardava Dio, il Diavolo, il Paradiso e l’Inferno. Se qualcuno sbagliava riguardo le congetture che pertinevano all’ambito divino, le conseguenze dell’errore erano nientedimeno che l’eterna dannazione. La conoscenza teologica non può essere fallibile: è fuor di ogni dubbio. Nell’Illuminismo si pensò che noi fossimo fallibili e ignoranti riguardo le questioni teologiche. Non vi è una teologia scientifica e, pertanto, non vi è alcuna vera conoscenza teologica. La conoscenza può essere ottenuta solo riguardo la natura, ma questo nuovo tipo di conoscenza andava giudicata secondo standard mutuati direttamente dalla teologia: doveva essere dimostrata oltre ogni dubbio. La scienza doveva raggiungere quella certezza che alla teologia mancava. Uno scienziato degno di tal nome non poteva semplicemente supporre: doveva provare attraverso i fatti ogni affermazione da lui proposta. Ogni teoria non suffragata da fatti veniva considerata, dalla comunità scientifica, come disdicevole pseudoscienza, eresia.

Solo la caduta della teoria newtoniana in quel secolo, fece realizzare agli scienziati che i loro standard di rigore e onestà intellettuali erano utopistici. [Prima di Einstein gran parte degli scienziati riteneva che Newton avesse decifrato le leggi ultime di Dio provandole attraverso fatti. Ampère, nei primi anni del diciannovesimo secolo, sentì che il suo libro di speculazioni sull’elettromagnetismo dovesse intitolarsi: “Teoria matematica dei fenomeni elettrodinamici, dedotti unicamente per via sperimentale”. In realtà alla fine del testo confessa con disinvoltura che alcuni degli esperimenti non erano stati effettuati e che alcuni degli strumenti necessari nemmeno costruiti!] Se tutte le teorie scientifiche sono ugualmente indimostrabili, cosa distingue la conoscenza dall’ignoranza e la scienza dalla pseudoscienza? 

Una risposta a questa domanda è stata proposta nel ventesimo secolo dagli “induttivisti”. La logica induttiva tentò di definire le probabilità di varie teorie basandole sulla totalità delle evidenze sperimentali: se la probabilità matematica di una teoria era alta, allora si qualificava come scientifica. 

Se invece era bassa o addirittura zero, non era scientifica. Così il marchio proprio della scienza sarebbe di non affermare nulla che non sia almeno altamente probabile. [Il probabilismo ha una caratteristica interessante: invece di proporre una semplice dicotomia “bianco o nero” tra scienza e pseudoscienza, fornisce una gradazione non discreta che si estenda dalle teorie peggiori a basse probabilità alle teorie migliori ad alte probabilità.]
Ma nel 1934, Karl Popper, uno dei filosofi più influenti del nostro tempo, ha sostenuto che la probabilità matematica di tutte le teorie, scientifiche o pseudoscientifiche, data qualsiasi numero di evidenze è zero. Se Popper ha ragione, le teorie scientifiche non solo sono ugualmente indimostrabili ma anche ugualmente improbabili!

Si rendeva necessario un nuovo criterio di demarcazione e Popper ne propose uno piuttosto sorprendente. [Una teoria può essere scientifica anche se non c'è uno straccio di prova a suo favore, e può essere pseudoscientifica anche se tutte le prove disponibili sono a suo favore. Cioè, il carattere scientifico o non scientifico di una teoria può essere determinato indipendentemente dai fatti.] Una teoria è scientifica se si è pronti a specificare in anticipo un esperimento cruciale (o osservazione) che può falsificarla, ed è pseudoscientifica se si rifiuta di specificare un simile “potenziale falsificatore”. Ma se è così, non distinguiamo le teorie scientifiche da quelle pseudoscientifiche, ma piuttosto i metodi scientifici da quelli non scientifici. [Il marxismo, per un popperiano, è scientifico se i marxisti sono pronti a specificare fatti che, se osservati, li fanno rinunciare al marxismo. Se si rifiutano di farlo, il marxismo diventa una pseudoscienza. È sempre interessante chiedere a un marxista, quale evento concepibile gli farebbe abbandonare il suo marxismo. Se è devoto al marxismo, egli è propenso a ritenere immorale lo specificare qualcosa che lo falsifichi.] Così una proposizione può fossilizzarsi in dogma pseudo-scientifico o diventare vera conoscenza, a seconda che siamo disposti a dichiarare condizioni osservabili che possano confutarla.

