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Eugenetica: i limiti della manipolazione genetica

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Il libro, che inaugura la nuova collana Dossier di Città Nuova Editrice (Pietro Greco, Umberto Galimberti, Mario De Caro, Laura Palazzani, Giuseppe Noia, Paolo Benanti, Eugenetica. C’è un limite alla manipolazione genetica?, a cura di Giulio Meazzini, Città Nuova Editrice, Roma 2017, pp. 160, € 12,00), presenta un saggio introduttivo di Pietro Greco, Le sfide delle nuove biotecnologie, seguito da quattro interviste di Giulio Meazzini ai filosofi Umberto Galimberti e Mario De Caro, alla giurista Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, e al medico e chirurgo Giuseppe Noia, direttore del Day Hospital di ginecologia e medicina fetale del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, da un saggio conclusivo del francescano Paolo Benanti, ingegnere e docente di bioetica, e da tre allegati: Estratto della Raccomandazione CM/Rec(2016)8, con la quale il Consiglio d’Europa chiede agli Stati membri la non discriminazione in ambito assicurativo sulla base di caratteri genetici; È brevettabile ciò che esiste in natura di Paolo Benanti e La dignità di una gravidanza difficile di Giuseppe Noia.

Il titolo traccia con chiarezza il perimetro di intervento del libro, indicato da tre parole-chiave: “eugenetica”, “limite” e “manipolazione genetica”.

Eugenetica come geneterapia

La parola-titolo è molto forte: l’Enciclopedia Treccani definisce “eugenetica”. La “disciplina che si prefigge di favorire e sviluppare le qualità innate di una razza, giovandosi delle leggi dell’ereditarietà genetica. E aggiunge: “a partire dagli anni Cinquanta, con gli studi sul patrimonio genetico dell’uomo si è fatta strada una nuova e. tecnologica, che persegue tre direttrici: a) la selezione genotipica dei soggetti a rischio di manifestare una malattia, per mezzo della diagnosi prenatale e l’aborto dei soggetti indesiderati, o più precocemente, con la diagnosi pre-impiantatoria ( e. selettiva o creativa); b) la selezione germinale, mediante la scelta di gameti raccolti e conservati in banche apposite e utilizzati nell’ambito delle tecniche di fecondazione artificiale ( e. preventiva); c) la geneterapia, mediante la modificazione dell’informazione genetica contenuta nelle cellule somatiche, nelle cellule germinali e negli embrioni umani prodotti in vitro ( e. curativa).

In effetti il libro si occupa soprattutto dell’ultima direttrice dell’“eugenetica tecnologica”, la “geneterapia”. E presuppone quindi che tale capacità di intervenire per modificare il genoma umano sia un risultato acquisito della ricerca in biotecnologia.

In effetti, la metodologia CRISPR-Cas9 (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, realizzata tramite la proteina Cas9) permette di modificare, senza alcun ostacolo tecnico, il genoma umano, oltre che quello di tutti gli organismi viventi. Un libro recente della giornalista scientifica Anna Meldolesi – E l’uomo creò l'uomo. CRISPR e la rivoluzione dell'editing genomico (Bollati Boringhieri, Torino 2017) – permette di capire che cos’è la CRISPR, come può essere utilizzata e quali interrogativi bioetici pone. Si tratta di una biotecnologia messa a punto da diversi ricercatori tra il giugno 2012 e il gennaio 2013, che utilizza virus e batteri per modificare il genoma di cellule vegetali, animali e umane con una procedura di “taglia e incolla” ben nota a tutti i fruitori di programmi informatici di scrittura, grazie alla quale è possibile cancellare geni, rimuovere segmenti difettosi o introdurne di estranei per modellare (o correggere) il DNA a piacimento. Il passaggio successivo, realizzato proprio in questi giorni, è consistito nella modificazione di geni di embrioni umani portatori di malattie genetiche. Ricercatori dell'University of Oregon coordinati da Shoukrat Mitalipov hanno pubblicato su Nature il 2 agosto 2017 l'articolo “Correction of a pathogenic gene mutation in human embryos”, che descrive un intervento su embrioni umani con la biotecnologia CRISPR, che ha “tagliato” la mutazione della proteina Mybpc3 dal gene difettoso responsabile della cardiomiopatia ipertrofica, malattia genetica che può provocare l’insufficienza cardiaca fino alla morte improvvisa per un arresto cardiaco. Se gli embrioni, così trattati, fossero cresciuti in un utero femminile, sarebbero bambini sani. E forse si sarebbe potuto salvare anche il piccolo Charlie Gard, ucciso dalla sindrome da deplezione del DNA mitocondriale, sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale.

