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Fiducia nei vaccini: anche i rischi più rari vengono studiati a fondo

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Uno studio in pre print pubblicato su Lancet ha calcolato l’incidenza degli eventi patologici emocoagulativi post vaccini anti SARS-CoV-2, giungendo alla conclusione che tutti i vaccini hanno pari sicurezza e che gli eventi avversi legati a disordini della coagulazione del sangue sono decisamente più rari nei vaccinati che negli affetti da Covid-19. Lo studio presenta quindi ulteriori prove che vaccinarsi è meglio che fare la malattia da nuovo coronavirus.

Crediti immagine: Province of British Columbia/Flickr. Licenza: CC BY-NC-ND 2.0.

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Uno studio coordinato da Daniel Prieto-Alhambra del Centre for Statistics in Medicine alla Oxford University e Talita Duarte-Salles della Fundació Institut Universitari per a la recerca a l'Atenció Primària de Salut Jordi Gol i Gurina e recentemente pubblicato sulla rivista Lancet in pre-print (ossia senza aver passato il vaglio di un giudizio formale emesso da colleghi), ha calcolato l’incidenza degli eventi patologici emocoagulativi post vaccini anti SARS-CoV-2, utilizzando i dati raccolti di routine nell’ambito delle cure primarie in Catalogna (Sistema d’Informaciò per al Desenvolupament de la Investigaciò en Atenciò Primaria, www.sidiap.org).

Sono state tracciate le trombosi venose (compresa l’embolia polmonare) e arteriose (compresi l’infarto e l’ictus), la trombocitopenia e le temute trombosi venose atipiche associate a trombocitopenia nei 21 giorni seguenti all’inoculo di quasi un milione dosi di vaccino a mRNA di Pfizer e di mezzo milione di dosi del vaccino ad adenovirus di AstraZeneca, ma anche quelle che si sono manifestate nei 90 giorni successivi a 222 710 diagnosi di Covid-19. Il loro numero è stato poi rapportato a quello degli stessi eventi occorsi in una coorte di 4 milioni e mezzo di soggetti negli anni precedenti l’epidemia, per la classica analisi osservati/attesi.

Le conclusioni cui giunge lo studio sono che tutti i vaccini hanno pari sicurezza e che gli eventi avversi legati a disordini della coagulazione del sangue sono decisamente più rari nei vaccinati che negli affetti da Covid-19. Quest’ultima constatazione trova completo riscontro nelle molteplici osservazioni delle anormalità coagulative (macro e microtrombosi e anche trombocitopenia) nei soggetti ricoverati per Covid-19, specie se coesistono fattori di rischio quale l'età avanzata o il sovrappeso, sia come espressione diretta dell'invasione virale, sia legate alla risposta infiammatoria dell'endotelio, sia come conseguenza della tempesta infiammatoria sistemica e della stasi venosa indotta dall'allettamento.

Nell’ampia coorte di pazienti vaccinati considerata dallo studio, le trombosi venose, per esempio, erano di poco superiori all’atteso nella popolazione generale dopo la prima dose di Pfizer e di AstraZeneca, mentre erano 8 volte più frequenti nei malati di Covid-19. Il tasso di tromboembolismo arterioso nei vaccinati era simile o più basso di quello atteso, mentre era più alto dell’atteso nei malati di Covid-19. L’incidenza di trombocitopenia era poco maggiore dell’atteso dopo la prima e la seconda dose di Pfizer, pari all’atteso dopo la prima dose di AstraZeneca, ma più che triplicata negli affetti da Covid-19. Per quanto riguarda la trombosi atipica associata a piastrinopenia, lo studio ne definisce l’incidenza dopo Pfizer come in linea con l’atteso e segnala solo 5 eventi dopo AstraZeneca.

Morale? Lo studio presenta ulteriori prove che vaccinarsi è meglio che fare la malattia da nuovo coronavirus. Chi, però, volesse ricavare dai suoi risultati anche la lezione che sia stato un eccesso aver demonizzato il vaccino di AstraZeneca, negandolo (in ultima battuta) ai soggetti sotto i 60 anni e che, quanto a effetti procoagulativi, tra le vaccinazioni “questa o quella per me pari sono”, sbaglierebbe.

