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Un futuro incerto per la Città della Scienza

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Napoli, 4 marzo 2013. Incendio alla Città della Scienza. Credit: Salvatore Laporta Ag. Controluce.

La Città della Scienza di Napoli è di nuovo in difficoltà. Per certi versi peggiori a quelle cui è andata incontro il 4 marzo 2013 con l’incendio doloso appiccato da mani ancora ignote. Due sono i punti di crisi. Uno ha effetti immediati ma, si spera contingenti. La Regione Campania, che pure ha suoi esponenti nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione IDIS che gestisce Città della Scienza, ha sollevato un problema di finanziamento: invece dei 3 milioni di euro promessi e dovuti, ne conferirà solo 2. Di conseguenza da alcune settimane i lavoratori di Città della Scienza hanno difficoltà a ricevere con regolarità lo stipendio. Peggiore, anche se di più lunga durata, è il secondo punto di crisi, che è quello di cui parla qui sotto l’architetto Massimo Pica Ciamarra. Lo Stato, la Regione e il Comune hanno trovato l’accordo per il “Piano Bagnoli”, ovvero per la grande area (in parte contaminata, tanto da essere classificata tra i SIN, i siti inquinati di interesse nazionale) che ha ospitato fino agli anni ’90 l’Ilva-Italsider e una serie di altre industrie che, insieme, davano lavoro a 15.000 operai. Ora di quelle industrie non ce n’è più alcuna. L’unica impresa (con finalità pubbliche, peraltro) che dà lavoro nell’area è, appunto, Città della Scienza. Che è anche uno dei tre musei considerati dal MIUR di interesse nazionale. Ebbene, il “Piano Bagnoli” approvato di recente da Governo, Regione e Comune si rimangia antiche intese e promesse e impone l’abbattimento di tutto ciò che è a valle della Via Coroglio. In pratica, nega la possibilità di ricostruzione del museo andato a fuoco e impone l’abbattimento, appunto, di ciò che è rimasto in piedi tra la strada e il mare. La ricostruzione del museo era prevista lì dove era stato bruciato per il 2020. Ora potrà essere effettuata la costruzione a monte di un altro museo, ma non si sa quando. Ecco perché la Città della Scienza, con i suoi lavoratori tutti altamente qualificati, si ritrova nel momento più difficile della sua trentennale esperienza. L’ultimo fiore nel deserto industriale di Bagnoli è a un passo dall’essere reciso. (Pietro Greco)

Il Piano per Bagnoli sottoscritto nel luglio 2017 dal Governo Italiano, dalla Regione Campania e dal Comune di Napoli è un drammatico documento della profonda crisi che stiamo attraversando (utilizzo questa espressione perché malgrado tutto non si può che avere fiducia nel futuro, ricordando la selva oscura che è nell’incipit della Divina Commedia). Chi ne ha avuto la responsabilità e coloro che hanno a cuore l’anacronistico PRG del Comune di Napoli gioiscono di questo Piano: sostanzialmente non abbandona la visione obsoleta e confinata espressa nel 1994 e formalizzata dieci anni dopo. Evita di ragionare a scala metropolitana come invece è sempre più indispensabile: quindi ha carenze di concezione. Il Piano presentato da Invitalia si esprime attraverso elaborazioni illusorie, prive di fattibilità tecnica, necessariamentemolto diverse nella loro attuazione.

Continua il trionfo dell’ignoranza: il Piano considera archeologia industriale un manufatto degli anni ’60 - contemporaneo alla cosiddetta colmata - rosso simbolo della sconfitta delle forze ambientaliste che con lungimiranza si opponevano allora all’espansione industriale poi rapidamente rivelatasi un fallimento; nello stesso tempo lo stesso Piano non considera archeologia industriale la testimonianza della prima fabbrica - le antiche Vetrerie Lefévre - che i Borboni collocarono nella piana ad ovest della città. Sconcerta poi rileggere la rassegna stampa del periodo che precede l’incendio doloso del Museo Vivo della Scienza. Non ne escono i veri mandanti, ma emergono responsabilità morali di coloro che certo non hanno indotto al delitto, ma fra i quali forse la sera del 4 marzo 2013 qualcuno rideva come avvenne la notte del 9 aprile 2009, quando il terremoto distrusse L’Aquila.