Le implicazioni bio-etiche dell'editing genomico

Il cosiddetto “editing genomico” viene considerato nel libro una nuova forma di “eugenetica”. Non è irrilevante ricordare che si tratta di una biotecnologia brevettata da tre diverse imprese genetiche, la Caribou Biosciences e la Crisp Therapeutics di Jennifer Doudna ed Emanuelle Charpentier, e la Editas Medicine di Feng Zhang, sostenute da centri di ricerca come l’University of California di Berkeley le prime due e l’Harvard University e il Mit di Boston la terza. La competizione scientifica intorno alla CRISPR è tuttora in corso e non condurrà soltanto a far ottenere il premio Nobel per la medicina, ma a gestire un mercato che è valutato nell’ordine dei miliardi di dollari. Le linee di applicazione sono molto ampie: dalla creazione di nuove piante di interesse alimentare senza intervenire con geni di altre specie, ovvero superando lo stadio degli Ogm, alla immunizzazione dai parassiti trasmessi dalle zanzare, alla cura fin dall’embrione di malattie genetiche oggi incurabili. Si contano circa diecimila patologie genetiche, legate alla mutazione di un singolo gene, che potrebbero essere cancellate dalla CRISPR.

È evidente che la CRISPR ponga con radicalità problemi bioetici essenziali.

Da un lato, essa lascia intravedere la sconfitta definitiva di gravissime patologie genetiche, con la conseguente riduzione dei loro costi sociali e sanitari, da reindirizzare in altri settori della ricerca medica, ad esempio nella lotta contro il cancro. Dall’altro, tramite la CRISPR si potrebbero modificare caratteristiche somatiche dell’embrione, secondo le preferenze di medici, genitori o di potenti leader religiosi e/o politici. E gli interessi economici in gioco sono molto rilevanti.

Di questi problemi si discute nel libro. Pietro Greco, nella presentazione introduttiva sulla storia della bioetica e sui problemi da essa sollevati, tocca il punto di maggior difficoltà delle questioni bioetiche quando – facendo leva sulle riflessioni proposte da Maurizio Mori e Giovanni Fornero in Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto (Le Lettere, Firenze 2012) – mette a confronto la bioetica cattolica, di tipo assiomatico, e quella laica, basata su evidenze empiriche e teoriche. E dimostra come l’asimmetria delle due visioni del mondo che ne stanno alla base conduce a un problema indecidibile, nel momento in cui il confronto teorico si trasforma in decisioni di etica applicata che si configurano nel campo del diritto degli Stati: I fautori della bioetica laica sostengono che gli Stati debbano svolgere il ruolo, neutrale, di arbitro, lasciando libertà a tutti di aderire alla propria visione del mondo. I fautori più oltranzisti della bioetica cattolica sostengono, al contrario, che alcuni dei loro principi – non a caso definiti ‘non negoziabili’ – hanno valore universale, e dunque devono essere assunti in forma di legge dagli Stati (p. 21). La posizione di Greco è pragmatica: non c’è altro da fare, invece, che cercare, pragmaticamente, di volta in volta un compromesso” (p. 22), ma sempre in maniera trasparente e per quanto possibile democratica. Una posizione che si sostanzia anche con lo sviluppo incrementale delle conoscenze genetiche e delle loro applicazioni: almeno da un punto di vista quantitativo, le conoscenze genetiche sono enormemente aumentate (p. 29). Lo sguardo futuribile che emerge dalla presentazione di Greco si apre su una “medicina predittiva”, che oltrepassa sia quella curativa che quella preventiva, aiutando a scoprire tramite screening genetici i “fattori interni”, individuali, che, per una specifica persona in un dato contesto ambientale, possono favorire l'insorgenza di una malattia (p. 34). Al suo seguito, sono prevedibili farmaci personalizzati, in funzione del farmaco che meglio si adatta al profilo genetico del paziente, per aumentare il tasso di precisione della cura (p. 41).

Il senso del limite

L’altro termine che richiede una riflessione è “limite”. In questo caso è necessario l’apporto di competenze afferenti ai saperi più diversi, filosofia, sociologia, medicina, bioetica, diritto, nonché una messa a problema del ruolo dei cittadini nel merito delle decisioni pubbliche e politiche che tali nuove biotecnologie richiedono con sempre maggiore urgenza.

In un libro molto efficace – Limite (il Mulino, Bologna, 2015) – Remo Bodei riflette su come “oggi si elidono le linee di separazione” (p. 21) tra vivente e non vivente e su come viene a costruirsi un uomo nuovo, non grazie a utopie politiche e sociali, ma tramite l’ “antropotecnica”: “ora l’uomo nuovo si sta effettivamente cominciando a fabbricare, ma grazie all’‘antropotecnica’, che si serve dei metodi e dei progressi delle biotecnologie, della farmacologia e della medicina” (pp. 22-23). La centralità e l’attualità di tale indicazione è indiscutibile oggi, che diventano oggetto di dibattito pubblico e politico – ben testimoniato in Eugenetica – le tecniche di procreazione, di modificazione e sostituzione degli organi, di prolungamento strumentale della vita, ovvero i mezzi artificiali che incidono sulla nascita, le funzioni e la configurazione dei nostri corpi, il loro mantenimento in vita. Bodei può concludere indicando lo slittamento dell’attenzione sociale dal desiderio, spesso religioso, di immortalità a quello, secolare dell’allungamento della vita. L’invito critico a Imparare a distinguere richiede per Bodei una “morale sufficiente” (p. 118), un “illuminismo ben temperato”, che accetti come irreversibile, e nel fondo migliore, l’allargamento dell’ “orizzonte dei possibili” (p. 109) che la modernità ci lascia in eredità, anche tramite le biotecnologie, ma che impegni alla responsabilità, che si risolve nel riconoscere e distinguere i limiti individuali e collettivi. Per evitare che il loro superamento esondi verso una catastrofica dismisura.

