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Far dire ai numeri quello che non dicono: i dati sull’eccesso di mortalità da Covid ancora usati a sproposito

i dati sull’eccesso di mortalità da Covid usati a sproposito

L'articolo pubblicato a giugno sul British Medical Journal Public Health ha scatenato controversie nel mondo scientifico per la sua analisi dei dati sull'eccesso di mortalità da Covid-19: gli autori suggeriscono che le misure di contenimento e le campagne vaccinali non abbiano funzionato, ma queste affermazioni sono frutto di cherry picking e interpretazione distorta dei dati.

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If you torture the data long enough, it will confess to anything (se torturate i dati abbastanza a lungo potrete fargli dire qualsiasi cosa): è la celebre battuta di Ronald H. Coase, premio Nobel per l’economia nel 1991. Purtroppo anche nel mondo della ricerca capita di assistere a un uso distorto dei dati, cui si può far dire qualsiasi cosa. Quel che è successo con un articolo recente che riprendeva il tema dell’eccesso di mortalità da Covid-19.

Il 3 giugno 2024 sul British Medical Journal Public Health (rivista della stessa famiglia del ben più illustre BMJ) è uscito un articolo che ha subito scatenato accese discussioni in seno alla comunità scientifica. In effetti l'articolo si propone come un'analisi dei dati di Our world in data (Owid) per l'eccesso di mortalità negli anni 2020-21-22, ma in corso di lettura si percepisce rapidamente come gli autori guidino il lettore verso la tesi che le misure di contenimento adottate dai governi per contrastare la diffusione del virus e poi le campagne vaccinali non abbiano funzionato, o non servissero, e anzi abbiano avuto conseguenze negative sulla popolazione. A contorno del messaggio principale, infatti, fiorisce tutta una serie di allusioni, illazioni e citazioni ben selezionate sugli effetti dei vaccini e sul costo economico e umano delle misure di contenimento prese per contrastare un virus presentato come praticamente innocuo. A differenza delle strategie adottate per combatterlo.

Ovviamente la comunità scientifica si è fatta sentire, tanto che l'editore si è affrettato a intervenire per spiegare che l'articolo era solo un'analisi dei dati di eccesso di mortalità in pandemia e non stabiliva alcun rapporto causale tra vaccini e mortalità. Ma pochi giorni dopo ha dovuto cedere all'evidenza e flaggare l'articolo con una expression of concern: «The integrity team and editors are investigating issues raised regarding the quality and messaging of this work» (la redazione sta indagando sugli aspetti di qualità dei contenuti dell’articolo), chiamando in causa anche il Princess Máxima Centre, il centro di oncologia pediatrica a cui sono affiliati tre dei quattro autori (il quarto è un "ricercatore indipendente"). Il Princess Máxima Centre, dopo aver investigato a sua volta sulla qualità scientifica dello studio, ne ha preso pubblicamente le distanze.

Ma quali sono, allora, i limiti di metodo e i contenuti discutibili dell’articolo? Le critiche sono state tali e tante che è oggettivamente difficile riassumerle e discuterle tutte (in fondo al testo i link principali per chi volesse ricostruire la discussione). Comunque si va da un sostanziale «per quale motivo è stato scritto, visto che non presenta nessun dato nuovo ma, solo ri-analisi di dati già noti?», alle accuse di plagio e interpretazione distorta dei dati di Owid. Questa critica arriva direttamente dall’autore dello studio originale pubblicato su Owid, Ariel Karlinsky, che ha richiesto che l'articolo sia ritrattato. Si discute anche sul fatto che l’articolo cita dati che a loro volta presentano altre criticità ben note a chi ha seguito l'argomento, per esempio quelli presentati da John Ioannidis sull'IFR (Infection Fatality Rate, la proporzione di decessi sul totale dei soggetti ammalati), o quelli di Peter Doshi sulle reazioni avverse ai vaccini, ma ne ignora altri, magari più recenti, non in accordo con le ipotesi suggerite. (È la classica strategia di disinformazione nota come cherry picking: ci scegliamo dal cesto solo le ciliegie più grandi e più belle che ci danno ragione). Ci sono poi le tante allusioni lasciate cadere qua e là per rafforzare la convinzione nel lettore che i governi hanno continuato a imporre misure di contenimento dolorose e inutili per un virus di fatto quasi innocuo e nonostante dai dati di mortalità fosse evidente che non funzionavano.

Il pollo di Trilussa al contrario

Nel 2020, anno di inizio della pandemia e dei lockdown, in 47 paesi del mondo occidentale ci sono stati complessivamente 1.033.122 morti in eccesso, P-score: 11,4%. (Il P-score è il rapporto tra la mortalità in eccesso e quella attesa e consente di metterle a confronto tra popolazioni con numerosità diversa, per esempio paesi diversi o fasce di età diverse). Nel 2021 il numero di morti in eccesso è aumentato a 1.256.942, e anche il P-score è salito a13,8%.