Lo studio, che ha indubbiamente il merito di essere stato condotto su un campione di popolazione ampio e rappresentativo (dei 223 studi pubblicati sugli effetti avversi da vaccino anti Covid-19 solo altri due sono studi di popolazione), ha però diverse debolezze, alcune delle quali ammesse dagli stessi autori. I vaccinati sono diversi per età e condizioni fisiche tra di loro e dalla popolazione generale; gli eventi tromboembolici sono stati sicuramente sotto-diagnosticati prima dell’allarme di EMA di marzo e forse sovra-diagnosticati in seguito. Inoltre, come ha sottolineato sulla stessa rivista Lancet un commentatore in calce allo studio spagnolo, dal momento che tale sindrome specifica è una reazione a vaccino sicuramente molto rara (le varie stime si attestano intorno a 3 ogni 100 000 dosi), è probabile che uno studio di popolazione non sia in grado di rilevarne l’esistenza, specie se sono presenti altre forme, nosologicamente non correlate alla TTS, di trombocitopenia e di trombosi.

Non sembra, infine, essere riconosciuta dagli autori la scorrettezza metodologica implicita nel confronto tra l’incidenza delle trombosi (di qualunque tipo) nei vaccinati e quella nella popolazione generale, sia perché il fenomeno della sottosegnalazione degli eventi avversi è tale da inficiare i numeri ufficialmente riportati, sia perché gli eventi avversi post vaccinali più rari e temuti sono confinati a una fascia d'età particolare, mentre quelli attesi sono riferiti a tutta la popolazione, sia, infine, perché la finestra temporale di osservazione del tromboembolismo post vaccinale è di due/tre settimane, mentre la stima dello stesso evento nella popolazione generale è sull'arco di un anno.

La trombosi in sedi atipiche (seni venosi o vene splancniche) associata a piastrinopenia (che è quella che ha scatenato l’ostracismo al vaccino AstraZeneca) è un’entità nosologica distinta dalle altre forme di tromboembolismo e con un'analogia stretta solo con la trombocitopenia indotta da eparina (HIT) sia dal punto di vista clinico sia per la presenza di anticorpi contro il fattore piastrinico 4 (PF4). Finora, è stata vista solo dopo i vaccini ad adenovirus e non dopo i vaccini a mRNA: per tale motivo l'OMS ha suggerito di chiamare la condizione con il termine Thrombosis with Thrombocytopenia Syndrome (TTS) invece del già invalso Vaccine Induced Immune Thrombotic Thrombocytopenia (VITT) che induce a pensare a una reazione genericamente vaccinale.

Una volta stabilito che il rischio di eventi avversi gravi legato alle vaccinazioni è estremamente basso e di certo inferiore a quello corso in conseguenza di “normali” atti quotidiani, come usare l’automobile o altri mezzi di trasporto per raggiungere, per esempio, un luogo di vacanza e, soprattutto, del contagio con SARS-CoV-2, non cessa, tuttavia, lo sforzo degli scienziati per decifrare il nesso tra vaccino e trombosi. La speciale attenzione alla pur rara TTS (dovuta alla sua alta mortalità in persone altrimenti sane e di età giovanile), ha permesso di comprenderne, almeno in parte, i meccanismi patogenetici, con conseguente precisazione dei trattamenti (immunoglobuline, cortisonici, anticoagulanti non eparinici e plasmaferesi) utili a diminuire i decessi.

