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Una disciplina... in evoluzione

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Lo studio dei sistemi nervosi degli esseri viventi è una scienza relativamente giovane. Gli studenti di biologia imparano che ancora nel 1906 la natura cellulare del sistema nervoso era oggetto di accese discussioni. Golgi, inventore di una tecnica istologica a base di impregnazione argentica in uso ancora oggi, e scopritore di diversi tipi di neuroni, sosteneva infatti che il sistema nervoso costituisce una rete continua di interconnessione globale dei centri nervosi, i cui elementi, le cellule, sarebbero collegate tra loro formando un continuum. Sulla base delle sue osservazioni Cajal gli contrapponeva invece "la dottrina dei neuroni" secondo la quale le cellule nervose sono fisicamente separate e stabiliscono relazioni di contiguità in punti di contatto definiti, le sinapsi. Insomma, un secolo fa le basi cellulari e molecolari del funzionamento del sistema nervoso erano praticamente sconosciute, nonostante l'anatomia del cervello umano fosse stata descritta in modo accurato già nel Seicento.

Oggi sappiamo che in natura esistono molti sistemi nervosi diversi. Qualsiasi animale ha bisogno, per sopravvivere e riprodursi, di essere in grado di procurarsi cibo e di difendersi da predatori o da condizioni ambientali avverse. Grazie agli sviluppi della genomica, inoltre, ci rendiamo conto che il complesso di geni deputati al controllo dello sviluppo e del differenziamento dei neuroni è presente nei phila più antichi ed è conservato fino ai vertebrati. I neuroscienziati oggi si interrogano sulle origini del sistema nervoso e sul vantaggio evolutivo  che ne deriva per i primi organismi che lo hanno sviluppato.

Se si confronta lo sviluppo della conoscenza del cervello con quello di altre discipline, ci si rende conto del grande divario temporale esistente. Agli inizi del Novecento, all'epoca cioè del dibattito sulla morfologia dei neuroni e del sistema nervoso, Einstein si accingeva a pubblicare i suoi lavori sulla teoria della relatività. La fisica era anni luce più avanti della biologia in termini di comprensione della realtà di cui si occupava, e così la chimica, la matematica e le altre scienze esatte. Un'analisi esauriente delle cause di questo ritardo esula dalle possibilità di questo articolo e dalle competenze di chi scrive; qui tuttavia, vorrei consentirmi un'ipotesi ardita e, in tempi di creazionismo rampante, provocatoria: senza Darwin, noi saremmo ancora lì a chiudere i malati di mente nelle "fosse dei serpenti", o a venerarli come messaggeri divini, a seconda del tipo di cultura cui apparteniamo.

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Approfondimento

Lo studio dei sistemi nervosi degli esseri viventi è una scienza relativamente giovane. Gli studenti di biologia imparano, o dovrebbero imparare, che ancora nel 1906, in occasione dell'assegnazione del premio Nobel per la medicina a due anatomo-patologi, Camillo Golgi e Santiago Ramon Cajal, la natura cellulare del sistema nervoso era oggetto di accese discussioni. Golgi, inventore di una tecnica istologica a base di impregnazione argentica in uso ancora oggi, e scopritore di diversi tipi di neuroni, sosteneva infatti che il sistema nervoso costituisce una rete continua di interconnessione globale dei centri nervosi, i cui elementi, le cellule, sarebbero collegate tra loro da neurofibrille formando un continuum (la teoria "reticolarista"). Sulla base delle sue osservazioni Cajal gli contrapponeva "la dottrina dei neuroni" secondo la quale le cellule nervose sono fisicamente separate e stabiliscono relazioni di contiguità in punti di contatto definiti, le sinapsi. I neuroni, inoltre, sarebbero polarizzati dinamicamente dai diversi ruoli delle proprie ramificazioni, i dendriti deputati alla ricezione dei segnali, gli assoni alla trasmissione dei segnali verso i neuroni adiacenti. I termini "neurone" e "sinapsi" di poco precedenti erano stati introdotti rispettivamente nel 1891 da Whilhelm von Waldeyer-Harz e nel 1897 da Charles Sherrington. In altre parole, un secolo fa le basi cellulari e molecolari del funzionamento del sistema nervoso erano praticamente sconosciute, nonostante l'anatomia del cervello umano fosse stata descritta in modo accurato già nel Seicento.