Nel 2021 erano in uso ancora molte misure di contenimento, chiusure, mascherine, ed è iniziata ovunque la campagna vaccinale. Nel 2022, eliminate praticamente tutte le misure di contenimento ma continuando a vaccinare, ci sono state comunque 808.392 morti in eccesso (P-score 8,8%). Sulla base dell'aumento progressivo delle morti in eccesso gli autori concludono che restrizioni e vaccini non siano serviti.

Vediamo i limiti di questo ragionamento: in primo luogo gli autori sembrano non considerare che la diffusione del virus a livello globale nel corso del 2020 è stata graduale anche se rapida. Per esempio, a settembre 2020, dopo i primi picchi dei contagi tra febbraio e aprile, dopo i lockdown di primavera e la riapertura estiva, si è diffusa quasi ovunque in Europa la variante 20E (EU1) detta “spagnola”. Una variante che non era più infettiva di quelle che l’avevano preceduta, ma che è emersa al posto giusto, la Spagna, meta molto popolare del turismo, e al momento giusto, a giugno, a ridosso delle vacanze estive, grazie alle quali in tanti avrebbero riportato il virus a casa diffondendolo in popolazioni ancora tutte da infettare. La variante 20E (EU1) si è diffusa così tanto perché le persone da infettare erano ancora talmente numerose che non serviva essere più infettiva delle altre. È una forma del cosiddetto “effetto del fondatore”.

Da quel momento il virus ha preso a circolare sempre di più, tanto che nel 2021 sono emerse tutte le varianti via via più infettive fino a delta (nessuna di queste varianti dovuta alla pressione selettiva dei vaccini) e poi, con omicron, quelle immunoevasive. È inevitabile che l’aumento di infezioni e decessi a livello globale abbia avuto una progressione che ha richiesto tempo, e a cui si è cercato di rispondere in emergenza con misure di contenimento che non tutti hanno seguito, o hanno seguito in modo parziale, o quando oramai era tardi, come in Lombardia.

Analizziamo, ora, quel dato complessivo per 47 paesi. Considerati i modi in cui i diversi governi hanno gestito la pandemia, viene spontaneo chiedersi perché offrire un dato così cumulativo e viene il sospetto che sia un’operazione deliberatamente confondente. Vero che c’è un link per scaricare i dati supplementari col dettaglio paese per paese, ma in quanti lo faranno? E comunque non è quello che fa l’articolo.

Se analizziamo i dati per paese, si vede facilmente che sia nel 2020, sia nel 2021 quasi la metà (il 42% e il 43%) dei morti in eccesso nei 47 paesi considerati tutti insieme e cioè 445.670 su 1.033.122 nel 2020 e 523.064 su 1.256.942 nel 2021, è interamente a carico degli Stati Uniti. Chi ha seguito la gestione della pandemia a livello internazionale sa che gli Stati Uniti hanno adottato un approccio molto variabile e diversificato tra i vari stati. Non proprio ottimale. Un approccio, anzi, che in alcuni casi si è radicalizzato in un libertarismo politico diventato negazionismo e insofferenza per le restrizioni imposte dal governo federale e che ha avuto un impatto tangibile su infezioni e mortalità.

Diversi studi ormai hanno associato i dati di mortalità americani per Covid-19 nei singoli stati col colore politico dello stato, rosso o blu, repubblicani o democratici. E chi è informato ricorda anche che a fine 2021 solo il 60% della popolazione americana aveva ricevuto due dosi di vaccino. Questo vuol dire che il virus ha avuto a disposizione 130 milioni di americani non vaccinati, che di fatto non credevano tanto alla pandemia, erano insofferenti alle misure di contenimento e riponevano invece molta fiducia in cure alternative e non efficaci. In sostanza, si ha l'impressione che l’articolo si appoggi al peso (numericamente molto consistente) dei dati relativi a chi misure di contenimento e vaccini ne ha usati poco per dire che chi li ha usati non ne ha avuto vantaggio. È la storia del pollo di Trilussa al contrario.

Una storia diversa

I dati paese per paese, dunque, raccontano una storia diversa, quella che ci si attenderebbe. Anche guardando in dettaglio al dato italiano, quello che probabilmente conosciamo meglio, vediamo bene che grazie al lockdown di marzo-maggio 2020 i casi di Covid-19 sono rimasti confinati in quattro regioni del Nord, dove già il virus si era diffuso prima della chiusura, e che praticamente non è arrivato al Centro-Sud fino a che, con l'estate, non sono state eliminate tutte le barriere. Si può tranquillamente affermare che in quella fase di emergenza le misure di contenimento del virus in Italia hanno funzionato e anche molto bene. Il costo della loro attuazione è stato alto, ma l’incendio che bruciava al Nord non si è esteso al resto del paese, anzi si è andato spegnendo. Ovviamente è irragionevole pretendere che il lockdown impedisse, in modo retroattivo, l'eccesso di mortalità che c’è stato nelle regioni settentrionali, che si era preparato già prima della sua introduzione con la diffusione del virus in fabbriche, ospedali e case di cura.

