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La "green economy" ha finalmente un interprete

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La questione della "green economy" sembra aver trovato finalmente quell'interprete senza il quale le questioni complicatissime sottese sembravano se non prevalere, certamente condizionare fortemente qualunque strategia d'intervento. Queste strategie per essere efficaci dovevano, e devono essere, se non globali almeno molto estese sul piano geopolitico. La funzione dei movimenti ambientali e cioè quella di rendere popolare le questioni, drammatizzarne i risvolti e spesso anche costruire leggende a fin di bene, aveva da tempo raggiunto i suoi limiti. La dimensione scientifica aveva preso il soppravvento e l'oggetto del contendere - cioè l'aumento della temperatura  - non era più messo in discussione se non da casi singoli fortemente minoritari. In queste condizioni certe approssimazioni, tipiche dei movimenti, alle volte offrivano argomenti agli stessi oppositori, peraltro già dotati di mezzi e di strumenti incommensurabili.

Il riferimento al novo interprete si riferisce evidentemente, al nuovo Presidente statunitense. Occorre riconoscere che senza il peso politico di Obama che ha spostato di 180 gradi la precedente posizione degli USA, la questione del clima globale si sarebbe trascinata senza conclusioni positive. Inoltre si deve allo stesso Obama la pressione per ammorbidire la posizione della Cina, l'altro trave posto sul cammino di un trattato e di un impegno condiviso.

La nuova posizione degli USA, tuttavia, è solo una precondizione ma non è, da sola, la soluzione dei problemi. Dietro il simpatico slogan della "green economy" si pongono questioni numerose e complesse che, anche dando per scontato la volontà politica, non è detto che siano risolvibile nei tempi necessari. La riconversione tecnologica in chiave ambientale mette in discussione interessi, poteri e condizioni -  nemmeno tutti identificati e molti sottovalutati - a livello interno alle singole nazioni ma, particolarmente a livello delle relazioni internazionali: basti pensare ai destini dei paesi produttori di petrolio o ai sistemi fiscali che in molti paesi traggono notevoli risorse dalle accise e dagli oneri fiscali su tutti i prodotti dell'attuale sistema energetico a base di carbonio.

Esiste, inoltre, una lettura di questa pur necessaria trasformazione tecnologica che forse traduce aspirazioni per trasformazioni che, frustrate in precedenza, potrebbero trovare in queste condizioni una rivincita, confondendo una esigenza quale quella della salvaguardia della terra con qualcosa che se non è la rivoluzione socialista, le è molto prossima. La semplificazione concettuale potrebbe essere sintetizzata cosi: poiché questo mondo e questa economia - che è capitalistica - non possono più andare avanti come prima - è chiaro che la sua fine è prossima... Ma il perché un sistema economico se produce turbine, raffinerie, caldaie, eccetera, è un sistema capitalistico mentre se produce altre caldaie, altre turbine, celle fotovoltaiche, pale eoliche e scambiatori di calore, eccetera non lo è più, è una questione di non facile comprensione.

Dovrebbe essere, invece, più semplice comprendere che se si resta esclusi dalla capacità di partecipare alla realizzazione di queste nuove tecnologie che compongono la "green economy" si resta esclusi dai processi di sviluppo. Una parte delle sfide si sta giocando proprio su questo fronte. Anche perché le convenienze economiche potrebbero ragionevolmente essere rilevanti nel senso che molti paesi industrializzati potrebbero non solo evitare gli oneri per le loro importazioni di idrocarburi ma potrebbero cogliere le opportunità offerte dalle produzione e dalle esportazioni di quelle nuove tecnologie. E' questo il percorso di molti paesi tra i quali il Giappone, la Germania ma anche la Danimarca, e altri.

Fa eccezione il nostro paese che da tempo attua una politica industriale difficilmente comprensibile nel senso che vengono previsti oneri per attribuire incentivi, ma questi sono finalizzati all'acquisto, non alla produzione, di queste tecnologie. E poiché altri sono i paesi che producono queste tecnologie noi in questo modo finanziamo le economia di scala di quei paesi che dovrebbero essere considerati come dei nostri concorrenti. Questa è stata la strade seguita con le ICT e attualmente con le fonti energetiche rinnovabili. Sarebbe come se all'epoca dell'avvento dell'automobile invece che della Fiat o della Isotta Fraschini, ci fossimo occupati di scuole guida e di uffici per le patenti.


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