Il criterio di falsificabilità di Popper è quindi la soluzione al problema della demarcazione della scienza dalla pseudoscienza? No. Poiché il criterio di Popper ignora la notevole tenacia delle teorie scientifiche. Gli scienziati hanno la pelle dura. Non abbandonano una teoria [semplicemente] perché i fatti la contraddicono. Normalmente o inventano qualche ipotesi di supporto per spiegare quella che definiscono una anomalia e se non riescono a spiegare l'anomalia, la ignorano, reindirizzando la loro attenzione su altri problemi. Si noti che gli scienziati parlano di anomalie, [o casi ostinati] e non confutazioni. La storia della scienza, naturalmente, è piena di episodi di esperimenti cruciali che hanno effettivamente distrutto delle teorie. Ma tutti questi casi si sono verificati molto tempo dopo che la teoria era stata abbandonata. [Se Popper avesse mai chiesto a uno scienziato newtoniano in quali condizioni sperimentali avrebbe abbandonato la teoria newtoniana, alcuni scienziati newtoniani sarebbero rimasti perplessi allo stesso modo di certi marxisti.]

Qual è allora il segno distintivo della scienza? Dobbiamo arrenderci e accettare che una rivoluzione scientifica è solo un irrazionale cambio di fazione, che è una conversione religiosa? Thomas Kuhn, un illustre filosofo americano della scienza, arrivò a questa conclusione dopo aver scoperto l'ingenuità del falsificazionismo di Popper. 

Ma se Kuhn ha ragione, allora non c'è una demarcazione esplicita tra scienza e pseudoscienza, né distinzione tra progresso scientifico e decadimento intellettuale, non c'è uno standard oggettivo di correttezza. Ma quali criteri riesce ad offrire per distinguere il progresso scientifico dalla degenerazione intellettuale?

In questi ultimi anni ho sostenuto una metodologia per i programmi di ricerca scientifici, che risolve alcuni dei problemi che sia Popper che Kuhn non sono riusciti a risolvere.

In primo luogo, sostengo che l'unità descrittiva propria delle grandi conquiste scientifiche non è l’ipotesi isolata, ma piuttosto il programma di ricerca. [La scienza non è semplicemente un procedimento di tentativi ed errori, una serie di congetture e confutazioni.] “Tutti i cigni sono bianchi” può essere falsificato dalla scoperta di un solo cigno nero. Ma tale banale “tentativo ed errore” non può classificarsi come “scienza”. La scienza newtoniana, per esempio, non è semplicemente un insieme di quattro congetture -le tre leggi della meccanica e la legge di gravitazione. Queste quattro leggi costituiscono solo il “nucleo” del programma newtoniano. Ma questo nucleo è tenacemente protetto dalla confutazione da una vasta “cintura protettiva” di ipotesi ausiliarie. E, cosa ancora più importante, il programma di ricerca ha anche un'euristica, ovvero un potente apparato per risolvere i problemi. Questo, con l'aiuto di sofisticate tecniche matematiche, digerisce le anomalie e le trasforma talvolta anche in prove positive. Per esempio, se un pianeta non si muove esattamente come previsto, lo scienziato newtoniano controlla le sue congetture riguardanti la rifrazione atmosferica, la propagazione della luce nelle tempeste magnetiche, e centinaia di altre congetture che fanno parte del programma. Potrebbe anche postulare l’esistenza di un pianeta finora sconosciuto e calcolare la sua posizione, massa e velocità, tutto per spiegare la sua anomalia.