I rischi della terapia genetica

A consuntivo della sua presentazione Greco illustra i rischi da evitare per la terapia genetica e specificamente per la CRISPR, individuandone tre gruppi. I rischi di natura epistemologica, ovvero la confusione tra “predestinazione” e “predisposizione” e la credenza, infondata, che “nel nostro genoma sarebbe racchiusa, pura ed essenziale, la nostra natura individuale e collettiva. L’essenza della nostra umanità” (p. 45). I rischi di natura socio-economica – che considera i più gravi – che condurrebbero a un’ulteriore diseguaglianza nel diritto alla salute, tra i pochi in grado di curarsi con la terapia genetica e i molti non tutelati. A tal fine Greco richiede di “rivedere profondamente sia il nostro welfare sanitario sia il sistema di produzione di nuove conoscenze nell’ambito della biomedicina” (p. 49). Infine i rischi culturali, ovvero quelli connessi al diffondersi dell’idea di “una malintesa eugenetica. Se la tecnica me lo consente e ho soldi a sufficienza, un domani potrei utilizzarla per far sì che i miei figli nascano non solo sani, ma anche con i capelli biondi e con gli occhi azzurri” (ivi). Per una migliore conoscenza delle questioni in gioco sono d’aiuto – nel libro – le interviste a Laura Palazzani e a Giuseppe Noia, che forniscono utili indicazioni da un punto di vista giuridico e medico (Noia con una marcata prospettiva cattolica).

Oltre le battaglie ideologiche

Dinanzi a questi nuovi scenari l’unica soluzione che possa evitare inutili e dannose battaglie ideologiche rimane l’impegno – promosso da Greco e nell’insieme dal libro – a rifiutare il luddismo, quale emerge nella sostanza dall’intervista di Umberto Galimberti che sostiene che “la tecnica non ha scopi, ha solo risultati di procedure, procedure che si avviano ma non sono controllabili”, (p. 62), che “l'umanesimo è davvero finito” (p. 67) e che “nel rapporto uomo-macchina, comanda la macchina, non l'uomo” (p. 68), come pure la tecnofilia, per “stabilire compromessi, purché non al ribasso”, “dando una sempre maggiore soddisfazione alla domanda crescente di nuovi diritti di cittadinanza, che molti chiamano di ‘cittadinanza scientifica’”» (p. 52).

È una soluzione simile a quella proposta da Mario de Caro, che sottolinea la complessità delle questioni bioetiche e la necessità di un impegno comune di filosofi e scienziati, che cerchino di porre le questioni in modo tale che vi siano “discussioni aperte e pubbliche che consentirebbero a governo e parlamento di decidere” (p. 77). Ma anche a quella proposta da Bodei nel libro sopra ricordato, perché in entrambi i casi si propongono la riflessione e il dialogo sui limiti possibili e praticamente realizzabili nello sviluppo delle biotecnologie, nel segno di un “illuminismo ben temperato”.

Su una posizione simile, ma maggiormente debitrice al contributo fornito dall’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, si orienta Benanti, che ricorda il tremendo potere delle tecnoscienze e il peso della mentalità tecnocratica dominante, sostenendo che “il problema della tecnica è un problema di fini da scegliere per orientare l’utilizzo dei mezzi tecnici” (p. 135). Secondo Benanti “il compito primo che appare come eticamente vincolante è quello di abitare i luoghi civili di gestione dell’innovazione orientandola verso forme sempre maggiormente umane, essendo presenti e fornendo argomentazioni efficaci nel dibattito pubblico che a questa innovazione soggiace” (pp. 138-139). In questa direzione vengono rifiutate “risposte caso per caso fragili e temporanee” (p. 139), soprattutto in merito alle biotecnologie, in quanto “la vita, nella sua fragilità, ci è affidata e la tecnologia può essere un meraviglioso modo per tutelarla e proteggerla o il più efficiente dei modi per sterminarla” (p. 140).

Tutto sommato, mi sembra che nel libro prevalgano l’ “illuminismo ben temperato” e il pragmatismo del caso per caso rispetto a più netti, e pur sempre meno negoziabili, orientamenti cattolici.

 


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