Certo la Fondazione IDIS che sovraintende alla Città della Scienza è stata ingenua. Per vari mesi aveva rafforzato il suo convincimento di ripristinare quanto era stato gravemente danneggiato dal fuoco, di restaurare con intelligenza il manufatto legittimamente realizzato quindici anni prima, riconosciuto recupero esemplare sul piano nazionale ed internazionale. Poteva anche ridursi ad attivare un “com’era, dov’era” banalissimo: disponeva in forma elettronica della perfetta documentazione dell’esecuzione precedente, quindi senza costi di riprogettazione. Poi improvvisamente, il 27 novembre 2013, si è lasciata accalappiare dalla falsità di promesse politiche che volutamente sottovalutavano - o inducevano ad ignorare - che ogni modifica di una norma di PRG avrebbe richiesto - oltre a fermezza da parte di chi assumeva impegni ben sapendo di poterli ignorare - anche l’autorizzazione paesaggistica e, non ultimo, l’improbabile voto di un Consiglio Comunale obiettivamente complesso.

L’attuale Piano per Bagnoli è stato prodotto con un processo da qualcuno autorevolmente paragonato al gioco del Monopoli. Propone di allocare spazi “commerciali e ricettivi” al di sotto di via Coroglio dimenticando la quota di falda ed elementari opportunità di sicurezza. Tutto questo al di sotto di solai esilissimi, privi di spessori idonei per lo smaltimento delle acque meteoriche quando pavimentati e di ogni necessità tecnica per la realizzazione delle superfici a verde indicate. Dimentica sotto-servizi e reti fognarie. Propone strade pedonali nel nulla, trasporto pubblico sotterraneo quando potrebbe prevederlo con poca spesa in superficie, ecologico e compatibile anche con i bambini che giocano e con funzioni ordinarie. D’altra parte è evidente la volontà di accondiscendere al vociare populista e quindi di inventarsi una linea di costa ispirata alla mappa del Duca di Noja, credo rinunciando a malincuore al vederla animata da figure in abiti settecenteschi e dovendo purtroppo sopportare un tappeto galleggiante composto da centinaia di barche a mare disegnate un po’ più di recente.

L’attuale Piano per Bagnoli appare privo di visione e non esplicita la sua fattibilità economica. Fa ricordare che fu un Consiglio Comunale, centocinquanta anni fa, ad evitare che si realizzasse il progetto di project financing ante litteram elaborato con cura da Lamont Young con una felice espressione dell’urbanistica e dell’architettura dell’800. Fa anche ricordare la difesa corporativa di un Ordine degli Architetti che impedì di portare a compimento il confronto che, con la sapiente regia di Bruno Zevi, il Comune di Napoli promosse nel 1991 coinvolgendo esponenti di spicco della cultura internazionale. Un confronto che avrebbe consentito a Napoli di essere di nuovo in posizioni di avanguardia.

Non è assolutamente chiaro il pensiero di paesaggio che presiede alle scelte sulle collocazioni del costruito nel Piano recentemente concordato. Mi limito a considerare la decisione di realizzare il Museo Vivo della Scienza alle spalle di altre costruzioni, lontano dal mare. Per contrasto torna in mente come proprio tre anni fa Helsinki programmava il suo grande nuovo Museo di Arte Contemporanea: lo collocava a pochi metri dalla linea di costa, suggeriva di incorporare nella nuova costruzione un piccolo Terminal navale, magari facendo sì che, sbarcando, i turisti fossero invitati ad attraversare il costruito rendendo possibile anche l’accesso al Museo in modo facile, quasi naturale.

Per quanto si vede il Piano per Bagnoli, con spirito ruskiniano, conserva le rovine di quanto non distrutto dell’incendio di qualche anno fa, confondendo quanto risale al periodo borbonico e quanto è opera recente. Cancella quindi un Museo che aveva una collocazione eccezionale al limite della spiaggia, aperto verso Nisida e le isole dei Campi Flegrei, accessibile venendo dal mare e lambito da un percorso di grande valenza urbana, posto tra un accesso dal mare e la fermata di un mezzo di trasporto urbano.

L’alternativa che l’attuale Piano per Bagnoli propone è l’edificazione del Museo a monte, ovviamente privo di queste eccezionali condizioni, quindi riducendone la valenza di grande attrattore turistico da tempo internazionalmente noto; soprattutto negando l’apporto dell’opera dell’uomo nella formazione del paesaggio: proprio quanto afferma la Convenzione Europea del Paesaggio distinguendo la nostra cultura da quella di altre aree del pianeta.


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