La teoria della gravitazione di Newton, la teoria della relatività di Einstein, la meccanica quantistica, il marxismo, il freudismo, sono tutti programmi di ricerca, ognuno con un nucleo caratteristico difeso ostinatamente, ciascuno con la sua cintura protettiva più flessibile e ciascuno con il suo elaborato “apparato” risolvi-problemi. Ognuno di essi, in qualsiasi fase del suo sviluppo, possiede problemi irrisolti e anomalie indigeste. Tutte le teorie, in questo senso, nascono confutate e muoiono confutate. Ma sono ugualmente valide? Finora ho descritto come sono i programmi di ricerca. Ma come si può distinguere un programma scientifico o progressivo da uno pseudoscientifico o degenerativo?

Contrariamente a Popper, la differenza non può essere che alcuni rimangano irrefutati, mentre altri sono già stati confutati. [Quando Newton pubblicò i suoi Principia, era risaputo che non potesse spiegare correttamente nemmeno il moto della luna; difatti, il moto lunare confutava Newton.] Kaufmann, un fisico illustre, refutò la teoria della relatività di Einstein nello stesso anno in cui è venne pubblicata. Ma tutti i programmi di ricerca che ammiro hanno una caratteristica in comune. Tutti predicono fatti nuovi, fatti che erano impensati o che erano contraddetti da programmi precedenti o concorrenti. Nel 1686, quando Newton pubblicò la sua teoria della gravitazione, vi erano, tra l’altro, due teorie concorrenti riguardo le comete. La più popolare considerava le comete come un segnale di un Dio arrabbiato che avverte che colpirà e porterà il disastro. Una teoria poco conosciuta di Keplero sosteneva che le comete fossero corpi celesti che si muovevano in linee rette. Ora, secondo la teoria newtoniana, alcuni di loro si muovevano in iperboli o parabole per non tornare mai più; altre si muovevano in ellissi ordinarie. Halley, lavorando nel programma di Newton, calcolò sulla base dell'osservazione di un breve tratto del percorso di una cometa, che sarebbe ritornata dopo settantadue anni; calcolò al minuto il momento in cui sarebbe stato rivista in un punto ben definito del cielo. Questo era incredibile. Ma settantadue anni dopo, [quando sia Newton che Halley erano morti da tempo,] la cometa di Halley tornò esattamente come aveva previsto Halley. Allo stesso modo, gli scienziati newtoniani predissero l'esistenza e il moto esatto di piccoli pianeti che non erano mai stati osservati prima. [Consideriamo il programma di Einstein, questo fece la sorprendente previsione che misurando la distanza tra due stelle di notte e di giorno (quando sono visibili durante un'eclissi di sole), le due misure saranno diverse. Nessuno aveva mai pensato di fare una simile osservazione prima del programma di Einstein] Così in un programma di ricerca progressivo, una teoria porta alla scoperta di fatti nuovi e precedentemente sconosciuti.

Tuttavia, nei programmi “degeneranti”, le teorie sono fabbricate solo per accogliere fatti noti. Per esempio, il marxismo ha mai predetto un fatto sbalorditivo con successo? Mai! Ha piuttosto formulato alcune famose predizioni errate. Predisse l'assoluto impoverimento della classe operaia. Predisse che la prima rivoluzione socialista avrebbe avuto luogo nella società più sviluppata a livello industriale. Predisse che le società socialiste sarebbero state libere da rivoluzioni. 

Ha previsto che non ci sarebbe stato alcun conflitto di interessi tra paesi socialisti. Così le prime predizioni del marxismo furono audaci e sbalorditive, ma fallirono. Il marxismo ha “spiegato” tutti i suoi fallimenti. Spiegò l'innalzamento del tenore di vita della classe operaia elaborando una teoria dell'imperialismo; spiegò anche perché la prima rivoluzione socialista avvenne nella Russia industrialmente arretrata. Spiegò Berlino nel 1953, Budapest nel 1956, Praga nel 1968. Spiegò il conflitto russo-cinese. Ma le loro ipotesi ausiliarie sono state tutte preparate dopo l'evento, per proteggere la teoria marxista dai fatti. Il programma newtoniano ha portato a fatti nuovi; il programma marxista è rimasto indietro rispetto ai fatti ed ha dovuto invece corrergli velocemente dietro per raggiungerli. 