L'invenzione di moderne tecniche di misura dei flussi di corrente elettrica in cellule eccitabili, l'elettrofisiologia, consente un nuovo fondamentale avanzamento. La natura elettrica dell'attività nervosa e muscolare, scoperta alla fine del settecento da Luigi Galvani con i celebri esperimenti sul gastrocnemio di rana, viene descritta e teorizzata da Alan Hodgkin, A Huxley e Bernard Katz, tra il 1938 e il 1952. Questi scienziati dimostrano che nel passaggio dallo stato di riposo allo stato di attività il neurone produce un picco di potenziale elettrico, il potenziale d'azione, generato da un rapido influsso di ioni sodio attraverso la membrana cellulare, che si propaga lungo l'assone al neurone adiacente, che viene a sua volta eccitato. Quest'ipotesi, ampiamente confermata da studi successivi, permette la sistemazione teorica di una grande quantità di osservazioni disparate e perfino contraddittorie e fornisce le basi di una teoria generale del funzionamento del sistema nervoso. Negli anni Settanta si accetta definitivamente l'esistenza di neurotrasmettitori, cioè molecole di varia natura prodotte o captate dal neurone e raccolte in vescicole giustapposte alla sinapsi. Quando il neurone viene stimolato, le vescicole rilasciano queste molecole nella fessura sinaptica, che vanno a legarsi a proteine specifiche della membrana postsinaptica, i recettori, attivando in questo modo il neurone adiacente. Da quegli anni il numero di neurotrasmettitori e relativi recettori identificati è in continua crescita; la struttura molecolare di molte proteine recettoriali è stata decifrata, grazie all'uso di tecniche di biologia molecolare e di cristallografia, fornendo le basi biofisiche e biochimiche dell'interazione tra la molecola ligando, lo ione ed il recettore.

Infine. Oggi sappiamo che in natura esistono molti sistemi nervosi diversi. Qualsiasi animale ha bisogno, per sopravvivere e riprodursi, di essere in grado di procurarsi cibo e di difendersi da predatori o da condizioni ambientali avverse. Per farlo, ha bisogni di organi di senso che gli permettano di percepire le variazioni esterne e di strutture anatomiche che gli permettano di muoversi. Sia i primi che le seconde devono essere coordinati in modo da produrre risposte appropriate ed efficaci agli stimoli o alle minacce provenienti dall'esterno. Qualunque sistema nervoso, anche il più elementare per numero di cellule e semplicità di struttura, è in grado di rispondere a queste esigenze. Può essere sorprendente per molti scoprire che i meccanismi basilari di funzionamento dei neuroni di organismi molto semplici sono uguali a quelli degli organismi più evoluti, specie umana compresa. Grazie agli sviluppi della genomica, inoltre, ci rendiamo conto che il complesso di geni deputati al controllo dello sviluppo e del differenziamento dei neuroni è presente nei phila più antichi ed è conservato fino ai vertebrati. I neuro scienziati oggi si interrogano sulle origini del sistema nervoso e sul vantaggio evolutivo  che ne deriva per i primi organismi che lo hanno sviluppato.

Perché questo riepilogo cronologico, certamente sommario, parziale e incompleto? Se si confronta lo sviluppo della conoscenza del cervello con quello di altre discipline, ci si rende conto del grande divario temporale esistente. Agli inizi del Novecento, all'epoca cioè del dibattito sulla morfologia dei neuroni e del sistema nervoso, Einstein si accingeva a pubblicare i suoi lavori sulla teoria della relatività. La fisica era anni luce più avanti della biologia in termini di comprensione della realtà di cui si occupava, e così la chimica, la matematica e le altre scienze esatte. Un'analisi esauriente delle cause di questo ritardo esula dalle possibilità di questo articolo e dalle competenze di chi scrive; qui tuttavia, vorrei consentirmi un'ipotesi ardita e, in tempi di creazionismo rampante, provocatoria: senza Darwin, noi saremmo ancora lì a chiudere i malati di mente nelle "fosse dei serpenti", o a venerarli come messaggeri divini, a seconda del tipo di cultura cui apparteniamo.