Il sesto (e ultimo) rapporto sulla sorveglianza dei vaccini Covid-19 di AIFA relativo al periodo 27 dicembre 2020 - 26 giugno 2021, riporta circa 12 segnalazioni di eventi gravi ogni 100 000 dosi somministrate di Vaxzevria, correlabili alla vaccinazione (15 eventi avversi gravi correlabili ogni 100 000 prime dosi somministrate e 1 evento avverso grave correlabile ogni 100 000 seconde dosi somministrate). Per lo più si tratta di forme febbrili simil-influenzali, ma “fra le reazioni avverse gravi sono state inserite 55 segnalazioni di sospetta trombosi venosa cerebrale e/o trombosi venosa in sede atipica con o senza piastrinopenia, dopo la somministrazione della prima dose, che interessano soprattutto persone di età inferiore ai 65 anni (età media 49 anni, età mediana 47 anni).”

Il rapporto precisa che i casi segnalati potranno essere attribuibili alla vaccinazione con Vaxzevria solo dopo un’attenta valutazione “alla luce delle nuove informazioni rese disponibili dal Comitato per la valutazione dei rischi in farmacovigilanza (PRAC) dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA), che hanno identificato alcune caratteristiche cliniche e alcuni dati di laboratorio che permettono di distinguere fra i casi correlati e quelli non correlabili alla vaccinazione. Pertanto, sono state richiesti ulteriori dettagli clinici che verranno sottoposti alla valutazione del Gruppo di lavoro per la valutazione dei rischi trombotici da vaccini anti Covid-19, al fine di individuare i casi di trombocitopenia trombotica indotta dalla vaccinazione.”

Secondo tali acquisizioni, il DNA adenovirale agisce in modo simile all'eparina come polianione, mediando l'attivazione di anticorpi anti complesso polianione-PF4 (che danno conto della trombocitopenia e che possono essere ricercati nel sangue). Il vettore adenovirale veicola la sequenza genica codificante la proteina spike di SARS-CoV-2 nei megacariociti così che la proteina viene espressa sulla superficie piastrinica dove, per meccanismo di splicing (montaggio) alternativo dell’mRNA, si generano varianti in grado di concentrarsi sulle celle endoteliali che esprimono ACE2 e di attivare la reazione infiammatoria e il processo trombotico, con alti livelli di D-dimero circolante.

Greinacher e colleghi hanno anche ipotizzato che l’anticoagulante EDTA (acido etilendiaminotetracetico) contenuto nella preparazione del vaccino, aumenti la permeabilità vascolare nel sito d’iniezione, causando uno spargimento di componenti in grado di stimolare gli anticorpi e uno stato infiammatorio.

E se la TTS fosse un (sia pur rarissimo) effetto di classe, riguardando tutti i vaccini a vettore adenovirale (ma sono ancora insufficienti i dati sugli altri due vaccini ad adenovirus, il russo Sputnik V e il vaccino cinese di CanSino Biologics)? Sarebbe sufficiente questo a segnare la fine del loro successo? Se lo sono chiesti il gruppo di Dimitrios Tsilingiris dell'Università di Atene sulla rivista Metabolism Open e Kai Kupferschmidt, giornalista scientifico della rivista Science, il quale invita a ricordare che, in un determinato paese, il bilancio rischi-benefici dei vaccini a vettore adenovirale è funzione non solo della fascia d’età dei vaccinandi, ma anche del vigente tasso d’infettività di SARS-CoV-2. Questo rilievo è di primaria importanza se si guarda oltre i confini del mondo occidentale, a quella parte di umanità che aspetta ancora di essere immunizzata contro il coronavirus: i vaccini ad adenovirus sono la pietra angolare della Vaccines Global Access (COVAX) Facility, che è deputata a vaccinare i paesi in via di sviluppo. Lo spiegano bene le due tabelle sottostanti, elaborate da EMA.

Ciononostante, si sta verificando una pericolosa perdita di credibilità dei vaccini di AstraZeneca e di Janssen presso i paesi in via di sviluppo, sull’onda della decisione di molti governi occidentali di impiegarla solo per gli anziani. Questa diffidenza è complicata dal fatto che, in continenti come l’Africa, il 70% della popolazione è di età inferiore ai 30 anni: chiedere loro di ignorare che i coetanei occidentali evitano quei vaccini, appare come un’ulteriore discriminazione di quei giovani in pazienti di serie B.


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