Per riassumere: [Il segno distintivo del progresso empirico non sono le banali verifiche: Popper ha ragione che ce ne sono a milioni. Non è un successo per la teoria newtoniana che le pietre, quando cadono, cadano verso la terra, non conta quanto spesso ciò si ripeta. Ma,] le cosiddette 'falsificazioni' non sono il segno distintivo del fallimento empirico, come ha predicato Popper, poiché tutti i programmi crescono in un oceano permanente di anomalie. Ciò che conta veramente sono le previsioni drammatiche, inattese, sbalorditive: anche poche sono sufficienti per sconvolgere l'equilibrio; laddove la teoria è in ritardo rispetto ai fatti, ci troviamo di fronte a programmi di ricerca degeneranti e scarsi.

Ora, come nascono le rivoluzioni scientifiche? Se abbiamo due programmi di ricerca rivali, e uno sta progredendo mentre l'altro sta degenerando, gli scienziati tendono ad aderire al programma che progredisce. Questa è la logica delle rivoluzioni scientifiche. Ma mentre è una questione di onestà intellettuale mantenere pubblici i risultati, non è disonesto aderire a un programma in degenerazione per tentare di volgerlo verso il progresso. Contrariamente a quanto pensato da Popper, la metodologia dei programmi di ricerca scientifica non offre una immediata razionalità. 

Bisogna trattare con indulgenza i programmi emergenti: questi possono richiedere anche decenni prima di spiccare il volo e portare a progressi in ambito empirico. La critica attraverso la confutazione non costituisce, come potrebbe per Popper, una rapida demolizione della teoria. Critiche rilevanti sono sempre costruttive: non c’è confutazione senza una teoria migliore. Kuhn si sbaglia nel pensare che le rivoluzioni scientifiche siano cambiamenti improvvisi e irrazionali di prospettiva. [La storia della scienza smentisce sia Popper che Kuhn:] Ad un attento esame sia gli esperimenti cruciali di Popper che le rivoluzioni kuhniane si rivelano miti: ciò che normalmente accade è che i programmi di ricerca fruttuosi sostituiscono quelli degeneranti. Il problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza ha pesanti implicazioni anche per l'istituzionalizzazione della critica. La teoria di Copernico fu bandita dalla Chiesa cattolica nel 1616 perché si riteneva fosse pseudoscientifica. È stata tolta dall'indice nel 1820 perché a quel tempo la Chiesa ritenne che i fatti l’avessero confermata e pertanto divenne “scientifica”. Il Comitato centrale del partito comunista sovietico nel 1949 dichiarò la genetica mendeliana pseudoscientifica e fece uccidere i suoi sostenitori, come l'accademico Vavilov, nei campi di concentramento; dopo l'omicidio di Vavilov la genetica mendeliana venne riabilitata; ma il diritto del partito di decidere ciò che fosse scienza pubblicabile e ciò che fosse invece pseudoscienza da punire, venne mantenuto. Ma anche il nuovo “establishment” liberale occidentale esercita il diritto di negazione della libertà d’espressione su ciò che considera pseudoscienza, come abbiamo potuto vedere nel dibattito su razza e intelligenza. 

Tutte questi giudizi erano inevitabilmente basati su una qualche forma di criterio di demarcazione. Ed è per questo che il problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza non è uno pseudo-problema dei filosofi da salotto: ha gravi implicazioni etiche e politiche.

Imre Lakatos, tradotto da Nicolò Romano

Audio originale "Science and Pseudoscience", BBC Radio Talk, Imre Lakatos, 1973.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Intelligenza artificiale ed educazione: la ricerca di un incontro

Formazione ed educazione devono oggi fare i conti con l'IA, soprattutto con le intelligenze artificiali generative, algoritmi in grado di creare autonomamente testi, immagini e suoni, le cui implicazioni per la didattica sono immense. Ne parliamo con Paolo Bonafede, ricercatore in filosofia dell’educazione presso l’Università di Trento.

Crediti immagine: Kenny Eliason/Unsplash

Se ne parla forse troppo poco, almeno rispetto ad altri ambiti applicativi dell’intelligenza artificiale. Eppure, quello del rapporto fra AI ed educazione è forse il tema più trasversale all’intera società: non solo nell’apprendimento scolastico ma in ogni ambito, la formazione delle persone deve fare i conti con le possibilità aperte dall’IA.