L'articolazione di quest'affermazione richiede un'ulteriore premessa. L'impresa scientifica, di qualunque scienza, si caratterizza da Galileo in poi, come è noto, per l'uso del metodo sperimentale: un'ipotesi di interpretazione dei fenomeni genera previsioni ad essi relative, e tali previsioni sono sottoposte a controlli, misure, riproduzione sperimentale, cioè alla valutazione critica. Ciò consente di rafforzare o confutare, con Popper, l'ipotesi inizialmente elaborata, modificarla, e così via. Lo sperimentatore è un osservatore neutrale ed imparziale dei fatti, che discute e confronta liberamente e onestamente con i membri della comunità cui appartiene. Questo paradigma, anche se molto meno rozzo di come l'ho qui esposto, ha guidato il lavoro di molte generazioni di scienziati e ha conferito all'attività scientifica il prestigio di cui ancora oggi sostanzialmente gode, anche se le attuali politiche di finanziamento della ricerca, sempre più basate sull'uso di fondi privati per esigenze di ricerca particolari, stanno provocando un lento deperimento della sana pratica del libero confronto di risultati e idee nuove.

Naturalmente, la formulazione delle ipotesi risente a sua volta del contesto culturale in cui lo scienziato opera. E' possibile ricostruire la storia delle idee di una determinata scienza come sviluppo lineare e cumulativo delle scoperte e delle teorie che si sono succedute in quel campo, cercando un ipotetico filo conduttore che ha guidato il pensiero fino alle idee oggi dominanti. Secondo questo modo di vedere, se la conoscenza non progredisce, ciò dipende dall'insufficiente quantità di informazioni di cui si dispone e dagli strumenti di indagine che consentono l'accesso solo ad alcuni livelli dell'organizzazione della natura e non ad altri, fino all'arrivo di una personalità geniale (o, più raramente, di un nuovo strumento risolutore) che di colpo intravede la "verità" e apre un nuovo capitolo della scienza. Questa operazione, però, oltre a costituire generalmente una grossolana falsificazione storica, non aiuta neanche a comprendere i reali modi di progredire del pensiero scientifico e le sue contraddizioni, che vengono tutte ricondotte all'interno della specifica scienza. Vi è almeno un altro approccio, certo più utile, che consiste nel ricercare come gli oggetti di una scienza siano diventati accessibili all'analisi e come siano aperti, così, nuovi campi di indagine.

Un esempio di questo approccio è dato dal lavoro d Francois Jacob (La logica del vivente)

"....la conoscenza funziona a due livelli. Ogni epoca è caratterizzata da un certo campo di possibilità, definito non solo dalle teorie o credenze correnti ma dalla natura stessa degli oggetti d'analisi, dagli strumenti esistenti per studiarli, dal modo di osservarli e di costruirvi sopra un discorso. Solo.....nei limiti sopra fissati le idee si muovono, si mettono alla prova l'una con l'altra, si scontrano. Fra tutti gli enunciati possibili occorre scegliere allora quello che meglio organizza i risultati dell'analisi. Qui interviene l'individuo; ma in questa discussione senza fine tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, in questa ricerca di uno spiraglio attraverso il quale si riveli un'altra forma del possibile, il margine lasciato all'individuo è talvolta molto ristretto".

Si tratta allora di precisare la natura di questi oggetti, l'atteggiamento di coloro che li studiano, gli ostacoli che la tradizione culturale oppone al ricercatore. Questo approccio è importante perché mette in evidenza il ruolo attivo e non neutrale del soggetto della ricerca rispetto all'oggetto della sua indagine e consente di rilevare che spesso non è tanto l'introduzione di una nuova tecnica, ma l'adozione di un modo diverso di guardare il fenomeno, l'impiego di una nuova metafora, la formulazione di nuove domande a cui l'osservazione deve fornire le risposte, che permette di giungere a nuovi risultati, a cogliere nuovi aspetti della realtà; e, di contro, l'incapacità di interpretare correttamente i fenomeni osservati spesso rivela la prevalenza di atteggiamenti culturali e filosofici incompatibili con i risultati dell'osservazione stessa.