Fonte: Istituto Superiore di Sanità, Rapporto ISTAT 9 luglio 2020

Dall'inizio della campagna vaccinale in poi il confronto tra i dati dei ricoveri e decessi tra vaccinati e non vaccinati è talmente evidente che dovrebbe essere inutile parlarne. Esattamente la prova che misure di contenimento e vaccini hanno funzionato e hanno evitato il peggio.

Al contrario di quel che sostiene l’articolo e cioè non solo che non abbiano funzionato, ma anche che non servissero. Due affermazioni davvero poco conciliabili tra loro. Se si usa l’eccesso di mortalità per dimostrare che restrizioni, quarantene e vaccini non sono stati efficaci, vuol dire anche che il Sars-CoV-2 ha causato quei decessi. A meno che non si stia proponendo che l’eccesso di mortalità non sia stato causato dagli esiti delle infezioni ma da altro.

Forse per questo l’articolo presenta un dato di Infection Fatality Rate in periodo prevaccinale dello 0,05- 0,07%, cioè molto basso. Un dato riferito alla popolazione adulta con meno di 70 anni, tratto da articoli di Ioannidis molto discussi e controversi. Di nuovo si tratta di un dato globale ben poco rappresentativo di un fenomeno che sappiamo variare moltissimo, sia per fasce di età, che per regione, che per status socioeconomico.

Ci si guarda bene, però, dal citare altri articoli, anche più recenti, i cui risultati non confermano l’affermazione che la mortalità per Covid-19 sia stata così bassa, tanto da rendere restrizioni e vaccinazioni nella popolazione non anziana più dannosi che utili.

Questa critica alle misure di contenimento della circolazione del virus riporta decisamente a quella alla base di un'altra presa di posizione assai controversa, la Great Barrington Declaration dell’ottobre 2020, con cui forse non condivide le basi di liberismo economico, ma certamente l’insostenibilità scientifica. Gli autori della GBD, infatti, non hanno mai chiarito in che modo si potesse consentire o meglio incoraggiare la circolazione sicura dei virus nella popolazione, proteggendo allo stesso tempo in modo selettivo la fascia considerata “vulnerabile” (che di fatto, a parte i criteri anagrafici, è impossibile da definire). All’epoca, peraltro, non erano noti gli effetti a lungo termine dell’infezione virale e quelli non strettamente respiratori.

L’articolo, infine, nel suggerire l’ipotesi che le reazioni avverse alle vaccinazioni non siano state valutate sufficientemente e possano aver contribuito all’eccesso di mortalità descritto, supporta le posizioni tpiche del mondo novax. E, purtroppo, è questo il messaggio che può restare al lettore.

Questo non è il primo e non sarà l’ultimo articolo di questo genere che leggeremo. Testi, il cui aspetto più critico è quello di proporre ipotesi basandosi su analisi parziali o distorte dei dati, o appoggiandosi a dati già pubblicati che hanno a loro volta delle criticità non risolte e ben note. Le conseguenze negative sono almeno tre: la prima è che una lettura attenta ed esperta risulta faticosissima perché ogni affermazione, ogni citazione, deve essere vagliata e verificata e apre la porta a ulteriori criticità in cui il lettore si perde. La seconda è che agli occhi di un lettore "non esperto" o gravato da un pregiudizio, l'articolo appare solido e convincente capace di supportare scientificamente ipotesi che, invece, di scientifico hanno ben poco. Dinamiche che abbiamo imparato a conoscere.

La terza implicazione è il dover prendere atto che il mondo dell’editoria scientifica, anche in caso di riviste ritenute affidabili, anche in caso di articoli peer reviewed non è affidabile come vorremmo che fosse. Per fortuna la comunità scientifica è attiva, analizza, discute e condivide le proprie considerazioni. Infatti, è di pochi giorni fa un articolo pubblicato su JAMA Health Forum che analizza in dettaglio i dati dell’eccesso di mortalità dei 50 stati americani, in relazione alle misure di contenimento più o meno rigide prese in pandemia. La conclusione dello studio è che misure di contenimento e vaccinazioni hanno sicuramente avuto un effetto sull’eccesso di mortalità, che sarebbe stata più alta del 25%-48% se tutti avessero applicato le misure più blande adottate da alcuni stati. Inoltre, riguardo i costi conseguenti alle misure adottate, lo studio sottolinea come, assegnato un valore statistico per una vita umana (VSL, value of statistical life negli Stati Uniti tra 4,7 ed 11,6 milioni di dollari), l'adozione di misure di contenimento rigorose ha comportato una minore perdita compresa tra i 1,3-5,2 trilioni di dollari, cioè dal 6 al 22% del PIL degli USA nel 2021. Chi fosse interessato a farsi un’idea più precisa dell’intera discussione, può consultare i link che seguono:

 


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