Uno dei primi casi di fecondazione artificiale registrato nella storia della biologia è costituito dagli esperimenti di Lazzaro Spallanzani che, nella seconda metà del Settecento, riesce a impedire la fecondazione durante l'accoppiamento di rane, rivestendo il maschio prima di avvicinarlo alla femmina di mutande di vescica ben chiuse che impediscono allo sperma di venire a contatto con le uova. Avendo constatato che, come previsto, tale accoppiamento risultava sterile, Spallanzani procede a spennellare le uova deposte dalla femmina con il liquido spermatico così raccolto e osserva, alcuni giorni dopo, la schiusa delle uova e la nascita dei girini. Sviluppa quindi le sue osservazioni in vari esperimenti per arrivare alla conclusione che:

"...le macchinette dei figli originariamente appartengono alle femmine e che il maschio non fornisce che un liquore determinante le medesime a prendere movimento e vita..." (Della fecondazione artificiale).

Utilizza, cioè, i risultati ottenuti per intervenire nella disputa che infuriava all'epoca tra i preformisti se il germe preformato, creato da Dio per ogni specie vivente all'inizio del mondo e contenente in una successione di scatole cinesi tutti i germi destinati a prendere vita fino alla fine del creato, fosse posto nell'uovo della femmina o negli "animaletti" osservati nel liquido spermatico del maschio, scegliendo, come si vede, la teoria della collocazione nell'uovo.

Eppure l'osservazione della crescita e del prendere forma dell'embrione nell'uovo è già accessibile alle tecniche dei naturalisti dell'epoca, ed infatti è stata già compiuta; ma la necessità/congruità della teoria preformista con l'insieme dei modelli filosofici e religiosi dominanti è troppo forte per consentire al singolo di individuare altra soluzione al problema dell'origine degli esseri viventi. Questo esempio testimonia, di nuovo, l'esistenza di un profondo divario tra sviluppo delle scienze matematiche e fisiche, che nella stessa epoca hanno già definito le leggi fondamentali della materia, e quelle della biologia, per la quale al grado esteso di conoscenza, descrizione e classificazione di innumerevoli fenomeni e forme non corrisponde un livello paragonabile di elaborazione teorica coerente con le osservazioni raccolte. Tale ritardo continua a lungo, e per alcuni campi di indagine non è stato colmato se non nell'ultimo secolo: mi riferisco allo studio del sistema nervoso e della biologia della riproduzione, che solo con la seconda guerra mondiale divengono oggetto di ricerca scientifica moderna, con l'adozione degli apparati concettuali e strumentali del riduzionismo e della biologia molecolare.

La rivoluzione di pensiero che ha reso possibile più di un secolo prima lo sviluppo della biologia moderna si attua con l'enunciazione della teoria dell'evoluzione, con la quale Charles Darwin sposta l'uomo dalla posizione centrale fino ad allora occupata nell'universo e lo colloca al termine di una lunga serie di eventi di trasformazione della materia vivente, con ciò dando un sostanzioso contributo all'eliminazione di Dio come Ente necessario per spiegare l'origine della vita. Nonostante l'immediata fortuna della teoria dell'evoluzione, le resistenze di carattere ideologico a svilupparne pienamente le implicazioni si sono rivelate tenaci e durevoli, poiché nella cultura occidentale e cristiana, fortemente antropocentrica, da Protagora in poi l'uomo "è misura di tutte le cose", un sistema complesso di valori, convinzioni, gerarchie si è sviluppato in secoli di storia. Non è sorprendente quindi che gli organi più nobili, il cervello sede dell'anima e poi della coscienza, e le funzioni più intime, quelle riproduttive, luogo dell'immortalità individuale, costituiscano gli oggetti di indagine la cui esclusione è più prolungata non solo perché più difficili da studiare quanto perché più radicati sono i tabù relativi, relativi cioè al concetto esplicito o implicito dell'inconoscibilità ultima di questa parte di materia per la presenza in essa di Dio, di una forza vitale, di un principio razionale superiore che ne determina i caratteri peculiari.

Si può concludere allora che i risultati attuali della biologia appaiono tanto più sconvolgenti in quanto la velocità con cui è stato colmato il ritardo relativo - il processo si è svolto sotto i nostri occhi - non ha consentito una parallela, altrettanto rapida trasformazione della nostra cultura, una nuova consapevolezza delle possibilità del nostro corpo e della nostra mente. Forse è tempo che i ricercatori riprendano le proprie responsabilità di cittadini oltre che di scienziati.


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